Una Figlia: Ivano de Matteo al Bif&st 2025 con Stefano Accorsi per raccontare con partecipazione un'altra vicenda familiare
Uscirà il 24 aprile con 01 Distribution Una Figlia, che riporta Ivano de Matteo, due anni dopo Mia, a raccontare una tragedia familiare. I protagonisti sono Stefano Accorsi e Ginevra Francesconi e il film è stato presentato in anteprima al Bari International Film&Tv Festival 2025.

Pochi registi italiani sanno raccontare la famiglia e le sue dinamiche come Ivano De Matteo, che da genitore di due figli che stanno diventando grandi si interroga spesso non solo sui rapporti tra fratelli, cugini, madri, padri e così via, ma anche sull'impatto che un evento inatteso e tragico può avere sui legami di sangue, sul senso di responsabilità, sull'equilibrio psichico, sul senso di colpa e su cosa sia da considerarsi morale o immorale. Non fa eccezione, a due anni di distanza da Mia, Una Figlia, che ha debuttato al Bif&st 2025 nella sezione delle grandi anteprime Rosso di Sera. De Matteo è un regista che mette molta passione nelle storie che racconta al cinema, nonché uno di quelli che, per nostra fortuna, gira ancora in pellicola. In più, dietro ai suoi film c'è sempre un grande lavoro di documentazione. Questa volta il regista ha voluto narrare di una figlia minorenne (Ginevra Francesconi) che commette un reato gravissimo e di suo padre che fatica a perdonarla. Il nostro si è dunque avventurato su un terreno minato, partendo da una sceneggiatura scritta insieme alla compagna Valentina Ferlan, che lo ha accompagnato al Bari International Film&Tv Festival insieme a Stefano Accorsi, che fa la parte del papà della protagonista.
La prima cosa di cui Ivano De Matteo ha parlato ai giornalisti, riuniti nel Multicinema Galleria, sono state le insidie che Una Figlia, almeno sulla carta, conteneva: "Una Figlia è stato per noi una grande scommessa: tentare di far dimenticare al pubblico che la protagonista si macchia di un reato grave seguendo pian piano la sua ricostruzione, o meglio "riparazione", che è un termine tecnico utilizzato nei centri di giustizia minorile. Altrettanto complicato era raccontare il suo rapporto con il padre, perché ci interessava, attraverso il personaggio di Stefano, porre allo spettatore la domanda: 'Cosa faresti se accadesse a te?'. Purtroppo è una cosa che potrebbe davvero succedere a tutti, e infatti le nostre storie riguardano in prevalenza famiglie che non sono disfunzionali. La famiglia di Mia, ad esempio, era normalissima. Ne I nostri ragazzi, nel 2014, eravamo in una situazione più simile a quella di Una Figlia, e quindi mi piace considerare Una Figlia come il seguito ideale de I nostri ragazzi, e cioè un film in cui la figlia è stata arrestata e segue un percorso che magari non tutti conoscono e che anche noi abbiamo meticolosamente studiato. I ragazzi che finiscono in un carcere minorile, in cui si entra a 14 anni e 1 giorno, potrebbero tranquillamente essere i nostri figli, perché a volte possono fare la famosa cazzata: vuoi fare il figo con gli amici e strappi un telefono a un ragazzo e gli fai male a un dito? Ecco che l'accusa è di rapina con lesioni. Oppure dai una spinta a uno e lui cade, batte la testa e muore, e tu non volevi certo ucciderlo? Non c'è dubbio che si tratti di omicidio. Il confine fra il commettere un reato e non commetterlo è estremamente labile e le cose brutte non accadono solo nelle periferie. Per quanta attenzione possiamo mettere nell'educazione dei nostri figli, la famosa doccia fredda può arrivare anche per noi. I genitori di un minore che fa qualcosa di terribile possono reagire nelle più disparate maniere. Non ce n'è una giusta, e per questo abbiamo voluto che il personaggio di Stefano si sentisse confuso e sballottato".
"Io invece ho pensato molto a Mia" - ha aggiunto Valentina Ferlan - "Mi aveva colpito la reazione degli spettatori al finale di Mia. Sul ragazzo che aveva compiuto un'azione terribile nei confronti della giovane protagonista tutti dicevano: 'Buttatelo dentro, chiudetelo lì dentro e non fatelo più uscire!'. Si tratta della reazione più comprensibile e immediata che possiamo avere di fronte a una colpa, quindi una reazione di istinto, ma alle volte dobbiamo fermarci a riflettere, perché c'è un recupero e ci sono tante persone che si occupano di questi ragazzi che hanno sbagliato e che credono sinceramente che cambiare sia possibile. Nessuna colpa è definitiva".
Come il personaggio che interpreta, Stefano Accorsi è un padre, e quindi si è immedesimato nel povero Pietro, che attraversa una molteplicità di stati d'animo e si sente smarrito per buona parte del film. A proposito di questo, l'attore ha spiegato: "Il fatto di cercare un’immedesimazione nei personaggi è molto importante, innanzitutto perché non sappiamo mai come potremmo reagire in certe situazioni. È chiaro che qui c'è una precisa scelta di scrittura, ma se penso a cosa avrei fatto io, mi viene in mente che di fronte a certe cose lo si scopre solo vivendole. È come quando ci si trova davanti alla vita e alla morte: Si scappa? Si reagisce? Si aiuta l'amico in difficoltà o si pensa istintivamente a salvare la propria pelle? È molto delicata come tematica. Come diceva Ivano, la famiglia del film è una famiglia normale che ha avuto delle sfortune. Sicuramente c'è stato un accumulo, ma sono cose che succedono, che innescano tutta una serie di non detti e che creano dei malintesi. Insomma non so come mi sarei comportato al posto di Pietro e spero di non scoprirlo mai, però, avendo io una famiglia allargata, so anche che cosa voglia dire la convivenza fra persone che non hanno effettivi legami di sangue. Anche se i rapporti sono buoni, possono esserci sempre delle problematicità, anche se piccole, da gestire, quindi identificarmi con il mio personaggio è stato forse più semplice che per qualcun altro".
Quando Pietro si rende conto di cosa ha fatto sua figlia Sofia, non può non domandarsi dove abbia sbagliato nell'educazione della ragazza, il che significa che in qualche modo si sente responsabile. Lo è per davvero? A rispondere a questa domanda è Stefano Accorsi: “È chiaro che uno si sente sempre responsabile, poi ci sono i sensi di colpa anche rispetto a cose molto più piccole, ma in generale io credo che ci si senta troppo responsabili rispetto ai figli. C'è tutto un sistema che favorisce questa situazione. I figli entrano a scuola con 5 minuti di ritardo e ti arriva la notifica, tuo figlio non va a scuola e subito ti avvertono. I ragazzi sono troppo deresponsabilizzati e siamo noi che li deresponsabilizziamo. Io mi occupo di un festival che parla di cambiamento climatico e c'è tutta una retorica che dice: 'Facciamolo per i nostri figli'. Ma... lasciamoli un po’ stare questi figli! Siamo sempre noi che li proteggiamo troppo! Marinare la scuola e falsificare una firma è una cosa che nella vita qualcosa ti insegna, ve lo posso dire per esperienza: qualche volta l'ho fatto, ma ho sbagliato il liceo, cosa potevo fare? Stare tutti i giorni in un liceo sbagliato? Il pianeta sta cambiando? Proteggiamolo per noi, non facciamolo per i nostri figli. I giovani buttano i mozziconi per terra come i grandi, lasciamoli in pace. Forse prima c'erano un po’ di disattenzioni, ma tutto sommato erano sane. Abbiamo paura delle città in cui viviamo quando i dati ci dicono che sono più sicure di una volta. Tutto questo ricade molto sui figli: a che ora li facciamo uscire, quando devono rientrare, 'ma prendi un taxi è meglio'. Bisogna stare attenti: è un atto egocentrico sentirti troppo responsabili".
Qualcuno potrebbe pensare che per Ivano De Matteo la famiglia sia diventata una gabbia e che il regista abbia difficoltà ad allontanarsene. In realtà De Matteo non si sente prigioniero e ha già deciso di passare ad altro, almeno nell'immediato: "Al cinema esistono i punti macchina, quindi io sposto il punto macchina e mi cambia l'orizzonte. Spostando il punto macchina, posso raccontare la stessa storia secondo un diverso punto di vista. In questo caso, per esempio, io sto parlando dei genitori della cattiva, che in realtà è vittima e carnefice. In Mia era tutto più semplice, perché il pubblico si metteva nei panni di lei: perché lei era buona, perché noi siamo i giusti e loro i cattivi. Adesso il cattivo lo metto in casa, ti creo uno scalino in più, quindi il punto macchina l'ho spostato e l'ho stretto, ho cambiato obiettivo e sono andato più vicino, e quindi gioco con il pubblico e mi chiedo: 'Faccio succedere qualcosa che poi è quello che tutti vorremmo che accadesse? No, non lo faccio succedere, perché non posso uscire anestetizzato dal cinema, perché le cose non vanno così, perché da una parte c'è il reale e dall'altra il realistico. Realisticamente alcune cose possono accadere, però poi nella vita quotidiana le situazioni sono diverse. Per quanto riguarda la gabbia, diciamo che si sta aprendo, perché, proprio per una sofferenza di scrittura e per i temi che abbiamo toccato, con Valentina abbiamo pensato di avviarci verso un tipo di struttura diversa. Faremo una commedia amara, una satira di costume. C'è un’idea che abbiamo da diverso tempo e ho promesso al mio produttore Marco Puccioni, che mi dice sempre: 'Chi muore stavolta?', che farò un film più leggero".