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La lunga corsa: presentato al Torino Film Festival il nuovo film di Andrea Magnani

Unico titolo italiano del TFF 2022, questo nuovo film del regista (che aveva esordito con Easy) vede protagonisti Adriano Tardiolo e Giovanni Calcagno. Ecco cosa ci hanno raccontato su La lunga corsa, che arriverà nei cinema italiani nella primavera 2023 con Tucker Film.

La lunga corsa: presentato al Torino Film Festival il nuovo film di Andrea Magnani

Dopo aver esordito con Easy - un viaggio facile facile, film interpretato da Nicola Nocella presentato a Locarno e che ha ottenuto due nomination ai David di Donatello, e aver sceneggiato e prodotto Paradise - Una nuova vita di Davide Del Degan, Andrea Magnani torna dietro la macchina da presa con La lunga corsa, un nuovo lungometraggio che l’unico film italiano del concorso del Torino Film Festival 2022 e che è stato selezionato anche dal Black Nights Film Festival di Tallinn e dal Trieste Film Festival.
La lunga corsa, che debutterà nei cinema nella primavera del 2023 con Tucker Film presenta di nuovo un protagonista eccentrico, o perlomeno tale rispetto agli standard di “normalità” della nostra società e del nostro cinema.
La storia è infatti quella di Giacinto, un ragazzo nato in carcere che, nel momento in cui è libero di uscire e affrontare la vita in una casa famiglia, si ritrova del tutto impreparato a farlo, spaventato dal mondo esterno, e che elegge proprio il carcere nel quale ha trascorso l’infanzia, cresciuto da un burbero e premuroso padre putativo che è anche il capo degli agenti di polizia penitenziaria, a sua casa. Facendo sempre di tutto per potervi rientrare e rimanere, compreso andarvi a lavorare, fino a quando non scoprirà una tensione verso la libertà che non sarà liberatoria solo per lui.

“L’idea per questo film viene da lontano”, ha raccontato Magnani, intervistato al TFF. “Vent’anni fa avevo letto un articolo dell’Associazione Antigone che parlava della presenza di 60 bambini che abitano in carcere fino a che non hanno l’età legale per essere fatti uscire. Per me è stata una notizia scioccante, che mi ha dato lo spunto per costruire un personaggio che è metafora di qualcosa di più grande. Tutti noi”, ha spiegato il regista, “siamo incastrati in recinti che ci costruiamo attorno noi stessi per evitare affrontare la vita e i nostri sogni”.
A interpretare Giacinto c’è Adriano Tardiolo, il protagonista di Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher, che ha parlato di un personaggio diverso a quello di Lazzato “perché frutto del luogo in cui vive. Nel momento in cui si deve allontanare da questo luogo, fa di tutto per ritornarvi. È comunque un personaggio puro, senza tante sovrastrutture, atipico, buono in un ambiente duro come quello di un carcere che lui elegge a casa e grembo materno”.
Quel carcere è anche l’ambiente naturale di Jack, il secondino che fa da padre a Giacinto, interpretato da Giovanni Calcagno. “In quel luogo io ricevo qualcosa di custodire che è prezioso e puro”, ha detto l’attore. “Per questo rapporto, io che ho perso mio padre da molto giovane e non ho potuto godere della sua presenza, mi sono chiesto cosa sia un padre, e a cosa può essere servita la paternità di jack nei confronti di Giacinto”.
Il rapporto tra i due protagonisti è stato assimilato da Calcagno a quello tra Geppetto e Pinocchio, e in qualche modo a quello tra Giuseppe e Gesù: “non perché il film parli o ragioni sul sacro, perlomento esplicitamente, ma perché quello di Giuseppe è l’esempio più importante di come un padre putativo possa costruire una esistenza che porta una luce di libertà”.

Anche Tardiolo ammette di aver pensato a Pinocchio, vendendo il film dopo la fine delle riprese, e Magnani, che pure non cita storie di riferimento, ammette che “non era il neo neo realismo il registro per una storia come questa, ma quello della favola, la favola che è l’unico modo per arrivare alla surrealtà della realtà. Il carcere è un luogo depositario di sofferenza, per chiunque lo viva, anche per chi ci lavora, e per raccontarlo c’era bisogno di uno sguardo puro e innocente, quello di Giacinto”.
Riguardo il fatto che i suoi personaggi siano degli eccentrici, Magnani rovescia la questione: “Penso che siano loro i normali, sui quali puntiamo troppo poco i riflettori, al cinema e nella vita. Poi io cerco di arrivare a un approfondimento del personaggio attraverso un qualche risvolto che possa alleggerire: penso che nello scarto tra quello che siamo e come ci percepiscono gli altri, o che vorremmo gli altri ci percepiscano, ci sia lo spazio della commedia. A me viene naturale camminare su quella linea di demarcazione, raccontando con maggiore leggerezza gli aspetti più drammatici del mondo. Forse anche per evitare di dare risposte a me stesso”.
Girato tra l’Italia e l’Ucraina, in una realtà che il regista ha voluto “senza luogo e senza tempo”, La lunga corsa è un film formalmente molto geometrico e studiato. “La simmetria era per me un valore importante se non dirimente”, ha commentato Magnani. “Dove ho potuto ho diviso l’immagine in parti uguali, mettendo il personaggio al centro, per rappresentare così la divisione tra dentro e fuori, bianco e nero, giusto e sbagliato. E la geometria del film è anche un modo”, ha ammesso, “per raccontare la gabbia, o la scatola, di cui sono parte integrante”.

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