George Clooney: un sex symbol che fa il regista raffinato (e naturalmente ci riesce)
Con l'uscita in sala di Monuments Men, ripercorriamo la carriera da regista del divo.
1) Star della TV con il medical drama E.R. (dal 1994 al 1999)
2) Padrone di un maialino vietnamita di nome Max (1987 - 2006)
3) Proprietario di una villa sul Lago di Como (a Laglio dal 2002)
4) Volto di marchi commerciali (Nespresso, Martini, Fiat, Fastweb, dal 2006 a oggi)
5) Co-fondatore dell’associazione umanitaria Not On Our Watch (2008)
6) Tra i cento uomini più influenti al mondo (Time, 2007, 2008 e 2009)
7) Maschio più sexy della Terra (People Magazine, 1997 e 2006)
8) Collezionista di fidanzate in costante turnover (tra cui Elisabetta Canalis, 2009 - 2011)
9) Vincitore di due premi Oscar (nel 2005 per Syriana e nel 2013 per Argo)
10) Grande appassionato di motociclette (da sempre)
Questo elenco raccoglie alcune informazioni che sono o sono state vere. E soprattutto sono risapute. Chiunque stia leggendo ora, almeno un paio dei suddetti punti li conosce da tempo. Clooney grande attore, Clooney grande seduttore, Clooney grande divo. Se ne parla da anni in queste vesti del buon George che in un ventennio di carriera e vita pubblica ha dimostrato molte qualità che vanno al di là del divismo e del sex appeal: talento, intelligenza, buon gusto, altruismo, ironia e uno spiccato senso artistico e imprenditoriale.
Il George Clooney regista è il nucleo di questo articolo. Siamo d’accordo, è sexy come pochissimi altri uomini al mondo, ma non deve passare inosservato il buon occhio che possiede per le storie che sceglie di produrre, scrivere, dirigere e interpretare in ruoli minori. Dall’esordio del 2002 ha affinato notevolmente la sensibilità autoriale lasciandosi ancora margini di miglioramento, procedendo con cautela, continuando a prendere le misure da dietro la macchina da presa, ma non c’è dubbio che sia nato con il compasso in mano.
Le sue cinque regie cinematografiche coprono un arco di 15 anni con stupefacente regolarità, una ogni tre. Partiamo dall’ultimo film.
Monuments Men (2014)
Il fascino dei film ambientati durante la Seconda Guerra Mondiale ha sedotto Clooney fin da quando era ragazzino. L’occasione di cimentarcisi in prima persona arriva grazie ad un libro di Robert M. Edsel e Bret Witter che racconta una storia vera e poco nota. Un gruppo di storici dell’arte, artisti e curatori di musei si incaricò di ritrovare e salvare le opere d’arte trafugate dal Terzo Reich, prima che Hitler desse l’ordine di distruggere tutto. Oltre all'amico Matt Damon e a se stesso, George chiama a comporre il gruppo anche John Goodman, Bill Murray e il francese Jean Dujardin, star di The Artist. Il film è in concorso al Festival di Berlino e in uscita nelle sale il 13 febbraio.
Le Idi di Marzo (2011)
L’unico film contemporaneo, finora, tocca uno dei temi sensibili per il buon George: la politica. Aperto sostenitore di Barack Obama, Clooney trae la storia dalla pièce teatrale "Farraguth North" di Beau Willimon per spiegare che il mondo politico americano si muove su una scacchiera tra ricatti e compromessi, e i buoni propositi dei leader sono comunque inquinati. Niente di particolarmente rivelatorio, almeno per noi italiani, ma il film coglie in pieno la fredda e intensa atmosfera del thriller politico grazie anche alle splendide interpretazioni di Ryan Gosling e del compianto Philip Seymour Hoffman.
In amore niente regole (2008)
In sostanza il suo obiettivo è raccontare l’America cambiando ogni volta punto di vista. In questo caso lo fa riesumando le screwball comedy degli anni ’30 con una storia ambientata nel 1925. Sono i primi anni di vita della NFL (la lega professionistica di football) e anche quelli che precedono la Grande Depressione. La confezione è romantica, ma di fondo la lucidità e lo stile del Clooney regista fanno del film un omaggio al cinema di quel periodo godibile tanto per chi lo conosce quanto per chi ne è estraneo. Probabilmente la meno efficace delle cinque regie, ma comunque sottovalutata.
Good Night, and Good Luck. (2005)
Quando “comunismo” significava “terrorismo” negli Stati Uniti degli anni ’50, per via di alcuni fanatici tra i quali il senatore Joseph McCarthy, George non era ancora nato. Suo padre Nick però studiava giornalismo e la figura di Edward R. Murrow, l’anchorman della CBS che ha tenacemente lottato contro il maccartismo e le sue liste nere, è stata per Clooney Senior un punto di riferimento. Raccontare questo pestaggio dei diritti civili nella recente storia americana, peraltro in bianco e nero, è stato per George Clooney un atto dovuto, tanto da aver fissato il suo stesso compenso in tre dollari pur di riuscire a fare il film. Magistrale prova del protagonista David Strathairn, vincitore della Coppa Volpi al Festival di Venezia.
Confessioni di una mente pericolosa (2002)
Il debutto alla regia era nell’aria. Clooney ha sempre avuto il grilletto artistico facile. Nel 2000 aveva prodotto l’esperimento televisivo A prova di errore, un TV movie ambientato durante la guerra fredda in una sala di controllo aereo andato in onda in diretta come se fosse una pièce teatrale. L’occasione per la prima regia cinematografica la cerca, ma è il film a trovare lui. Dopo un paio di rinunce di altri registi, George familiarizza con l’idea di dirigere una sceneggiatura dell’eccentrico Charlie Kaufman, tratta dall’autobiografia di Chuck Barris. Quest’ultimo è stato negli anni ’60 e ’70 un autore e conduttore televisivo, e nelle sue memorie sostiene di aver fatto per un certo periodo anche il sicario per la CIA. Non un esordio semplice per Clooney che, considerato il mélange di generi (spy-story, satira, biografico, commedia romantica, rompicapo), poteva facilmente sbagliare i toni. Invece congratulazioni George, era solo l’inizio di una nuova carriera.