Interviste Cinema

“Un inno alla vita per reagire alla malattia”: Julio Medem ci parla di Ma Ma, con Penelope Cruz

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Presentato al Biografilm il film su una donna che affronta con coraggio un tumore al seno.

“Un inno alla vita per reagire alla malattia”: Julio Medem ci parla di Ma Ma, con Penelope Cruz

Dopo Lucia y el sexo e Room in Rome il regista spagnolo Julio Medem torna a raccontare il corpo femminile in Ma Ma, nelle sale italiane dal 16 giugno, veicolo perfetto per la star spagnola Penelope Cruz. Una storia di maternità e coraggio, in cui l’attrice premio oscar è presente quasi in ogni inquadratura, nella dolorosa sfida di una donna alle prese con un tumore al seno. Da qui il titolo, che in spagnolo identifica sia la madre che il tipo di cancro di cui soffre.

Il marito l’ha appena abbandonata, lasciandola a trascorrere l’estate in città. Manda il figlio di 10 anni - che coltiva il sogno di diventare calciatore professionista - in vacanza con i cugini, preparandosi a sfidare la malattia, proprio mentre conosce un talent scout del Real Madrid che sta attraversando il momento più delicato della sua vita.

Abbiamo incontrato Julio Medem al Biografilm Festival di Bologna, per parlare della genesi lunga di un film in cui il coinvolgimento di Penelope Cruz è stato totale: come protagonista e come produttrice.

“La storia è nata dieci anni fa. Mi trovavo nel museo di arte contemporanea di Düsseldorf quando ho visto una scultura di bronzo a grandezza naturale di una donna che ha richiamato molto la mia attenzione. Era sdraiata a terra e si vedeva la sua sofferenza, ma non capivo se fosse vittima di un forte dolore o se stava partorendo. Non l’ho mai capito, ma da lì è nata un’emozione che ho deciso di sviluppare, io che scrivo tante sceneggiature, tenendola nel cassetto per otto anni, fino a quando Penelope Cruz, a cui avevo proposto per tre volte un mio film senza riuscire a lavorare insieme, è tornata in Spagna. Siamo buoni amici e lei mi diceva sempre di non preoccuparmi, che prima o poi avremmo lavorato insieme. L’occasione è arrivata quando lei mi ha chiesto se avevo una sceneggiatura semplice da produrre. Gliel’ho fatta leggere, l’ha molto amata e da lì abbiamo deciso di collaborare.”

Come nascono le sue sceneggiature?

Sono sempre tematiche opposte che si incrociano: l’inconscio che incontra il conscio, le due cose si mischiano. Parto sempre con delle intuizione che piano piano si delineano, si amalgamano. La vita, la morte, quello che era al buio inizia a prendere luce e forma. Con Penelope Cruz abbiamo parlato della tragedia del tumore, ma con l’obiettivo di arrivare a una catarsi nei confronti della morte. Il fatto che ci fosse la morte come orizzonte così vicino ci ha permesso di trasmettere ancora più forza al desiderio di rimanere vivi. Spero che siamo riusciti a creare un personaggio molto vitale, che non faccia soffrire il pubblico trasmettendo negatività, morte, ma venga vissuto come un inno alla vita. Vedendo il primo montaggio Penelope era emozionatissima e mi ha detto che sperava tanto che gli spettatori del nostro film avessero voglia, una volta tornati a casa, di abbracciare i propri cari.

Ha incontrato persone che hanno avuto un tumore, per documentarsi?

Certo, aiuta a delineare sempre meglio la sceneggiatura. Io sono medico, quindi ho delle conoscenze a riguardo e mio padre è morto di tumore. Abbiamo parlato con ginecologi, tanti pazienti, prima io e Penelope insieme, poi lei ha continuato da sola, svolgendo questa fase di approfondimento parlando con tante persone che erano state affette da tumore.

Nel film si supera la barriera tra medico e paziente, con un ginecologo che empatizza al punto di manifestare l’emozione che prova, fino a diventare amico della paziente. C’era la voglia di raccontare di un’emozione che diventa abbraccio collettivo?

Oltre a documentarci, abbiamo naturalmente elaborato una sentita riflessione sul valore della vita. In Spagna mi hanno fatto notare che i ginecologi non cantano, naturalmente, ma non volevo fare una rappresentazione dettagliata o un documentario, quanto raccontare quello che può unire un gruppo di persone. Ci sono delle vittime, ma non hanno mai un atteggiamento vittimista. C’è il marito di lei, che non fa una bella figura, ma un’antagonista vero non c’è, è il tumore. La mia intenzione era mettere in luce la reazione collettiva di fronte al dolore, diretta dalle emozioni e dai gesti di Magda.

Il figlio di 10 anni reagisce con difficoltà al cancro al seno della madre. Avete studiato immagino con particolare attenzione come reagisce un figlio nei confronti di un fatto del genere.

Abbiamo analizzato casi simili, soprattutto relativi a bambini maschi. Rispetto alla tragedia della perdita di un seno della madre, la mastectomia, viene a galla una parte dell’inconscio, qualcosa di non razionale, soprattutto nei bambini nella fascia fra i 5 e 10 anni. In alcuni casi viene consigliato di mandarli dallo psicologo, di spiegare loro quello che è successo, perché hanno l’idea di una madre incompleta e nasce anche un rifiuto, vedono in lei qualcosa di oscuro.

Ma Ma è in uscita nelle sale italiane il prossimo 16 giugno, distribuito da I Wonder Pictures.


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