1917: la recensione del war movie di Sam Mendes
Il Film ambientato durante la Prima Guerra Mondiale, candidato a 10 Premi Oscar 2020.
I testimoni dei due grandi conflitti mondiali del XX secolo sono ormai quasi tutti scomparsi, gli anniversari di questi ultimi anni hanno però moltiplicato la doverosa attenzione nei confronti di momenti cruciali della nostra memoria (auspicabilmente) condivisa. Come aveva fatto Christopher Nolan con la Seconda guerra mondiale, ora anche Sam Mendes, per la Prima, si affida ai ricordi famigliari, per raccontarli in un film, prima che sbiadiscano anche nella sua memoria, oltre a quella delle generazioni successive ai testimoni, che sono cresciute sentendosi raccontare mille storie dai propri nonni.
Dunkirk era un coerente nuovo capitolo sull'ossessione di Nolan per il tempo, lì scandito con un ticchettio ossessivo dalle note di Hans Zimmer, mettendo al centro uno spazio limitato a poche centinaia di metri di spiaggia del litorale francese, in cui migliaia di soldati erano costretti, in attesa dell'arrivo dei salvatori.
In 1917 è invece lo spazio a diventare centrale. Un territorio ormai sconvolto da anni di guerre feroci, lungo trincee scavate in un fronte quasi immobile, passando per le linee amiche, ma anche quelle nemiche, per portare a termine una missione disperata eppure apparentemente banale: inviare un messaggio (cruciale) a un altro battaglione. Non una guerra verticale, aerea o marittima, come in Dunkirk, ma ad altezza soldato, uno sforzo che coinvolge l'esercito, e in particolare due giovani soldati che devono percorrere questo spazio come fosse una gara atletica, ovviamente nel minor tempo possibile, vista l'urgenza della missione.
George MacKay, insieme al suo compagno d'avventura Dean-Charles Chapman, sono i due militi ignoti, le facce pulite e coraggiose a cui Mendes affida, con successo, l'immedesimazione degli spettatori. Due volti poco conosciuti che si trovano a incontrare le figure carismatiche di ufficiali (e attori) autorevoli come Benedict Cumberbatch, Colin Firth, Richard Madden, Mark Strong, Andrew Scott.
Inutile aspettarsi una visione d'insieme del conflitto, vista dall'alto, qui si corre, ci si lancia nei fiumi, si striscia lungo il terreno fangoso o arido, sublimando l'emozione attraverso una missione personale all'interno dell'enorme schema complessivo di un conflitto che cambiò il mondo. Dopo tanti film che hanno inseguito l’esaustività, riuscendoci o meno, Mendes cerca di isolare ogni rumore bianco di fondo, concentrando il suo esperimento su binari molto delimitati, per far percepire come non mai allo spettatore cosa volesse dire la guerra, e quella guerra in particolare. Se Salvate il soldato Ryan aveva come scopo la sopravvivenza di una singola persona per il suo valore simbolico, qui la missione è sì personale, ma il risultato mette in primo piano il bene collettivo, le tante vite che salverebbe la consegna del messaggio in questione.
Dalla retorica della resilienza alla retorica dell’eroe solitario che si sacrifica per il bene comune, con un ideale unico piano sequenza scelto da Mendes (e il grande direttore della fotografia Roger Deakins) per aumentare l'immedesimazione, il realismo di questo immane sforzo dei protagonisti. Il proprio dovere, costi quel che costi, mettendo da parte ogni altra cosa, la paura e la razionalità di una missione con poche possibilità di riuscita. Un’operazione che poteva risultare algida esibizione di stile, ma coinvolge fin dalla prima inquadratura, dalla prima bucolica e pacifica immagine di questi due ragazzi "troppo giovani per morire". 1917 regala momenti di cinema straordinari, visioni da mozzare il fiato, in cui le distruzioni della guerra provocano una fascinazione perversa, che ci fa vergognare: le rovine di un paese, l’incendio di una fattoria o la ritmica illuminazione a giorno della campagna in una notte di buio pesto.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito