The Creator: il regista Gareth Edwards ci parla del suo film
Da dove è nata l'idea, le modalità innovative con cui è stato girato e post-prodotto, il grande tema dell'Intelligenza Artificiale e la possibilità di un sequel: ecco cosa ci ha raccontato l'autore di The Creator, al cinema dal 28 settembre.
Gareth Edwards è 48enne regista inglese che ha esordito alla regia con un film indipendente davvero notevole, Monsters (lo trovate su Prime Video) per poi essere chiamato a dirigere il primo film del Monster-Verse contemporaneo della Warner, il Godzilla del 2014, e poi addirittura uno dei film spin-off della saga di Star Wars, Rogue One - A Star Wars Story.
Il suo nuovo film, che arriva nei cinema italiani il 28 settembre si intitola The Creator, ed è un fanta-thriller ricco di azione che parla di un futuro devastato dalla guerra combattuta tra la razza umana e un'avanzata forma di intelligenza artificiale che minaccia di annientare l'umanità.
The Creator vede John David Washington nei panni di Joshua, ex agente delle forze speciali che ha di recente perso sua moglie e che viene viene reclutato per una missione tanto importante quanto ardua: dare la caccia e uccidere il Creator, l'inafferrabile architetto dell'avanzata intelligenza artificiale che minaccia di annientare l'intera umanità grazie a un'arma terribile dall'aspetto terribilmente innocente: quello di una bambina.
Questo è il trailer italiano ufficiale di questo nuovo film di Edwards.
Abbiamo incontrato Gareth Edwards via Zoom, assieme alla stampa internazionale, e in quella sede il regista ci ha raccontato da dove sia nata l’idea per The Creator, che ha poi sceneggiato assieme a Chris Weisz (e a Hossein Amini, specifica Edwards, sebbene Amini non sia ufficialmente accreditato).
“Avevo appena finito di lavorare a Rogue One”, ha detto, “e sentivo il bisogno di staccare. Quindi con la mia fidanzata abbiamo deciso di andare a trovare i suoi genitori nell’Iowa, dall’altra parte degli Stati Uniti, e ho proposto di andarci in auto: quattro giorni di viaggio. La cosa bella di quando finisci di fare un film è che il tuo cervello in qualche modo si resetta, si formatta, e non mi aspettavo affatto di iniziare subito a pensare a un prossimo film: mi sono solo messo delle cuffie e ho guardato fuori dal finestrino. Stavamo attraversando una zona rurale, c'erano sterminati campi di erba, ma a un certo punto ho visto un albero con una sorta di logo giapponese attaccato sopra, e ho subito iniziato a pensare che forse, lì nel Midwest, c’era una fabbrica di robot e ho pensato a un robot che esce dalla fabbrica per la prima volta e che si trova di fronte l’erba, gli alberi, il cielo… Ho pensato che poteva essere una bella scena per un film, poi l’ho messa da parte, e mi sono dedicato a altro, ma l’immagina continuava a venirmi in mente durante il viaggio e così ho iniziato a costruirci una storia intorno e per quando siamo arrivati a casa dei genitori della mia ragazza avevo a grandi linee tutto il film in mente.”
Edwards definisce questa genesi insolita, perché “di solito stai almeno per un anno a soffrire e a cercare una storia, e a cercare di farla funzionare”, ma insolite, a modo loro, sono state anche le riprese di The Creator, che ha seguito traiettorie produttive decisamente diverse rispetto agli standard di analoghi prodotti hollywoodiani. “Quando fai un film del genere quello che fai è disegnare un mondo da zero, realizzi tutti questi fichissimi artwork, li fai vedere allo Studio, ti viene detto che non troverai mai un posto così davvero e quindi sei costretto a girare in uno studio di posa, con un costo di 200 milioni di dollari e il green screen”, ha spiegato Edwards, che è invece riuscito a convincere la produzione a girare in location reali e poi lavorare sul girato in post-produzione in maniera innovativa.
“Se riesci a mettere insieme una troupe piccola abbastanza, i costi sono talmente ridotti che diventa più economico volare ovunque nel mondo che ricostruire tutto in studio. Abbiamo deciso di andare nella location migliore per ogni singola scena, scegliendo posti come vulcani in Indonesia, templi buddisti sull'Himalaya, rovine in Cambogia. Siamo stati in otto paesi diversi e abbiamo girato il film quasi come se fosse un film indipendente”.
Ad aiutare Edwars in questa sorta di via guerrilla-style al blockbuster, ci sono state anche nuove e leggerissime macchine da presa digitali capaci di una sensibilità fino a 12.000 ISO: "Abbiamo potuto rinuniciare alle luci grandi, pesanti e difficili da risistemare, e avere solo qualcuno che teneva una luce su un boom così come accade per i microfoni".
“E quando abbiamo finito le riprese”, ha concluso il regista, “avevamo ancora budget sufficiente perché l'Industrial Light and Magic e altre società facessero direttamente dopo il montaggio quello che normalmente avviene prima, dipingendo tutti gli elementi fantascientifici sul nostro montato, senza sprecare lavoro su un solo fotogramma.
Una modalità di lavoro che Edwards definisce “di grande efficienza, che mi piace moltissimo: non voglio mai più tornare al vecchio sistema”.
E il grande tema dell’Intelligenza Artificiale? “L’abbiamo utilizzata come una sorta di metafora, per raccontare le persone che sono diverse da te. Certo, quando ho iniziato a scrivere, nel 2018, l’IA era un po’ come le macchine volanti, o il vivere sulla Luna, ma da un anno a questa parte la questione è diventata di attualità e tutto è così surreale”, ha spiegato il regista. “Credo però che tutte le grandi innovazioni tecnologiche - l’elettricità, i computer, internet - abbiano provocato reazioni sismiche e preoccupanti sulle industrie e sulla società, ma superato l’impatto degli inizi, tutti siamo contenti che esistano. Presto penseremo lo stesso riguardo l’IA: i lati positivi avranno la meglio suoi negativi. Poi certo, lo dico perché quando ci sarà l’apocalisse dei robot forse per via di questa dichiarazione mi salveranno e non mi ridurranno in schiavitù come invece accadrà a tutti voi”.
Quel che a Gareth Edwards non interessa minimamente è la possibilità che The Creator possa avere sequel o spin-off. “Quando ho del tempo per sedermi sul divano e guardare qualcosa finisco sempre per litigare con la mia ragazza, perché lei vuole vedere delle serie e io invece dei film”, ha spiegato. “E lei mi chiede sempre perché non mi piacciano le serie, e ci ho pensato, a quale sia il mio problema, e ho capito che a me piacciono i finali. La parte di una storia che mi piace di più è come finisce, e quando cerco di pensare a delle storie lavoro sempre al contrario, partendo dalla fine, e cercando di costruire quello che viene prima in maniera da esaltare questo climax. Tutto finisce per essere auto-conclusivo. Per quanto ami questo mondo che ho costruito, penso che questa storia non sia destinata a generarne altre. Non è nel mio programma, non mi interessa”.
Nemmeno se si trattasse di un enorme successo e la produzione spingesse fortemente? “In quel caso sono pronto a una trilogia”, ha scherzato il regista.