Oscar 2016: con il premio alla fotografia di Revenant vince la ripresa in digitale
Il significato dell'Oscar a Emmanuel Lubezki nell'anno di una sfida culturale con la pellicola e il 70mm di Hateful Eight.
L'Oscar 2016 per la migliore fotografia è andato a Emmanuel Lubezki per Revenant, ripreso in digitale. Con il dibattito appassionato acceso dai sostenitori della pellicola, come Quentin Tarantino e Steven Spielberg, ogni premio che vada a riconoscere un gran lavoro su luce e tessuto delle immagini diventa anche una vetrina per il mezzo con cui li si riprende. E quest'anno si guarda al presente... e al futuro. Riflettiamo sul vincitore e sui rivali che hanno perso.
L'Emmanuel Lubezki di Revenant, nonostante avesse ricevuto nella sua lunga carriera nomination per La piccola principessa, Il mistero di Sleepy Hollow, The New World, I figli degli uomini e L'albero della vita, ha conseguito l'Oscar tre volte consecutivamente solo negli ultimi tempi, proprio grazie al digitale. E ci è riuscito grazie a due registi, Alfonso Cuarón e Alejandro Gonzalez Iñárritu, che con Gravity, Birdman e Revenant hanno sfruttato a fondo le capacità delle nuove tecniche per sfoderare elaborati piani sequenza. Revenant non fa eccezione, col digitale che ha unito alla maneggevolezza delle macchine (comoda per le condizioni climatiche) una nitidezza all'altezza della natura rappresentata.
Edward Lachman, che aveva ricevuto una nomination anche per Lontano dal paradiso (sempre di Todd Haynes), per Carol ha usato il formato Super 16: una pellicola in 16mm col fotogramma più ampio del normale, pensata per essere distribuita in 35mm o digitale, con un ingrandimento che enfatizza la grana. Se ne ricava un'immagine più grezza e quindi più intima, come il film richiedeva. Un tempo era molto gettonata nelle fiction tv, ma con una cura più elaborata della luce dimostra qui di poter dare ancora molto al grande schermo.
The Hateful Eight di Quentin Tarantino, ormai lo sanno anche i sassi, è stato ripreso in pellicola col sistema Ultra Panavision 70, usato l'ultima volta per Khartoum nel 1966 (!). Robert Richardson ha fatto di tutto per adattare quegli obiettivi anamorfici, dal vertiginoso rapporto di 2.76:1, alle moderne cineprese Arriflex a 65mm. Il tutto non solo per glorificare la celluloide in modo fine a se stesso, ma per recuperare quel Cinerama (semplificato) che tra gli anni Cinquanta e Sesssanta significava condivisione di un evento cinematografico solenne, lungo, epocale. Un significato che va al di là della resa visiva.
E Richardson è un professionista duttile: basti pensare che il suo ultimo Oscar è stato per Hugo Cabret di Scorsese, realizzato in digitale! Prima c'erano state le statuette per JFK e The Aviator, e le altre nomination per Platoon, Nato il 4 luglio, La neve cade sui cedri, Bastardi senza gloria e Django Unchained.
Chi se lo sarebbe aspettato che John Seale, direttore della fotografia che ha collezionato nomination per Witness, Rain Man e Ritorno a Cold Mountain, con un Oscar per Il paziente inglese, sarebbe stato nominato proprio per Mad Max Fury Road? Non solo il funambolico film di George Miller non è girato in pellicola, ma usa il digitale moltiplicando le camere attive per ogni scena, a dismisura. Seale e Miller hanno ripreso gli attori, a detta di Tom Hardy persino disorientandoli, anche con macchine fotografiche. Un gioco di virtuosismo che si avvale delle nuove tecnologie per travolgere sensorialmente lo spettatore e far evolvere lo stesso stile del veterano regista.
Si è parlato tanto degli Oscar mancati a Leonardo DiCaprio, ma il direttore della fotografia Roger Deakins non scherza: ne vanta ora ben 13, per Le ali della libertà, Fargo, Kundun, Fratello dove sei, L'uomo che non c'era, Non è un paese per vecchi, L'assassinio di Jesse James, The Reader, Il grinta, 007 Skyfall, Prisoners, Unbroken e ora questo Sicario. Si tratta dell'ennesima possibilità per un veterano silenzioso che macina tecniche e rispetto da decenni, venendo persino consultato per moderni film animati in CGI, da case come Pixar e DreamWorks Animation. La sua lunga e ammirata militanza con la celluloide rende ancora più plausibile un passaggio dell'arte cinematografica al digitale, se i risultati sono come quelli raggiunti con Villeneuve in questo Sicario e prima ancora in Prisoners.