Jessica Chastain: la diva del futuro sbucata dal passato
Quando Al Pacino la scelse per interpretare il ruolo di Salomé nel suo Wilde Salomé, visto al Festival di Venezia nel 2011, non la conosceva nessuno. Oggi, invece...
Quando Al Pacino la scelse per interpretare il ruolo di Salomé nel suo Wilde Salomé, visto al Festival di Venezia nel 2011, non la conosceva nessuno.
Ma in molti uscirono dalle sale del Lido turbati per la sua bellezza e la sua bravura.
Quando poi la chiamò Terrence Malick per The Tree of Life, non è che fosse più nota, nonostante avesse già recitato in film come Take Shelter, il Coriolanus di Ralph Fiennes, il thriller impegnato The Debt.
Ora, però, Jessica Chastain la conoscono tutti.
Più ancora che Terrence Malick (o forse assieme a lui), poterono le sue partecipazioni in The Help, popolarissimo negli Stati Uniti, e recentissimamente in quel Zero Dark Thirty che la vede impegnata in un ruolo bellissimo e difficile, che la Chastain ricopre con un’intensità invidiabile, modulando i toni, trasformandosi, alternando e mescolando fragilità e determinazione.
Sono tante le scene e i momenti del film di Kathryn Bigelow che rimangono impressi anche grazie all’interpretazione della sua protagonista: e se quella silenziosa lacrima finale era e rimane una folgorazione, sarebbe ingiusto dimenticare il resto.
D’altronde, che l’Academy l’abbia, lei sì, dimenticata per l’Oscar 2013 è uno scandalo solo per coloro che continuano a credere al senso e alla sensatezza artistica dei premi.
Il mix di fragilità e forza messo in scena in quel film, per Jessica Chastain sembra essere qualcosa di innato, di connaturato ad un volto e un fisico che lo esprimono epidermicamente.
Bellezza algida, dalla sensualità che brucia sì, ma come il ghiaccio, la Chastain sarebbe stata sicuramente una perfetta musa per Alfred Hitchcock: e lo prova anche la sua interpretazione di Maggie Beauford in Lawless di John Hillcoat, dove con la sua imperturbabile eleganza e il suo torbido atteggiamento sono capaci di smuovere perfino il cuore e le viscere del ruvidissimo Forrest di Tom Hardy.
Agghindata e coiffata anni Trenta, Jessica Chastain appare esplicitamente come diva che guarda alla dimensione iconica e distaccata delle Garbo di ieri e alle Blanchett di oggi e assai meno alla focosità più carnale di quella Rita Hayworth che sembrerebbe a prima vista un riferimento immediato, dato il rosso dei capelli che le accomuna.
Come l’Atomica accettò di cambiare il colore dei suoi capelli per il marito Orson Welles, così la Chastain appare con un inedito e donante caschetto nero in un film per lei altrettanto inedito come La madre, incursione nel genere e nell’horror più popolari e mainstream per un’attrice che ha finora privilegiato il cinema d’autore, spesso e volentieri ospite dei principali festival internazionali ma comunque mai pedante.
Oltre a praticamente quasi i titoli citati, ai festival, sono andati anche il thriller di Amy Mann, figlia di Michael, Texas Killing Fields e l’ultra arty Tar con James Franco: rispettivamente a Venezia e a Roma.
E a un festival siamo pronti a scommettere che vedremo anche il Miss Julie di Liv Ullman, che porta al cinema Strindberg e nel quale la Chastain sarà ancora una volta protagonista; e, perché no, forse anche il doppio The Disappearance of Eleanor Rigby, doppio film che, citando i Beatles nel titolo, racconterà la storia di una coppia dal punto di vista di lei e di lui.
Se poi, come vuole il gossip, alla Chastain è stato offerto il ruolo di Jane in un film che rifondi la mitologia di Tarzan, si tratterà solo dell’ennesima sfida di un’attrice che guarda al suo lavoro e al futuro con una determinazione serena, placida ma senza dubbio indomita, e che si propone - Zero Dark Thirty insegna - come un nuovo emblema femminile e diversamente femminista per il Terzo Millennio.