Armando Pizzuti: da Paolo Sorrentino a Michael Mann, ritratto di un direttore di casting
Armando Pizzuti fa parte della giuria della dodicesima edizione del Procida Film Festival ed è un direttore di casting che ha lavorato con grandissimi registi italiani e internazionali. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare nel dettaglio il suo mestiere.
La giuria del Procida Film Festival 2024, che dovrà scegliere quali cortometraggi premiare, è formata dall'attrice e regista Michela Andreozzi, dalla produttrice Paola Lucisano, dall'attore Fabio Troiano e dal casting director Armando Pizzuti. Se Fabio e Michela li abbiamo intervistati diverse volte e quindi ci sono familiari, Armando lo abbiamo conosciuto durante una delle cene del festival, rigorosamente post serata.
La figura del casting director ci ha sempre incuriosito, forse perché fino a non molto tempo fa se ne parlava poco. Oggi non è più così, tanto che nel 2025 verrà assegnato il primo David di Donatello a un rappresentante della categoria. Anche l’Academy ha deciso di istituire l'Oscar per il miglior casting director, che debutterà nel 2026. Armando è molto contento di questi riconoscimenti e ci spiega innanzitutto in cosa consista nel dettaglio il suo lavoro: "Tante persone non conoscono il lavoro del casting director, e quindi sono contento di rispondere a questa domanda. La prima cosa che noi casting director facciamo è leggere la sceneggiatura, quindi il produttore o lo sceneggiatore ci manda la sceneggiatura e noi iniziamo a leggerla, e già in questa fase si fanno strada delle ipotesi sugli interpreti dei vari personaggi, perché magari conosciamo degli attori e pensiamo che possano essere giusti. Dopodiché incontriamo il regista e ci confrontiamo con la sua maniera di vedere i personaggi, e quindi come li immagina fisicamente, l'età e il carattere che pensa dovrebbero avere. In seguito a questo scambio di idee, contattiamo le agenzie con una cast list dei personaggi a cui abbiamo bisogno di dare un volto e ci facciamo mandare delle proposte di attori. Quando le abbiamo ricevute, facciamo una selezione. Il secondo passo è un provino o una richiesta di selftape che poi il regista vedrà, scegliendo le persone che desidera incontrare dal vivo nel famoso callback. Ci può essere un solo callback, ma a volte ce ne sono due o tre. Ci sono stati anche 7 callback. Capita anche che un regista scelga anche solo vedendo un self tape.
Immagino che ci siano altri modi per conoscere un attore…
Proprio così. Li si può andare a vedere a teatro, ad esempio. Io mi consulto con i miei amici attori, che mi permettono di raggiungere candidati che non sono legati a un'agenzia. A volte utilizziamo anche i social media, quindi per alcune ricerche particolari mi capita di mettere degli annunci su Instagram o su Facebook, ad esempio quando si tratta di trovare i bambini per un film. Il lavoro del casting director è un lavoro di grande responsabilità e io cerco di svolgerlo al meglio.
Prima di diventare casting director facevi l'attore. Cosa ti ha portato a cambiare mestiere?
Io nasco come attore, ho sempre studiato recitazione, fin da quando ero ragazzino, e sognavo il set e il palcoscenico. Poi mi sono trasferito a Roma, dove ho continuato a studiare recitazione e a lavorare per il cinema, la televisione e il teatro. Sono andato avanti così per 10 anni. Dopodiché, un giorno, il mio agente mi ha detto che stavano cercando per The Young Pope un assistente al casting che parlasse inglese. Così ho fatto un colloquio con la casting director di Paolo Sorrentino, che è Anna Maria Sambucco, e da lì è cominciato tutto, e devo dire che è cominciato un po’ per caso. Era una cosa che non stavo cercando, è capitata ed è stata un'esperienza bellissima. Da lì poi mi hanno offerto un lavoro, poi un altro e un altro ancora, e quindi a un certo punto mi sono detto: forse devo fare questo mestiere. Adesso, se ci penso, mi viene in mente che l'aver fatto l'attore sia stata una via per arrivare a fare il casting director. Credo davvero che le cose non accadano per caso.
Com’è stato lavorare per la serie di Paolo Sorrentino con Jude Law?
Per me The Young Pope è stata la prima esperienza in assoluto, quindi l'impatto è stato forte, perché si trattava di una produzione grandissima, con attori internazionali. Inoltre ho avuto la possibilità di cercare attori in tutto il mondo: ad esempio in Sudamerica, negli Stati Uniti, in Australia, in Asia. La serie si è rivelata una magnifica opportunità perché mi ha aperto tante porte a livello internazionale, dandomi la possibilità di conoscere attori e agenti ovunque.
Visto che hai lavorato per diverse produzioni statunitensi, ti chiedo se un casting director americano sia tanto diverso da un casting director italiano.
Negli Stati Uniti il metodo è più o meno uguale. Gli States sono sicuramente un mercato più grande, quindi ci si rapporta con tante agenzie in più. La cosa diversa rispetto all'Italia è che i casting director si occupano anche di chiudere il deal con gli attori, insomma sono loro che parlano di soldi con gli agenti, cosa che da noi non si fa, anche se negli ultimi anni le produzioni, soprattutto quelle internazionali, hanno cominciato a chiederci di occuparci dell'aspetto economico di un film.
Hai un signor curriculum, e tra i registi internazionali per cui hai lavorato ci sono Ben Affleck, Terrence Malick e Michael Mann. Cosa mi puoi dire di queste tre esperienze?
Che sono state molto belle. Il lavoro per Ben Affleck (per La legge della notte, ndr) è capitato per caso quando stavo facendo l’assistente per The Young Pope. Ricordo che ho trovato per caso una mail nello spam e non l'ho cancellata automaticamente come faccio di solito. Veniva da Mindy Marin, che era la casting director di Ben Affleck e che è molto famosa negli USA. Mi ha detto che aveva sentito parlare di me da un agente di New York con cui stavamo lavorando su The Young Pope e poi mi ha chiesto se volessi collaborare con lei per cercare in Italia un attore per un determinato ruolo. Rammento che non mi sentivo all'altezza, ma ho accettato ed è stato molto bello. Alla fine abbiamo scelto Remo Girone.
L'incontro con Michael Mann (per Ferrari ndr) è stato meraviglioso: vedere un regista di quella grandezza che nei provini prendeva in mano la camera e girava mi ha veramente colpito. Michael Mann è una persona che sa benissimo quello che vuole e che non smette mai di lavorare, nemmeno durante la pausa pranzo. Ha un'energia incredibile.
E Terrence Malick?
La collaborazione con Terrence Malick è stata una delle più importanti della mia carriera e forse la più particolare, perché ci chiedeva di fare dei provini e di selezionare gli attori secondo una modalità completamente diversa da quella a cui eravamo abituati. Innanzitutto non sapevamo niente della sceneggiatura e non potevamo leggerla, e quindi non era facile scegliere gli interpreti giusti per il film. Non potevamo neanche dire agli attori chi fosse il regista, quindi questi poverini venivano al provino completamente al buio. La cosa che Malick ci chiedeva di fare era parlare con gli attori per capire che persone fossero a livello umano, quindi posso dire con certezza che è stata un’esperienza unica. il film è ancora in montaggio e stiamo ancora aspettando di vedere il risultato del suo e del nostro sforzo.
Anche gli attori più famosi o consumati hanno paura dei provini? Sono emozionati?
Direi di sì. Mi è capitato di fare da spalla a Philippe Leroy, che aveva già più di 70 anni. Mi ricordo la sua preoccupazione e la sua paura mentre mi diceva che l’ansia del provino non passa mai, neanche a 80 anni.
Tu che il cinema lo conosci dall’interno, cosa credi che manchi nel cinema italiano, a parte i finanziamenti?
Non so, magari delle idee, perché abbiamo ottime maestranze, buoni produttori, e quindi il talento c’è. A volte però manca un’idea. Servirebbero più idee e anche giovani sceneggiatori che avessero la possibilità di veder realizzati i loro progetti. Per il resto non abbiamo nulla da invidiare a nessuno.