Brado, un western esistenziale a pieni polmoni: il nostro incontro con Kim Rossi Stuart
Un figlio vuole crescere, superare il peso di un rapporto molto complesso con il padre, a cui si riavvicinerà. Brado, il terzo film da regista di Kim Rossi Stuart, arriva al cinema il 20 ottobre.

Western esistenziale. Una definizione che convince Kim Rossi Stuart. Il riferimento è al suo terzo film da regista, Brado, che ha presentato alla Casa del Cinema di Roma e che uscirà il 20 ottobre #Soloalcinema distribuito da Vision. Si è fatto immortalare anche con Trevor, il cavallo protagonista al suo fianco e insieme ai due giovanissimi coprotagonisti, Saul Nanni e Viola Sofia Betti.
Dopo aver raccontato “la pancia” nel suo esordio, Anche libero va bene, e “il cervello” in Tommaso, in Brado sono “i polmoni” a essere sollecitati, in una storia tratta dal racconto La lotta, contenuto nella raccolta Le guarigioni, scritta dallo stesso Kim Rossi Stuart, che si è occupato anche dell’adattamento insieme a Massimo Gaudioso. Un’impresa dura, in cui ci sono stati “anche scontri, per una sfida davvero complicata”, come ricorda il regista e interprete, ringraziando i produttori di Palomar e Vision Distribution.
La storia è quella di Tommaso (Saul Nanni), un figlio che non vuole avere a che fare con suo padre, Renato (Kim Rossi Stuart), ma è costretto ad aiutarlo a mandare avanti il ranch di famiglia. I due si ritrovano per addestrare un cavallo apparentemente indomabile. Provano a riavvicinarsi dopo anni di rabbia e incomprensioni. Un percorso difficile, in parallelo con il cavallo e per riavvicinarsi come in passato. In questa impresa li aiuterà un'addestratrice di cavalli, Anna (Viola Sofia Betti), di cui Tommaso si innamora.
Nel film c’è qualcosa del rapporto del regista con il padre Giacomo, a cui Brado è dedicato. “È stato bravo a regalarmi l’autonomia”, ha dichiarato Rossi Stuart, “un insegnamento importante anche per me, padre di oggi. Uno spunto di riflessione utile per aiutare i ragazzi a diventare autonomi. Farli stare in un brodo di giuggiole è un problema. Brado, in ogni senso, è il cavallo, ma anche il ranch, il padre, l’educazione selvaggia alla quale ha sottoposto il figlio. Il quale a un certo punto gli dice, ‘Tu non sei Dio, che puoi decidere della vita e della morte’. Sono partito dalla voglia di raccontare un’ambientazione, volevo far vivere allo spettatore l’emozione che avevo vissuto in gioventù legata alla relazione con i cavalli e la natura. Solo chi ha galoppato in maniera sfrenata all’imbrunire può capire di cosa sto parlando. Un’emozione orgasmica che smuove tutte le endorfine, la bellezza di un confronto con l’atavico e il selvaggio.”
Il cinema di Kim Rossi Stuart ha una chiara stella polare, “la realtà”, da inseguire con passione e spesso a nervi scoperti. “È la mia ancora di salvezza. Quando la realtà si impossessa della finzione accade qualcosa di magico. I miei personaggi attraversano, come nella vita, la sofferenza. Accettare cose poco piacevoli porta a una rinascita, a un’epifania. Di questo sono convinto. In Brado sono partito dal genere ‘impresa sportiva’ classico, per poi disattenderlo, verso uno scavo psicologico e filosofico. Ho cercato di parlare di cose importanti, del rapporto fra un padre e un figlio, al centro della vita umana fin da quando siamo apparsi su questo pianeta. Una visione edipica del padre che pone inconsapevolmente un notevole fardello sulle spalle del figlio. Lo obbliga a lottare per trovare la propria identità, libera e diversa da quella del padre. È una storia di liberazione e guarigione. Entrambi lottano per ritrovare la tenerezza e l’amore dello sguardo riservato da un padre al figlio tenuto in braccio appena nato. Nella storia si coagulava il tema del respiro, legato alla genesi della creazione: ricorre nei cuccioli degli animali e nell’hackamore, lo strumento per governare il cavallo, che ha una sua dolcezza, ma blocca anche il respiro.