Avengers Endgame: Recensione senza spoiler del film evento Marvel
Tre ore al cardiopalma per vivere insieme ai supereroi sopravvissuti il destino che li aspetta.
Nei suoi centoventi anni di storia, il cinema ci ha insegnato che i film possono essere uno svago spirituale, un viaggio mentale o un'esperienza emozionale. Queste tre caratteristiche si verificano contemporaneamente in rari casi e, quando ciò accade, le storie che ci vengono raccontate penetrano la nostra memoria emotiva e trovano un posto nel nostro cuore. Un film può cambiarci lo stato d'animo, far vibrare corde che ci dimentichiamo di avere e farci sentire diversi, come se quella sala buia avesse il potere di scuoterci dal torpore.
Avengers: Endgame non è uno di questi rari casi, perché non è questo il suo scopo. Il film della Marvel è la quintessenza dell'intrattenimento, è storytelling in coevoluzione e in simbiosi con il marketing, è un racconto lungo undici anni e ventidue film raffinato fino alla sublimazione. Il vero superpotere di Avengers: Endgame non è quello di cambiarci lo stato d'animo dopo averlo visto, no, è di averlo saputo fare prima. Il superpotere del film è farci arrivare al cinema sapendo già che andrà tutto bene, che sarà un grande spettacolo, che saremo entusiasti di partecipare a un grande evento collettivo.
I supereroi sono la mitologia del nostro tempo e la grande padronanza narrativa della Marvel ci ha radunato tutti quanti intorno al falò, notte dopo notte, fuoco dopo fuoco, per raccontarci storie fantastiche che volevamo ascoltare con personaggi a cui volevamo affezionarci. Se Avengers: Infinity War è stato l'inizio della fine, Avengers: Endgame è sia fine sia inizio. La potenza di un racconto, secondo il saggio induista Vyasa, è che "se ascolti attentamente, alla fine sarai una persona diversa". Non siamo nel IV secolo avanti Cristo e per distrarci abbiamo a disposizione un sovraccarico di stimoli anche non richiesti, ma per sedurci è ancora oggi una storia ben raccontata a funzionare bene.
Non è Avengers: Endgame a fare di noi persone diverse, è l'intero Marvel Cinematic Universe ad averci inghiottito molti film fa ed averci trascinato nei gorghi delle loro passioni. Quel menestrello di Kevin Feige, pur con l'animo da businessman, ha reso il mondo intero la corte che lui voleva servire. È stato il primo a metterci il cuore, convincendo e coinvolgendo riconosciuti talenti in ogni settore, correggendo le sbandate e puntando dritto verso l'orizzonte. Perché il viaggio è ciò che conta e la fine è parte di esso.
Il film di Anthony e Joe Russo offre frutti ormai giunti a maturazione, lasciando che sia il pubblico a coglierli. Quel senso di soddisfazione di un arco narrativo che si compie c'è, doloroso e necessario, e fa parte delle aspettative che in un decennio di film si sono progressivamente spostate dalla spettacolarità ai contenuti. Endgame, con le sue tre ore di durata, un tempo di racconto ampiamente generoso, è tra gli appuntamenti Marvel meno dirompenti dal punto di vista della spettacolarità. È un film che trova i propri muscoli nei contenuti, palleggia tra concetto ed emozione e non teme il giudizio dei suoi devoti fan di fronte all'evoluzione di personaggi come Thor e Hulk.
La storia, più che la prevedibile vendetta nei confronti di Thanos, è un percorso introspettivo a ritroso nel tempo in cui è quel bisogno ancenstrale di amore che può aiutare i supereroi a definire il proprio ruolo esistenziale. Qui risiede la profonda connessione con tutti noi spettatori, umani alla ricerca costante di un ruolo, di un senso a una vita che senza amore non viaggia da nessuna parte, come sanno bene anche quel Captain America di Chris Evans e l'Iron Man del sempre adorato Robert Downey Jr.
- Giornalista cinematografico
- Copywriter e autore di format TV/Web