Bones and All: la recensione del film di Luca Guadagnino con Timothée Chalamet
Una storia d'amore con due cannibali irresistibili. Bones and All arriva finalmente nei cinema italiani per Vision Distribution dopo aver conquistato il Festival di Venezia e fatto esplodere l'amore di milioni di fan per Timothée Chalamet.
L’immobilismo e la fuga. Due tensioni costanti della natura umana, due irrequietezze che contraddistinguono il percorso di Maren e Lee, e lo stesso Luca Guadagnino, che inquadra in una delle prime scene del film una copia di Gente di Dublino di Joyce, un testo cardine sull’argomento. Se in Chiamami col tuo nome raccontava la sospensione di un’estate prima che tutto accada, qui la fuga è connaturata alla natura di marginali ed emarginati di questi due giovani. Il vagabondare di Maren è dovuto a una sua condizione: è una cannibale. È lei la protagonista e l’anima pulsante di Bones and all, adattamento del romanzo Fino all’osso di Camille De Angelis.
Quando viene abbandonata dal padre, inizia un viaggio in cerca della madre sparita da molti anni, ma soprattutto di un posto nel mondo, di amore, di una comunità che possa in qualche modo farla sentire meno diversa. Lei che “pensava di essere sola” scoprirà invece che il loro smodato appetito, la loro dipendenza non è una condizione così poco diffusa. L’educazione e gli incontri lungo il cammino la aiuteranno anche a “sentirli”, i suoi simili. Soprattutto incontrerà Lee, uno come lei, con qualche esperienza in più e la medesima paura. Due vagabondi in fuga. Qual è il posto della colpa per chi è costretto a comportarsi in quel modo dalla sua natura?
Una storia di formazione poco tradizionale solo nelle premesse, mentre l’estetica è piuttosto classica, si discosta dal genere, dà per assodato il destino della condizione dei suoi protagonisti, in una totale immersione viscerale nella pancia degli Stati Uniti, nel Midwest rurale degli anni ’80 e nell’immaginario on the road. L’appetito ferale, raccontato come una forma di dipendenza, è solo una delle pulsioni di Maren, alle prese con una serie di prime volte, di riti di passaggio comuni a ogni giovane, inseguendo una libertà attraverso l’amore e la condivisione di “legami di sangue”. Sono cannibali “per bene”, forse aiutati alla giovane età pensano di poter tenere sotto controllo gli istinti, non sono come quelli che si divertono a collezionare “bones and all”, vittime spolpate per intero. Una nuova prima volta.
Un’operazione che evita il rischio del vezzo cerebrale dell’autore in cerca di ibridazioni estetiche grazie alla capacità di rendere l’orlo del baratro che accompagna la condizione dei due. Una vertigine che destabilizza e riduce drasticamente la distanza fra noi spettatori e due cannibali, nei confronti dei quali ci appassioniamo e in fondo anche identifichiamo. Il destino ineluttabile che li attende è reso ottimamente dagli interpreti, a partire da una fantastica Taylor Russell e Timothée Chalamet, ma anche dalla perversa figura di una sorta di padre putativo autoimposto: Mark Rylance. Ad accompagnarli le musiche romantiche, evocative, di Trent Reznor e Atticus Ross, e una cura notevole nella scelta dei luoghi e nella costruzione degli interni, degli spazi in cui contenere la loro natura o fermarsi sperando sia per una volta casa.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito