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Festival di Cannes 2008 - sui FILM del quinto giorno

Nella domenica cannense inevitabilmente nel segno di Steven Spielberg e del suo atteso quarto episodio della saga di Indiana Jones, il concorso della quinta giornata della 61esima edizione del Festival di Cannes dà spazio a Gomorra di Matteo Garrone, di sicuro una delle opere più interessanti della competizione. Discorso opposto per il...


Festival di Cannes 2008: sui FILM del quinto giorno

Fino al momento in cui queste righe vengono scritte, il concorso della 61esima edizione del Festival di Cannes ha offerto al pubblico presente in Croisette alcuni prodotti molto medi ed altri francamente di livello assai basso.
Ma la punta negativa, probabilmente ineguagliabile nelle giornate a venire, è stata raggiunta con la presentazione di Serbis, film diretto dal regista filippino Brillante Mendoza.
Serbis è tutto ambientato dentro un fatiscente edificio, dove una famiglia allargata gestisce un cinema porno (etero) frequentato da gay ed affollato da giovani prostituti. Difficile sintetizzare gli avvenimenti: quello di Mendoza è un film che racconta sostanzialmente la vita quotidiana della famiglia in questione, fatta di piccole e grandi questioni.
Caratterizzato da una regia a tratti frenetica e soprattutto da un mix audio che lascia costantemente prevalere i rumori di fondo ed i suoni del traffico sui dialoghi dei protagonisti, Serbis è un film di rara arroganza e dagli intenti metaforici sfacciati e fastidiosi: il cinema gestito dai protagonisti si chiama “Family” ed il film di Mendoza si apre su dei titoli di testa che ricreano il rumore video e audio di una vecchia pellicola rovinata e si chiude - senza concludere alcuna vicenda – con un effetto che imita il bruciare della pellicola. Come a dire: il cinema è e deve essere lo spaccato della vita e via dicendo.
Qualcuno parlerà di film scandalo per via di alcune esplicite scene di sesso etero ed omosessuale, ma il vero scandalo risiede altrove, non ultimo nella sua collocazione in concorso.

Per una volta a risollevare le sorti di un Festival e di una sua sezione è invece il cinema italiano: Gomorra, la personalissima traduzione cinematografica realizzata da Matteo Garrone dell’oramai popolarissimo libro di Roberto Saviano.
Garrone isola alcune vicende raccontate da Saviano – come quella del sarto Pasquale o di Don Ciro, il “sottomarino” incaricato di portare i soldi alle famiglie dei camorristi in carcere – e gliene affianca delle altre, solo ispirate a quanto raccontato nel libro.
Dal punto di vista formale, Garrone traduce lo stile magmatico di Saviano stando attaccato ai suoi protagonisti e lasciando gli sfondi quasi sempre sfocati, mescolando le storie sul piano temporale e narrativo, svuotando da ogni retorica o strutturazione il tradizionale racconto cinematografico sulla criminalità.
Il risultato è quello di un film potente, cupissimo e ansiogeno, dove da ogni punto di vista viene rappresentata l’assenza di prospettive e di possibilità di evasione da una situazione sociale (da un “Sistema”, appunto) letteralmente rivoltante alla quale pare però impossibile porre alcun tipo di rimedio.
Un film intelligente, viscerale e spiazzante.

Rapida citazione per 24 City, il film di Jia Zhangke anch’esso presentato in concorso: il regista cinese conferma il suo gusto per l’immagine e la capacità di fissare fotografie in movimento di grande impatto ed efficacia, ma lavora su una struttura narrativa decisamente punitiva, tanto da far perdere di efficacia quanto di buono realizzato dal punto di vista visivo.

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