Interviste Cinema

"Un attore è grande se non ha paura del ridicolo": incontro con Arnaud Desplechin e Mathieu Amalric su I fantasmi d’Ismael

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Una coppia consolidata sempre interessante e mai banale.

"Un attore è grande se non ha paura del ridicolo": incontro con Arnaud Desplechin e Mathieu Amalric su I fantasmi d’Ismael

A vederli sembrano simbiotici, con lo stesso tono di voce pacato ma pieno di ironia, un sorriso gentile e una complicità istintiva, non costruita. Arnaud Desplechin, più riflessivo e con una sigaretta elettronica sempre in azione, e Mathieu Amalric, colto e istintivo con l’amore per il paradosso. Si sono trovati, uno regista e l’altro attore ispiratore, all’inizio degli anni 90, con La sentinelle (1992) e soprattutto Comment je me suis disputé... (ma vie sexuelle) (1996), con cui debutta l’alter ego del regista di Roubaix, Paul Dedalus, tornato recentemente in gloria nel seguito mirabile I miei giorni più belli. Il sesto film insieme, I fantasmi d’Ismael, è appena arrivato nelle sale. Si tratta della storia, al solito intrecciata temporalmente e geograficamente, di un uomo che vede riapparire la moglie scomparsa da vent’anni (Marion Cotillard) e data per morta, mentre da tempo ha una nuova compagna, Charlotte Gainsbourg.

Ne abbiamo parlato con l’affascinante coppia a Parigi, in occasione dei Rendez Vous di Unifrance. 

Cosa rende speciale per lei lavorare con Mathieu Amalric?

Arnaud Desplechin. Potrà sembrarle intellettualoide, ma per me è molto importante dare ai personaggi femminili un privilegio, quello del tragico, mentre penso che un attore, al cinema e non in teatro, è davvero grande a condizione che accetti il ridicolo. È questo che ho amato alla follia in Mastroianni, il suo non aver mai avuto paura di risultare ridicolo. Il film è il ritratto di Ismael, naturalmente, ma attraverso di lui di queste due donne che sono più grandi della vita: la malinconia di Sylvia e la piccola vita di Carlotta. Cercavo un attore che fosse come un’altra camera in grado di filmare queste due donne. Il migliore per farlo, visto che è anche un grande cineasta, era Mathieu Amalric. Poi perché è divertente e il film, pur con elementi tragici, rimane una commedia. Ismael è un personaggio estremo e Mathieu può essere trattenuto e tutto in pudore, ma anche salire in alto come registro, cosa di cui avevo bisogno in questo caso.

È ridicolo, quindi?

Mathieu Amalric. Lo spero bene. Improvvisamente un campo giochi più grande della vita quotidiana mi invade per qualche mese: è così che accolgo un ruolo. Poi lo affronto tecnicamente, Arnaud gira sempre più in fretta e ci sono sempre meno soldi per fare i film. Non bisogna perdere tempo, ma leggere bene il testo ed essere più flessibili e rigorosi possibile, poi non dovevamo preoccuoarci delle dinamiche da vecchia coppia, domandarci se potevamo inventarci qualcosa di nuovo, perché c’erano delle nuove venute, delle donne desiderate da molto tempo da Arnaud come Marion Cotillard e Charlotte Gainsbourg, l’immensa Alba Rohrwacher e Louis Garrel. Poi nel ruolo del produttore che mi perseguita per finire il film c'è Hippolyte Girardot, per ritrovare il piacere di una vecchia casa ammuffita di Roubaix, con due vecchi attori che perdono i capelli insieme; e questo anche è stato piacevole. Tutto questo ha fatto sì che i paesaggi diventassero sempre più vasti, facendo diradare la nebbia. Arnaud non fa delle letture dell’intera sceneggiatura con il cast, ma leggiamo una scena o due insieme, magari a casa sua.

A.D. Sì, è vero, mando dei piccoli assaggi di testo a Mathieu con cui, per essere sicuro di non avere problemi durante le riprese, lo leggiamo una volta e ascoltando sento delle possibili sfumature diverse, compio delle piccole correzioni sul testo per renderlo più facile.

M.A. Correzioni su delle onomatopee o cose del genere, che sono molto importanti nel vocabolario di Arnaud, che prendono realmente sulle loro spalle la responsabilità di un sentimento. Non lavoriamo sull’improvvisazione, quanto su una partizione assolutamente conosciuta da tutti.

Come si è trovato a lavorare con queste due nuove interpreti?

A.D. Hai avuto un po’ paura.

M.A. Quella paura magnifica, che spero di rivivere fino alla fine dei miei giorni, rappresentata dall’affrontare l’adolescenza, anzi per l’esattezza l’innamoramento. Una condizione che è un tema centrale dei film di Arnaud sotto forma della seconda possibilità: il miracolo che improvvisamente delle persone ormai ridotte in mezzo alla strada siano di nuovo illuminate dal sentimento. Sylvia e Ismael si danno di nuovo qualcosa che era evaporato.

Trovo interessante la sua fascinazione non solo per il tempo, ma anche per l’altrove geografico. L’esotismo di qualcosa di lontano. Per lei è un modo per sognare ogni volta qualcosa di migliore altrove? 

A.D. È vero che nel film si viaggia molto, amo nei personaggi che tratteggio un appetito vorace per l’altrove, ma alla fine ritorno a Roubaix, che è la città in cui sono nato. Ma il fatto di venire da lì non impedisce di sognare la fuga verso dei paesi esotici. Il protagonista è un casalingo, lo dice lui stesso in un dialogo, ma ha l’appetito dell’altrove. Il che è divertente, perché abbiamo girato in posti molto diversi, prima a Lille, poi tutte le scene a Parigi, a Roubaix, Praga, in Tagikistan; ognuno di questi luoghi raccontava un film differente. Era comico, ci ritrovavamo il lunedì, dopo il fine settimana, e la direttrice della fotografia mi diceva, ‘ma non è lo stesso film’. Lo so, sono sei film che giriamo nello stesso momento. 

Anche per un attore il segreto è forse questo appetito dell’altrove, di fare cose nuove?

M.A. Certamente, L’uomo del possibile, lo dico visto che sto molto studiando Musil. C’è un altro altrove che è esplorato soprattutto ne I miei giorni più belli, nel personaggio di Dedalus giovane: il sapore, la conoscenza, che crea una geografia mentale e fisica di tutti i luoghi lontani. Fare l’attore vuol dire esplorare fisicamente la conoscenza di tutte le possibilità di un corpo umano.

I fantasmi d’Ismael si muove su due binari paralleli, racconta di un uomo che può amare due donne molto diverse e forse complementari.

A.D. Certamente all’inizio, ne ho parlato anche con Mathieu, c’era il desiderio di prendere delle finzioni e farle scontare una contro l’altra. La finzione per me serve a riparare la vita, e questo personaggio ne ha tante di cose da riparare. Ogni sviluppo della storia rappresenta un diverso tentativo di riparare qualcosa di incompleto o rotto della sua vita, e rappresenta un film diverso. I fantasmi d'Ismael nella sua totalità rappresenta l’immagine compressa di tutti questi filoni narrativi, per riferirmi a Pollock, come in una scena del film. Con la differenza che a comprimersi sono delle finzioni al posto delle immagini.

Come mai la scelta del nome di Ismael?

A.D. Era molto importante per me l’amicizia fra un personaggio ebreo, interpretato da Hippolyte Girardot e uno non ebreo. Il nome per me vuole dire che è un fratello di Israele, ma non è Israele. Mi toccava molto raccontare della forte amicizia fra un cattolico e un ebreo. Poi c’era il lato avventuroso, fantastico, legato al personaggio del narratore di Moby Dick di Melville, che affronta la balena e i suoi fantasmi.

Aiuta lavorare con un attore che è anche regista, come è il caso di Mathieu Amalric?

Devo dirle due cose. Da una parte mi aiuta quando scrivo, perché ho un’immensa ammirazione per i film di Mathieu, che è uno dei cineasti che più mi arricchiscono, da Tournée a Wimbledon a La camera azzurra, all’ammirevole Barbara. Il che mi aiuta, perché è una sfida. Il suo cinema è così lontano dal mio che non c’è competizione, solo un’emulazione, ma quando giri con un cineasta, quando è davanti a un altro attore non cerca di dirti com’è il suo personaggio, ma si avvicina e ti dice ‘hai visto com’è bravo, è grandioso’. Si lascia alterare fino a fare lo stesso mio mestiere sul set; è attore ma guarda gli altri recitare e se ne lascia impressionare, al contrario di propormi una performance. Quello che amo in Ismael è il fatto che adora le persone che gli sono intorno. Credo che una delle ragioni per le quali Mathieu è un grande attore sia proprio il suo essere un cineasta immenso.


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