Interviste Cinema

Uno svizzero alla corte del noir americano: Anthony Jerjen presenta Inherit the Viper, con Josh Hartnett

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Al Bari International Film Festival abbiamo intervistato Anthony Jerjen, che ha diretto il noir con Josh Hartnett Inherit the Viper, titolo della sezione Panorama Internazionale.

Uno svizzero alla corte del noir americano: Anthony Jerjen presenta Inherit the Viper, con Josh Hartnett

Secondo uno studio condotto di recente,negli Stati Uniti circa 130 persone muoiono ogni giorno per overdose di farmaci oppioidi, una vera e propria epidemia che il noir Inherit the Viper sceglie come punto di partenza per andare poi a esplorare tanto le dinamiche di una famiglia criminale quanto un'America dove solitudine, alienazione, alcool e disturbo post traumatico da stress sono il pane quotidiano di un'umanità derelitta e che annaspa. Inherit the Viper, che è ambientato nella regione degli Appalachi, vede protagonista un attore che un tempo legava il proprio nome a grandi titoli hollywoodiani come Pearl Harbor e Black Dahlia, e che poi ha preferito il cinema indipendente e la serie tv Penny Dreadful. Parliamo di Josh Hartnett, che qui interpreta uno dei fratelli della terribile famiglia Conley (tale Kip), che vive dello spaccio di oppiacei ed è formata anche dalla spietata Josie (Margarita Levieva) e dallo sprovveduto Boots (Owen Teague). La regia è invecedi Anthony Jerjen, che abbiamo intervistato durante il Bari International Film Festival 2020, che accoglie il film nella sezione Panorama Internazionale.

Classe 1988, Jerjen è al suo primo lungometraggio e ci spiega l'incontro con la sceneggiatura di Andrew Crabtree, finita nella black list e diventata l'ottimo film che vedremo prossimamente in Italia distribuito da Blue Swan Entertainment.
"All'epoca ero alla ricerca di una bella storia da portare al cinema e, quando ho letto la sceneggiatura di Inherit the Viper, non sapevo niente dello smercio illegale dei farmaci oppioidi e il tema mi è sembrato interessante. Ho avuto l'impressione di leggere un copione che, oltre ad avere una valenza politica e sociale, raccontava una storia familiare in maniera inedita e molto personale. La sceneggiatura di Andrew Crabtree era un'ottima miscela di elementi intriganti, e anche la qualità della scrittura mi ha molto colpito. Infine, il ritratto di una certa America mi appariva molto veritiero e puntuale"

Cosa spinge un regista europeo a raccontare una storia americana?
Noi europei abbiamo una visione idealizzata degli Stati Uniti, della storia e della cultura americana, a cominciare dal mito della frontiera. Io sono cresciuto nutrendomi di cultura americana, cultura pop, quindi sentivo forte il desiderio di esplorare in maniera dettagliata l'iconografia statunitense.

Lei crede ancora nel sogno americano?
Credo che il sogno americano sia cambiato. Prima consisteva in una casa e in un lavoro stabile, mentre adesso significa riuscire a vivere in una società stabile. Alcune persone, tuttavia, ritengono che sia naufragato. Sono abbastanza d'accordo con loro, anche se credo sia necessario reinterpretarlo alla luce di ciò che sta accadendo oggi in tutto il mondo.

Perché le interessava esplorare le dinamiche familiari?
Molte famiglie contemporanee sono lontane dalla famiglia classica, tradizionale. Ora ci sono le famiglie allargate, le famiglie con un solo genitore, eccetera, e a me interessava mostrare dinamiche diverse dal solito. Se una famiglia, come nel caso di Inherit the Viper, è formata da fratelli, non ci sono necessariamente persone che comandano, perché manca ad esempio il rapporto gerarchico fra genitori e figli, e quindi raccontarla è molto più appassionante, innanzitutto per capire se effettivamente ci sia una situazione di parità. Il personaggio di Josh Hartnett, nel film, vuole infatti essere a tutti i costi allo stesso livello di sua sorella e da lì cominciano i problemi.

La famiglia di Inherit the Viper non è esattamente un clan di anime candide. Come la giudica?
Non ho mai voluto giudicare i miei personaggi perché ho la sensazione che la maggior parte delle persone si comportino male perché proprio non possono farne a meno. Non è che si svegliano la mattina e dicono: ora faccio qualcosa di sbagliato. E’ più giusto affermare che da cosa nasce cosa e che alla fine si oltrepassa il confine di ciò che è giusto. Nel mio film i personaggi si comportano male perché la struttura sociale è crollata e l'unica maniera per andare avanti è vendere droga ai vicini e agli amici. Per alcuni è una questione di sopravvivenza, e io non ho nessuna intenzione di rimproverarli.

I personaggi di Inherit the Viper sembrano oltretutto destinati al male, come in una tragedia shakespeariana..
La mia è una storia molto classica, un perfetto esempio di tragedia. Non so se questa sia una caratteristica tipicamente shakespeariana, ma un film è sempre più interessante se i personaggi sono intrappolati in un destino che non si può cambiare, se sono costretti a percorrere una strada dalla quale non possono deviare. Kipè l'unico che prova a scappare da questa inevitabile sorte.

E’ legittimo dire che Inherit the Viper appartiene al genere noir?
C'è sicuramente un elemento noir nel racconto che ha determinato le mie scelte stilistiche, e ciò mi ha spinto anche ad ambientare Inherit the Viper in un'epoca indefinita, perché quando guardi il film con i suoi luoghi e le sue situazioni, puoi avere l’impressione di trovarti perfino negli anni '60 o '70. Nei posti di cui narro, niente è cambiato davvero in realtà, le stazioni di servizio, le tavole calda, e perfino lo smercio di droga o i laboratori di metanfetamine sono ancora confinati dentro piccole case. Le cose sono rimaste le stesse, insomma, in quella parte del mondo, e quindi ho deciso di avvicinarmi al film come fosse un thriller degli anni '70, e per questo mi sono servito di una fotografia sporca. Però si può anche avere l'impressione di trovarsi nel 2010 oppure negli anni '90.

In un'intervista Josh Hartnett ha detto di aver amato molto i silenzi del film, il suo ritmo calmo…
Quando ho letto la sceneggiatura non ho pensato al ritmo del film o ai silenzi, perché siccome si racconta una storia di fratelli e sorelle, i personaggi si conoscono così bene che non hanno poi tutta questa necessità di parlare, e quindi magari dicono solo mezza frase, dal momento che c'è molto di ovvio e sottinteso. Tutto il resto quindi è silenzio e perciò aveva senso essere il più minimalisti possibile con il dialogo e lasciare che il film respirasse. Mi piace la maniera non verbale con cui Josh e Margarita Levieva comunicano.

Torniamo agli oppiacei. Prima di leggere la sceneggiatura di Inherit the Viper era consapevole del fatto che la dipendenza dai farmaci oppioidi fosse una vera e propria malattia dell'America contemporanea?
E’ una situazione davvero strana, che esisteva già 20 anni fa e si è andata sviluppando. E’ cominciata con i medici che prescrivevano un quantitativo troppo elevato di medicine spinti dalle case farmaceutiche, ma nessuno si aspettava che la dipendenza da oppiacei si sarebbe così diffusa. E’ una follia. Tutte le persone con cui abbiamo parlato conoscono qualcuno che è morto per overdose di farmaci di questo genere. 

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