Festival di Cannes 2008 - settima giornata all'insegna degli Stati Uniti
Gli Stati Uniti monopolizzano il concorso del Festival di Cannes con l’accoppiata James Gray – Clint Eastwood, che presentano rispettivamente la (finta) commedia romantica Two Lovers ed il dramma noir The Exchange (fino a poche ore fa noto col nome di Changeling).
Festival di Cannes 2008: settima giornata all'insegna degli Stati Uniti
Quando fu annunciata la presenza in concorso di Two Lovers, il nuovo film del regista di The Yards e del recente I padroni della notte James Gray, fu descritto da molti come una commedia romantica, nella quale Joaquin Phoenix interpreta un uomo diviso tra l’amore per una bizzarra vicina di casa e quello per la figlia di dei futuri soci d’affari dei genitori.
Se è vero che ridotta all’osso la trama del film è questa, va però detto che quello di Gray è un film che ha davvero ben poco a che fare con la commedia e che invece parla in maniera sostanzialmente drammatica ed inquietante dell’amore e della sua impossibilità se non a costo di numerosi compromessi.
Il personaggio di Phoenix, Leonard, è infatti un uomo che non ha ancora superato il trauma di un matrimonio andato a monte all’ultimo secondo, trauma che l’ha persino spinto a compiere dei tentativi di suicidio; quando all’improvviso e praticamente in contemporanea nella sua vita entrano le due “amanti” del titolo, la Sandra di Vinessa Shaw e la Michelle di Gwyneth Paltrow, riesce a dimenticare il passato ma è costretto però ad affrontare nuovi e complessi problemi.
Sandra è infatti la donna innamorata di lui e pronta a proteggerlo ed accudirlo, ma che lui però non ama; perlomeno non nella maniera viscerale ed istintiva con cui ama Michelle, ragazza instabile e inconsciamente opportunista che lo usa come spalla su cui piangere senza esserne minimamente innamorata. Sandra è per Leonard la sicurezza figlia di tanti (troppi) compromessi, Michelle l’amore passionale ed impossibile, dal cui fantasma non si riesce mai a liberarsi.
E Gray, utilizzando lo stile raffinato e solenne che lo contraddistingue, lavora sui dettagli, sulle psicologie, sui rapporti per far nascere da una trama forse banale un racconto delicato e scomodo sulla condizione dei sentimenti umani, fino ad un finale forse apparentemente consolatorio ma raggelante nella spietatezza del messaggio che veicola.
Si potrebbe forse obiettare che Joaquin Phoenix è troppo manierato e gigione nel ritratto di un Leonard instabile e dalla maturità sentimentale pari a quella di un adolescente, ma è un dettaglio in un film che convince per efficacia e strutturazione e per l’intelligente opera di ribaltamento dei tradizionali canoni delle commedie romantiche.
Se Gray convince, lo fa altrettanto – se non di più – il grande Clint Eastwood, che in concorso presenta The Exchange (fino a poche ore fa noto come Changeling), film inspirato da un fatto di cronaca realmente accaduto nella Los Angeles di fine anni Venti.
Christine Collins – interpretata da una brava e intensa Angelina Jolie – è una giovane donna, madre single di un bambino, Water, che adora. Un giorno però, tornando a casa dal lavoro, scopre che Walter è scomparso: dopo 5 mesi la polizia le annuncia che Walter è stato ritrovato sano e salvo, ma una volta di fronte al bambino, Christine si accorge che non è suo figlio. Ciò nonostante, la polizia di Los Angeles, pur di evitare ogni brutta figura di fronte all’opinione pubblica, farà letteralmente di tutto per screditare le affermazioni della donna. Christine dovrà quindi lottare contro un Sistema che per opportunismo la vuole ingannare prima e ridurre al silenzio poi, e allo stesso tempo con l’ansia legata al destino del figlio. Se la prima battaglia riuscirà a vincerla, per la seconda il discorso sarà assai diverso.
Quello di Eastwood è un film di grande intensità ed al tempo stesso dotato di una misura e di un rigore non solo narrativi ma persino etici che in pochi oggi sono in grado di raggiungere: con il suo stile elegante e trattenuto, il regista americano tratteggia un dramma tanto incisivo dal punto di vista personale quanto ampio e sfumato fino a toccare temi più alti e collettivi.
L’Odissea di Christine, che impara a lottare con determinazione per suo figlio e per i suoi diritti contro un potere arrogante e prevaricatore, coinvolge e commuove, rimanendo sempre nell’ambito di una sobrietà registica ed interpretativa davvero notevole.
Per dovere di cronaca segnaliamo anche oggi in concorso è stato presentato anche Delta, dell’ungherese Kornél Mundroczò. Allievo di Bela Tarr, il regista ne mutua molte delle caratteristiche, realizzando un opera non priva d’interesse per la sua struttura formale e visiva, fatta di dilatazioni temporali e spaziali, di indugi sulle bellissime scenografie naturali ma che non convince (e anzi tedia in maniera non indifferente) con una trama eccessivamente minimale e astratta che vorrebbe raggiungere profondi significati ma che non incide in maniera significativa sullo spettatore. Uno di quei film, come molti di quelli che vi abbiamo finora raccontato, dove la voglia di essere “autori” e impegnati affonda la capacità comunicazionale dell’opera.
In conclusione una segnalazione riguardante Un Certain Regard, dove ieri è stato presentata un’altra opera prima intitolata Versailles. Nel film Nina è una giovane ragazza disoccupata costretta a vivere per strada con il figlioletto Enzo. Spostandosi di continuo alla ricerca di un rifugio, nei parchi che circondano la reggia francese che dà il titolo al film, Nina incontra un altro homeless come lei, Damien. Dopo aver trascorso una notte con l’uomo, Nina fugge via, lasciando Enzo alle cure di Damien, che da personaggio burbero e schivo diverrà un vero padre per il bambino.
Il film scritto e diretto da Pierre Schoeller è esattamente quello che ci si aspetta leggendone la trama: un dramma piuttosto tradizionale quindi, incapace di particolari picchi, ma che ha il merito (tutto relativo) di evitare i toni più sdolcinati e strappalacrime che una storia del genere potrebbe imporre e di scegliere quasi sempre la via della sobrietà.
Nel complesso un film che non raggiunge la sufficienza, piuttosto trascurabile se non fosse per la presenza sempre incisiva e magnetica di Guillaume Depardieu, che nel film interpreta Damien.