Interviste Cinema

Wes Anderson a Venezia per Henry Sugar: "La famiglia Dahl l'aveva tenuto da parte per me"

Wes Anderson, a Venezia fuori concorso con The Wonderful Story of Henry Sugar da Roald Dahl per Netflix, ci ha raccontato in conferenza stampa qualcosa sul progetto e sul suo modo di vedere il cinema.

Wes Anderson a Venezia per Henry Sugar:  "La famiglia Dahl l'aveva tenuto da parte per me"

The Wonderful Story of Henry Sugar di Wes Anderson, a Venezia 80 fuori concorso, è un "film" di 37 minuti (a dispetto della durata, il regista tiene alla definizione), prodotto da Netflix e adattamento dell'omonimo racconto di Roald Dahl. Anderson, che non è nuovo ad adattamenti dello scrittore dai tempi di Fantastic Mr. Fox, ha presentato il film in conferenza stampa, ed era inevitabile che la conversazione ondeggiasse tra ragionamenti sul suo metodo di lavoro e sul progetto in sé.

Wes Anderson su Henry Sugar: "Il mio stile? Voglio solo fare quello che mi va di fare"

Erano trent'anni che Wes Anderson sognava di adattare in un film "La meravigliosa storia di Henry Sugar", racconto di Roald Dahl contenuto nella raccolta "Un gioco da ragazzi e altre storie". Vicino alla famiglia Dahl sin dalla sua stop-motion di Fantastic Mr. Fox, Wes aveva fatto sapere a Luke Kelly, nipote di Roald e all'epoca ancora responsabile dell'eredità letteraria, che il racconto era il suo preferito ma che - onestamente - non sapeva ancora come adattarlo ("mantenendo il linguaggio di Dahl, concentrandomi sulle parole e quindi sugli attori"). Anderson non ha mai però perso la "prenotazione", per gentilezza degli eredi Dahl, così ora ha realizzato per Netflix questo The Wonderful Story of Henry Sugar, parte di un progetto che ricava altri cortometraggi da altri racconti dello scrittore: "The Swan", "Poison" e "The Ratcatcher", che peraltro riutilizzeranno gli stessi attori (Benedict Cumberbatch, Rupert Friend, Ralph Fiennes, Ben Kingsley) in ruoli differenti.

È un po' strano definire "film" un'opera di soli 37 minuti, che però può trovare il suo spazio ideale su una piattaforma come Netflix. "Di solito lavoro da zero, ma quando adatti hai il materiale già di fronte, vuoi essere efficiente, valuto se posso essere essenziale. Siamo stati sul set due settimane e mezzo, assomiglia più alla ripresa di un'opera teatrale, che ho finalmente capito come riprendere. Non so nemmeno come descriverlo. Chi andrebbe al cinema per vedere solo quaranta minuti?" Wes sfodera poi la sua abituale autoironia e aggiunge che forse poi come durata cinematografica non è nemmeno da scartare: "A me piace andare al cinema e poi a cena, è già abbastanza, abbiamo poco tempo nella vita, in fondo".

Enfatizzare la teatralità al cinema gli trasmette per paradosso maggiore verità, in un mezzo che invece va alla ricerca dell'illusione. Ama che sui suoi set avvenga tutto davanti alla macchina da presa, senza aggiunte in post-produzione: al massimo usa il digitale per il compositing ed eventuali correzioni in post-produzione, ma "non voglio vedere green screen sul set! [...] Tutto accade sul serio lì, come nei film di Buster Keaton. Ogni ciak è come un documentario, coglie ciò che sta accadendo lì in quel momento." Le scelte registiche per Henry Sugar sono nate dalla volontà di valorizzare e concentrarsi sulla performance degli attori, con le scene che si "evolvevano" fisicamente intorno a loro. La domanda era: "Come animare un testo?"

La scelta del cast è stata piuttosto istintiva, dettata anche dalle passate esperienze con loro, come spesso accade nel cinema di Anderson, che si appella al concetto teatrale di "compagnia". La famiglia Dahl ha accettato senza remore Ralph Fiennes nei panni dello scrittore, e alla fine anche il coinvolgimento di Ben Kingsley, nonostante sulle prime Wes si sentisse "intimidito" da lui, si è rivelato un elemento importante per una lavorazione tranquilla e serena.
Proprio per la sua vicinanza a Dahl, cosa pensa delle censure "politicamente corrette" a quei testi? "Sono la persona peggiore a cui chiederlo, io non voglio che nemmeno l'artista stesso modifichi la propria opera a posteriori. Quel che è fatto, è fatto. Non ne parliamo se è morto!"

La critica e gran parte del pubblico è unanime nell'identificare uno "stile alla Wes Anderson". "Io non credo di scegliere un mio stile a tavolino, è la somma di tante scelte, che sono in pratica io che faccio quello che voglio fare! Sento di fare un film completamente diverso ogni volta, anche se ci sono delle cose che tendono ad attirarmi, e da lì capisci che dietro ci sono io." Le differenze tra film e film sono comunque limitate dalla sua mente, che è sempre la stessa e punta a determinate scelte. "Ogni film ha richieste diverse per ogni aspetto, a volte ho in mente la musica già quando scrivo, a volte mi viene in mente nella fase di missaggio. Sono processi che non si chiudono mai. È il film che ti dice quello di cui ti ha bisogno."
Vive in Francia, girerebbe un film tutto francese, in stile Woody Allen con l'ultimo Coup de Chance (anche fuori concorso a Venezia)? "Beh, io direi che sei più bravo come regista se capisci cosa dicono gli attori! È vero, si parlava anche in francese in The French Dispatch, ma io preferisco che gli attori parlino le lingue che vengon loro più naturali. Sono uno che fino a 22 anni ha vissuto sempre in Texas, avevo un perimetro di vita compatto. Però mi interessavano i film, che arrivavano da tutte le parti. Più ne vedevo più volevo muovermi. In un paese straniero anche andare a fare colazione è un'avventura, può esserlo anche una passeggiata in un contesto inusuale o straniero per te."
Wes confessa di essere legato soprattutto al cinema di Hitchcock e in particolare alla Finestra sul cortile, innamorato della capacità di Sir Alfred di allestire la scena con un esemplare chiarezza espositiva: "Vedendo quei film cominciai a pensare di voler fare nella vita qualcosa del genere".

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