Interviste Cinema

Una notte a New York: Christy Hall ci racconta il viaggio in taxi di Dakota Johnson e Sean Penn

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Arriva al cinema il 19 dicembre l'opera prima di Christy Hall Una notte a New York, un film indipendente con Dakota Johnson e Sean Penn, ricco di sorprese. Abbiamo incontrato l'autrice.

Una notte a New York: Christy Hall ci racconta il viaggio in taxi di Dakota Johnson e Sean Penn

I 19 dicembre arriva al cinema l'opera prima della sceneggiatrice Christy Hall, il film indipendente Una notte a New York, che racconta un tragitto in taxi, dall'aeroporto J.F. Kennedy a Manhattan, e la connessione che si crea tra uno scafato tassista di mezza età e la sua giovane passeggera, che finiscono per rivelare l'uno all'altro, in quello che nasce come un gioco, con un sottinteso di seduzione, quello che non hanno mai detto nemmeno alle persone più intime. Tra i produttori di questa sceneggiatura blacklist (la lista dei migliori copioni non realizzati al cinema) c'è Dakota Johnson, che ne è la protagonista e ha coinvolto il premio Oscar Sean Penn in questo bel viaggio.. In tempo reale nello spazio del tragitto, grazie ai puntuali dialoghi e alla bravura dei protagonisti nel dar loro vita, il film avvince lo spettatore quasi come un thriller. E' venuta a presentarlo a Roma l'autrice, la loquace Christy Hall, che si è concessa con generosità alle domande dei giornalisti in una roundtable (la prima della sua vita, da cui è uscita molto contenta).

Il taxi, col suo piccolo e claustrofobico abitacolo, ha raccontato, è un po' una metafora dell'umanità e della solitudine: “a volte sali su un taxi e ti senti solo dentro questo spazio così circoscritto e quello che volevo mostrare in questa storia è che se noi siamo disponibili e pronti ad aprirci e a condividere questo piccolo spazio con qualcun altro, se semplicemente apriamo quella finestrella che nel taxi fisicamente separa il guidatore dal passeggero, a quel punto ci rendiamo conto che c'è spazio e tempo per tantissime opportunità di entrare in connessione e di stabilire un collegamento con un altro essere umano, ma dobbiamo avere il coraggio e l'apertura per farlo”

Da fruitori romani dei taxi, in cui a volte ci troviamo a conversare dei fatti nostri con chi conduce la macchina, le chiediamo se la storia sia interamente di finzione o parta da un'esperienza personale.

Questa è una storia completamente dii finzione, però basata su un sentimento molto personale, nel senso che nella mia vita non mi è mai capitato di avere una conversazione così personale con un tassista però vivendo ormai a New York da 10 anni mi è capitato spessissimo invece di chiacchierare appunto di cose anche personali con chiunque, sulla metropolitana, in un bar o anche passeggiando per strada con perfetti sconosciuti, anche perché i newyorchesi amano proprio parlare e aprirsi con gli altri e con le persone sconosciute. A New York come forse sapete si parlano addirittura più di 300 lingue quindi la parola e le conversazioni sono molto importanti e io ho cercato proprio di catturare questa che è un po' un'esperienza un'esperienza universale. Ho sentito raccontare da tantissime persone che hanno avuto questi scambi quasi catartici con dei perfetti sconosciuti, come per esempio dei tassisti, e quindi spero che anche coloro invece che non hanno mai avuto una esperienza del genere vedendo questo film magari si aprano anche a questa possibilità e la prossima volta che incontrano uno sconosciuto in un taxi magari abbiano voglia di confidarsi. Anche perché sono cose che veramente ti cambiano, anche perché spesso a un perfetto sconosciuto, perché tanto sappiamo che poi non lo vedremo più, siamo forse più pronti ad aprirci e a raccontare delle cose che non raccontiamo magari a una sorella o a un amico perché poi sappiamo che sono persone con le quali poi dovremo continuare a confrontarci mentre questo ti dà una libertà quindi assoluta e sai di non essere giudicato.

Il film, racconta Christy Hall, è stato girato in sequenza, ovvero in ordine cronologico, in questo modo:

I newyorkesi conoscono benissimo il tragitto del taxi nel film e vivendo a New York ormai da 10 anni volevo essere moto precisa nella ricostruzione delle ambientazioni. Perciò inizialmente abbiamo pensato proprio di seguire la macchina e i personaggi all'interno del taxi con delle macchine da presa esterne, però a questo punto ho pensato che erano tutte riprese notturne e non potevo certo controllare il meteo e il traffico, quindi sarebbe stato un incubo.. Allora ho pensato di girare in studio col blue screen, ma sarebbe costato moltissimo in post-produzione e io non avevo quel budget, quindi mi sono informata su questa tecnica che prevede dei pannelli con i led. Abbiamo prima girato veramente il tragitto due volte in auto con 9 macchine da presa, quindi avevamo tutte le immagini reali che venivano poi proiettate su questi pannelli a led mentre noi giravamo invece le scene all'interno del taxi e con un sistema di filtri e obiettivi le immagini fuori, proiettate sugli schermi, diventavano parte integrante di quello che in quel momento giravamo all'interno del taxi. Questo ha dato una sensazione di verità e al tempo stesso mi ha permesso anche di creare poi dei capitoli all'interno del film che corrispondevano esattamente alle pagine della sceneggiatura che avevo scritto, quindi sapevo esattamente in quale momento ci sarebbe stato diciamo l'incidente automobilistico, un particolare discorso o il momento in cui lei comincia a scambiarsi i messaggi di testo, sapevo che sarebbe successo nel momento in cui attraversavamo il tunnel di Manhattan, così in questo modo ho potuto ricreare New York.

Per il personaggio femminile il taxi sembra diventare un luogo sicuro: è una sua utopia o lo crede davvero?

Credo che le donne non si sentano quasi mai al sicuro, hanno questa continua sensazione di doversi guardare le spalle. Io credo che lei non si senta subito a suo agio e sicura dentro questo taxi e anche se all'inizio comincia un po' a giocare, quasi a flirtare con lui, lo fa proprio per cercare di prender le misure e capire dove quest'uomo voglia andare a parare. Ci gioca, a un certo punto gli permette di entrare poi si ritrae e lo osserva sempre molto molto attentamente cercando di capire dove questa conversazione potrebbe portarla ed è lei che la svia quando prende una piega che non le piace. Noi donne siamo diventate delle maestre nel gestire le conversazioni, siamo un po' come delle alchimiste. (...) Io credo che a un certo punto lei proprio si liberi totalmente e tiri fuori tutto quello che ha da dire dopo che superano il tunnel, a quel punto capisce che gli può dire tutto e si apre in una maniera totalmente libera perché si è resa conto che lui è un uomo che non si vergogna di confessare i suoi errori e si è aperto con lei.

Il film non intende dare un giudizio negativo degli uomini, che Hall dice essere come le donne, ci sono mariti e padri meravigliosi e uomini che stentano a tenere a freno i propri demoni. L'intento era proprio quello di non dare un'immagine stereotipata della lotta tra sessi, perché tra uomo e donna può esistere anche un rapporto di amicizia.

L'idea di questo film era che volevo che si creasse fra questi due personaggi una conversazione da adulti su quelle che sono le cose che hanno sempre caratterizzato quello che è un po' lo scontro fra i sessi, cioè che mettessero sul tavolino tutti gli argomenti possibili, gli stereotipi e gli archetipi (…) Mi piaceva anche l'idea che fosse poi il pubblico alla fine a decidere. Quando ho scritto il film avevo previsto questa scena finale in cui, a proposito della tensione erotica e sessuale che c'è fra di loro, quando lui l'accompagna a casa, scende e si appoggia al taxi, le chiedeva se viveva da sola e lei rispondeva “non avrai nessuna caramella questa sera” e lui: “vabbè non puoi incolpare un ragazzo per averci provato”, quindi c'era l'idea che lui alla fine dopo tutta questa conversazione in cui sembra che siano andati in grande profondità, lui comunque ci prova. Avevo scritto questa scena perché volevo appunto esplorare anche questa cosa, perché sicuramente in una situazione del genere a lui forse sarebbe piaciuto se lei avesse detto “perché non sali da me?” e forse lei è in una fase della sua vita come abbiamo visto con una relazione così, che magari avrebbe pure passato la notte con quest'uomo. Alla fine è stato Sean Penn a dirmi: “Sei sicura che dopo tutto quello che si sono detti questa scena sia necessaria? Io sono padre, ho delle figlie, secondo me lui adesso ha più un atteggiamento paterno verso di lei. La girerò come l'hai scritta ma pensaci. Sono sicuro che quando arriverai al montaggio la penserai come me”. E in effetti è stato al montaggio che mi sono resa conto che aveva ragione lui, perché non volevo certo dire col film che un uomo e una donna debbano necessariamente finire a letto insieme, alla fine ho deciso di toglierla e l'ho chiamato per ringraziarlo. Diciamo che se il sesso non esistesse forse tante delle complicazioni del nostro mondo e della nostra vita sparirebbero ma sarebbe tutto meno interessante a livello narrativo, quindi non volevo dare il messaggio che fosse sbagliato o che fosse una cosa cattiva che un uomo ancora nel pieno del suo vigore avesse questa pulsione e che al di là di tutto desiderasse provarci con lei, però tagliando la scena e e non mettendogli in bocca quelle parole volevo renderlo più saggio.

Il lavoro con Sean Penn e Dakota Johnson, due attori tanto esperti, per la sua opera prima, ha dato a Christy Hall un grosso appoggio, tanto che non sono state neppure necessarie molte prove, solo due giorni, per mettere in scena una sceneggiatura molto precisa. Ecco come lo ha raccontato la regista:

Avevo pensato di fare delle prove, però limitate, anche perché non volevo esagerare visto che i due personaggi sono due estranei e non volevo che arrivassero sul set perdendo un po' di quella che era la naturalezza di un rapporto che doveva invece nascere, quindi abbiamo fatto due giorni di prove a casa di Sean Penn. Il primo giorno ci siamo seduti intorno a un tavolino con le copie stampate della sceneggiatura e abbiamo fatto una lettura con loro, più che altro per capire quali erano le intenzioni di ogni singola scena. Loro dicono esattamente quello che io ho scritto, ma in questa lettura abbiamo lavorato un po' come si fa a teatro, magari cambiando una parola qua e là, loro mi davano dei piccoli feedback che io ho annotato a margine della sceneggiatura e che a volte poi ho incorporato. Non è che ci sono stati grossi cambiamenti ma è stato proprio un lavoro come si fa sui testi teatrali, sull'uso di alcune parole, ma soprattutto abbiamo parlato tanto delle emozioni che caratterizzavano ogni singola scena . Il secondo giorno siamo di nuovo tornati a casa di Sean e lui ha detto, ora basta letture, movimentiamo un po' la cosa, giochiamo con questa sceneggiatura e con questo film. Io e Dakota eravamo sedute sul divano e lui si è messo seduto su una sedia, poi ha preso un'altra sedia, l'ha messa davanti, ha preso il manico di una scopa, ci ha attaccato col nastro adesivo uno specchio e l'ha poi fissato allo schienale della sedia, creando una specie di specchietto retrovisore perché nel film loro raramente si parlano guardandosi in faccia, lui la guarda quasi sempre dallo specchietto. Lui ha detto “voglio vedere come funziona questa roba che io parlo con una persona che non guardo mai negli occhi ma che vedo solo nello specchio", e ha fatto finta di guidare. Sono andati avanti ripetendo in questo modo tutta la storia a memoria senza riprendere in mano la sceneggiatura, lui guidava e si parlavano. Io non ho detto niente, li ho lasciati fare fino alla fine ma stare lì seduta a guardare questi due è stato il momento più bello della mia carriera, vederli giocare col mio materiale. Quando sono arrivati alla fine, mi sono alzato e ho detto “va bene, ci vediamo a New York sul set.

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  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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