Xavier Dolan presenta a Cannes Juste la fin du monde: "E' il mio film migliore"
Il giovane regista canadese presenta in concorso il suo nuovo film con Léa Seydoux, Marion Cotillard, Vincent Cassel, Gaspard Ulliel e Nathalie Baye.
Xavier Dolan, personalità ribelle molto amata in patria e all'estero, porta in concorso al Festival di Cannes Juste la fin du monde: basato sul dramma di Jean-Luc Lagarce, vede Gaspard Ulliel nei panni di Louis, uno scrittore in fin di vita che torna a casa per incontrare la sua famiglia, interpretata da Nathalie Baye (nel ruolo di sua madre), Vincent Cassel e Marion Cotillard. Il film non è stato accolto con l'usuale entusiasmo unanime dalla critica, ma Dolan non è preoccupato: "Ci sono opinioni diverse. Il film parla del linguaggio, di comunicazione, ma anche di silenzi, sguardi. Forse ci vuole un po' di tempo perché sia assorbito. Io sono felice di essere qui e sono fiero del film."
Al di là dei dialoghi fitti, regista e attori sono unanimi nell'indentificare nel non detto la vera essenza dei rapporti umani nel film. "La cosa bella del testo è il nervosismo dei personaggi, si esprimono in modo superficiale." - dice Dolan. "Il ruolo di Gaspard è complesso, gli altri personaggi parlano tanto. Lui fugge costantemente in un altro universo, in casa sua nessuno ascolta davvero nessuno. Sono personaggi umani ma sgradevoli, come la gente reale. Ho chiesto agli attori di trasmettere i difetti degli esseri umani." Marion Cotillard parla addirittura di un "suono del silenzio", vera essenza dell'esperienza, in mezzo a dialoghi strani, pieni di ripetizioni, che ha avuto difficoltà a imparare ("Io no!", la interrompe scherzando Cassel).
Come veicolare il silenzio nel linguaggio visivo cinematografico? "Con André [Turpin, il direttore della fotografia, ndr] ci compensiamo, siamo amici. Cerchiamo insieme i colori da usare, ma il film è costruito sul marrone e sul blu, c'è un flashback con un sacco di colori, forse perché il passato è più colorato del presente". Riguardo al formato: "Abbiamo studiato parecchio, ma ci siamo resi conto che dovevamo stare sulle facce dei personaggi, per questo abbiamo scelto il 2.35:1, per dare spazio alle facce. C'è un limite a quello che puoi pianificare." Dolan cita Marcel Duchamp e il valore che dava alle decisioni prese senza pensare troppo, d'istinto.
Nessun timore che l'impianto teatrale del lavoro pesasse troppo sullo schermo? "Io amo il teatro, ma non ho usato i primi piani per diversificarmi a tutti i costi, cercavo semplicemente l'emozione, volevo cogliere la qualità del testo. Ci sono messaggi nei silenzi, i primi piani dei volti erano obbligatori. Non volevo usare stratagemmi per sfuggire alla monotonia. Il film in fondo ha un'atmosfera asfissiante." E gli attori come hanno vissuto questo stile di ripresa? "Io non penso sempre a dove sia esattamente la macchina da presa." - sostiene la Cotillard – "E' difficile da spiegare, perché la camera diventa parte di te, come Xavier, si diventa un gruppo, con il regista e la stessa macchina da presa." Ulliel è d'accordo: "Avevamo in effetti la sensazione dell'amplificazione [delle emozioni sui visi, ndr]", ma la cosa che l'ha colpito di più della lavorazione è il fatto che Dolan arrivasse a spostare fisicamente gli attori sul set! "Interviene un sacco, è spiazzante all'inizio. Vuole sapere anche perché respiri, misura le emozioni e i sentimenti. E' un chirurgo, mi sentivo visto attraverso un microscopio." Dolan ride, tra il colpevole e il divertito.
Dolan ripete che considera questo il suo miglior film, ma un giornalista gli chiede di spiegarsi: "Io cerco di raccontare una storia, preferisco questo film agli altri solo perché non ci vedo difetti. Cerco di non ripetere errori passati, al massimo di farne altri."