Un sapore di ruggine e ossa: la nostra intervista a Jacques Audiard
Il regista Jacques Audiard ci ha parlato dei temi del suo nuovo film, in uscita il 4 ottobre, e del lavoro fatto insieme agli attori.

Regista del rigore, dell'assenza di retorica e della schiettezza nei confronti dello spettatore, Jacques Audiard è tornato dietro la macchina da presa a tre anni di distanza da Il profeta, uno dei titoli rivelazione di Cannes 2009.
Il suo nuovo film, Un sapore di ruggine e ossa, che abbandona il romanzo di formazione carceraria a favore di un melò sui generis, prende spunto, non tanto per i personaggi principali quanto per il contesto in cui questi agiscono, dalla raccolta di racconti di Craig Davidson Ruggine e ossa.
Della fascinazione per quest'opera ci ha parlato lo stesso Audiard, comodamente seduto in una sala di Palazzo Torlonia a Roma e nascosto dietro un paio di occhiali scuri: "Mi piace la scrittura di Craig Davidson. Le sue storie parlano dell'oggi, della crisi, di un mondo selvaggio e barbaro in cui le persone stanno male, lottano disperatamente e si ritrovano a vendere l'unica cosa di cui nessuno le può privare, e cioè il corpo. Mi ha affascinato l'umanità vacillante che viene descritta in Ruggine e ossa e ho avvertito l'esigenza di esplorarla in un film".
Spinto anche dal desiderio di raccontare per immagini una storia d'amore, Jacques Audiard ha avuto l'opportunità di dirigere un'attrice premio Oscar, e cioè Marion Cotillard, che prima di arrivare sul set aveva studiato con cura un ruolo davvero arduo da interpretare: quello di una donna che, in seguito a un incidente, si ritrova senza gambe: "Marion è fantastica, era un po' che cercavo di lavorare con lei. Siccome era impegnata su un altro set in America, non abbiamo potuto provare insieme prima dell'inizio delle riprese. Ho scoperto il suo talento quando abbiamo cominciato a girare. Abbiamo iniziato dalla scena in cui il suo personaggio, Stéphanie, si risveglia nel suo letto d'ospedale senza gambe. Mentre la recitava, Marion mi stava dando un'informazione importante, era come se mi dicesse: ecco, è questo che ho imparato, vediamo se va bene. Naturalmente andava bene, ed è da lì che siamo partiti”.
Una delle motivazioni del successo di Jacques Audiard e della verità delle sue storie sta nel modo in cui il regista lavora con i suoi attori: “Non mi piace parlare di un metodo, così come non amo che si parli genericamente di attori. Ogni attore è diverso dagli altri e quindi con ciascuno di loro bisogna parlare una lingua nuova, diversa, straniera. In generale, la cosa che mi colpisce di più, e a cui presto maggiore attenzione, è quando un attore mi propone qualcosa di personale partendo dalla pagina scritta. Solitamente gli do corda e allora succede che la pagina scritta cessi di esistere e si trasformi in qualcosa di diverso e di più vero. In tutti questi anni mi è capitato spesso di mettermi al servizio della verità di un attore arrivando a cambiare quasi per intero un copione”.
Da uomo di cinema che detesta le etichette, tanto che, se qualcuno gli chiede di parlare del suo stile, risponde infastidito: “Non mi sveglio la mattina decidendo: oggi farò un film alla Jacques Audiard”, Audiard fa comunque un cinema che ha delle costanti, soprattutto da un punto di vista tematico. Nei suoi lavori ci sono personaggi che partono dal basso, c’è la rappresentazione della violenza e ci sono soprattutto i corpi, spesso spezzati, offesi, imprigionati o, come in Ruggine e ossa, amputati: “Nel caso del personaggio di Stéphanie, la menomazione fisica porta a un arricchimento dell’anima. Quello che le viene tolto da una parte, le viene restituito da un’altra. Nel film il suo corpo senza gambe acquista una valenza quasi erotica. Con le gambe, Stéphanie è una donna che non ama gli uomini, che non sa cos'è l’amore. Senza gambe, il suo atteggiamento nei confronti dell’altro sesso cambia, e il personaggio diventa umano, positivo, vitale”.
Ecco il video della nostra intervista a Audiard: