Caracas: la recensione del convincente e coraggioso film di Marco D'Amore con Toni Servillo
Alla sua seconda opera di fiction, Marco D'Amore adatta uno dei libri più complessi di Ermanno Rea, Napoli Ferrovia, e il risultato ci ha convinto. La recensione di Daniela Catelli.
E’ sempre più raro sentire in un film la passione e il coraggio di rischiare da parte di chi l’ha scritto, realizzato e prodotto, affrontando l'azzardo di un un possibile fallimento e di schiantarsi al suolo dopo aver toccato le vette, soprattutto in un cinema, come quello italiano, che raramente esce da sentieri battuti e prevedibili. Già coi suoi precedenti lavori Marco D’Amore aveva fatto capire di che pasta è fatto. Capace di una profondità di analisi e al tempo stesso di una fisicità da mischia, grazie alla popolarità acquisita col personaggio di Ciro Di Marzio, decide di affrontare oggi forse uno dei libri più complessi dell’autore di “Ninfa Plebea”, Ermanno Rea, che in “Napoli Ferrovia”, del 2007, descrive una storia al tempo stesso autobiografica e politica, raccontando l’improbabile amicizia di uno scrittore in crisi - che torna in una città che non riconosce più - con un personaggio in cerca di assoluto. In Caracas, il racconto di certe sequenze è volutamente astratto, con uno dei protagonisti, che dà il titolo al film, diviso a metà.
E i vicoli, le scale maestose dei palazzi, gli interni bui e fumosi, un vecchio orfanotrofio, le case e gli alberghi di lusso del lungomare napoletano sembrano riflessi in uno specchio oscuro, come le strade perennemente bagnate, istantanee di un girone infernale tra Sin City e Gotham City, riferimenti fumettistici alti per raccontare storie tutt’altro che irreali, ma vicinissime a noi. Caracas non ha un andamento lineare come l’altro film tratto da Rea, Nostalgia, anche se racconta un altro impossibile, fatale ma imprescindibile ritorno. E’ la storia d’amore tra due diseredati e quella dell’amicizia tra uno scrittore impegnato e che ha deciso di annunciare che non scriverà più, ma che percorrendo come in sogno (o un incubo) il paesaggio della città e incontrando un mondo lontanissimo dal suo ritrova forse la voglia di farlo e fa di Caracas il protagonista del suo nuovo romanzo. Ma esisterà davvero questo scugnizzo cresciuto per strada, che non appartiene a nessuno e cerca l’assoluto in un’ideologia violenta come il fascismo e nella religione islamica?
Diviso tra due mondi tra loro agli antipodi, tra violenza e pietas, Caracas fa da Virgilio a un Dante smarrito per le strade umide e notturne di una città che sa di sangue e muffa, dove la violenza irrompe improvvisa e insensata e l’odio ha preso il posto di quella che un tempo era l’accoglienza e l’accettazione. Parla anche di noi oggi, Caracas, di un mondo confuso e sempre più diviso in tutto e su tutto, dove ognuno si sente in guerra contro gli altri e cerca nel gruppo la forza che non trova dentro di sé, sognando un giorno di lasciarsi tutto alle spalle e partire ma ben sapendo che non accadrà. Smarriti come Giordano Fonte, che tutti chiamano Maestro, ma che forse ha più da imparare che da insegnare agli altri, percorriamo gli spazi del nostro passato come Leopold Bloom in cerca del suo Dedalus o della Molly che lo ha tradito, e ci ritroviamo a fare i conti con la nostra mortalità. Ma Caracas non è un film deprimente: richiede la complicità dello spettatore nel seguire una narrazione non sempre semplice, i cui registri oscillano tra il realismo e l’onirico, ricompensandolo con una visione non rassicurante, che induce alla riflessione e alla lettura di un autore ancora troppo poco conosciuto.
Tra i molti pregi del film, dalla bellissima fotografia alla colonna sonora, al primo posto c’è la qualità della recitazione: Marco D’Amore si sdoppia anche nel fisico facendosi muscoloso, rasato e tatuato da picchiatore fascista, barbuto, con lunghi capelli e tratti da profeta da convertito, disegnando un ritratto convincente di un personaggio sulla carta più vecchio di lui. Una bella scoperta anche la giovane attrice francese di origine tunisina Lina Camélia Lumbroso nel suo ritratto della ribelle e infelice Yasmina, mentre Toni Servillo, diretto per la prima volta dal suo vecchio allievo, ci fa ridere, commuovere, rabbrividire e riflettere con uno sguardo, una battuta, un’espressione del volto: non poteva essere che lui, il Maestro, a regalarci un personaggio immenso come il suo talento, in una delle prove più belle della sua luminosa carriera.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità