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Pericle il nero e il noir all'italiana

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Un genere poco frequentato dal nostro cinema ma presente in molte contaminazioni fin da Ossessione di Luchino Visconti.


Dal romanzo omonimo dello sceneggiatore di fumetti Giuseppe Ferrandino, arriva sullo schermo il 12 maggio, tra hard-boiled e pulp, con un po' di noir e di polar, Pericle il nero, selezionato dal Festival di Cannes 2016 nella sezione Un certain regard, interpretato (e coprodotto) da Riccardo Scamarcio con Marina Fois e diretto da Stefano Mordini. A lanciare la fama del libro, dopo l'accoglienza tiepida della prima edizione italiana, ci ha pensato proprio la celeberrima Série noir di Gallimard.

A prima vista sembrerebbe un genere di poco successo in Italia, che non ci appartiene, ma a ben guardare non è così, anche se le caratteristiche del nostro noir sono molto diverse da quelle dei loro omologhi francesi e americani. Come c'è stata una commedia all'italiana, insomma, c'è stato - e c'è - anche un noir all'italiana, partito in ogni caso piuttosto tardi visto che il fascismo proibiva la rappresentazione delle realtà criminali e la traduzione dei classici letterari del genere. Ne è un esempio indiscutibile Ossessione di Luchino Visconti (1943), noir ambientato nei paesaggi della Bassa Padana, non a caso liberamente e clandestinamente tratto da Il postino suona sempre due volte di James M. Cain, che precede di un anno il capolavoro di Billy Wilder La fiamma del peccato. E' il film considerato capostipite del neorealismo e mette in evidenza, più della trama poliziesca, i paesaggi e la vita di persone fino ad allora ignorate dal cinema di regime.

Il vero precursore del noir e del poliziesco italiano è il regista Pietro Germi nella prima parte della sua carriera, con film come Il testimone (1946), Gioventù perduta (1947), La città si difende (1951) e Un maledetto imbroglio (1959, tratto da Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda). La via nazionale al noir si perderà poi riaffiorando qua e là anche nelle opere di un maestro come Antonioni, prima di confluire nel filone del poliziottesco negli anni Settanta, coi veri e propri polar di Fernando Di Leo e le crude e sadiche incursioni di Umberto Lenzi. Erano noir spuri, contaminati, dove non dominavano certo oscure atmosfere, notti nebbiose, dark ladies e private eyes che annegavano nel whisky le loro disillusioni. Il cinema noir italiano di quegli anni è più nero che sfumato e ambiguo, si svolge spesso in pieno giorno, attinge alla cronaca nera, alla violenza nelle strade e tra le mura delle centrali di polizia, ai delitti a sfondo sessuale di killer psicopatici e ai rapimenti (come nel bellissimo Cani arrabbiati (1974) di Mario Bava, insuperabile capolavoro di cinema della crudeltà).

Gli anni Settanta hanno un contraltare nel cinema d'impegno civile di Petri, Rosi e Damiani, dove l'indagine diventa quasi sempre denuncia della colpa di un'intera classe politica e sociale. Poi, anche questi filoni sembrano esaurirsi e solo nei nostri anni il cosiddetto neo noir riporta in auge il genere con film poco visti o di grande successo, poco o molto riusciti, estremamente diversi tra loro nei toni (citiamo alla rinfusa e a memoria): Quo vadis, Baby?, Romanzo criminale, Nessuna qualità agli eroi, Senza nessuna pietà, Nero bifamiliare, L'erede, Cha Cha Cha ecc., fino a Pericle il nero, che nella sua versione cinematografica ripropone, accanto ai temi e alle atmosfere noir, dense di nebbie e brume nordiche, un personaggio in fuga e in cerca di se stesso, in quello che è forse, oggi, il genere più contaminato che esista ma che permette di raccontare in modi sempre più originali quelle storie criminali che ci attraggono tanto.

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  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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