Interviste Cinema

Steve Coogan e John C. Reilly presentano i loro Stanlio & Ollio alla Festa del cinema di Roma

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I due attori hanno accompagnato l'anteprima del film sull'ultimo tour del duo comico più grande di sempre, assieme al regista Jon S. Baird.

Steve Coogan e John C. Reilly presentano i loro Stanlio & Ollio alla Festa del cinema di Roma

Rispetteremo l’embargo e non scriveremo di quanto ci sia piaciuto (ops) Stan e Ollio, il film di Jon S. Baird che in Italia arriverà l’anno prossimo distribuito dalla Lucky Red, in anteprima in questa affollatissima giornata alla Festa del cinema di Roma. A presentarlo sono arrivati entrambi gli straordinari interpreti di un film biografico incentrato sulla tournée europea dei due mitici comici, nella fase finale della loro carriera, prima di ritirarsi definitivamente dalle scene. Come nella realtà, Steve Coogan, inglese, è Stan Laurel, mentre l’esuberante americano John C. Reilly, col sostanzioso supporto di protesi di lattice per riprodurne la mole, è Oliver Hardy. Applauditissimi, i due hanno partecipato ad una calorosa conferenza stampa insieme al regista del film, che ha parlato del suo amore per il celebre duo.

“Amo Stanlio e Ollio fin da quando avevo 8 anni e quando c’era occasione di mascherarsi a scuola mi travestivo da Stanlio. Li ho sempre amati, quindi quando ho avuto l’opportunità di raccontarne la storia sono stato molto sorpreso che nessuno avesse ancora fatto un film su loro. Ho trovato molto più interessante e più efficace da un punto di vista narrativo concentrarmi sul momento più problematico della loro vita, quando non avevano tanti soldi, la fine della loro carriera si avvicinava, il pensiero della morte… ho trovato che fosse un periodo interessante perché non ne sappiamo molto e quello è stato il primo punto di partenza”.

Quanto è stato emozionante scoprire la persona dietro l’icona, per voi attori? Risponde Steve Coogan: “Io ero molto elettrizzato dall’idea di interpretare Stan Laurel, mentre John era più ansioso. Era una prospettiva che intimoriva, ma ho anche pensato che sarebbe stato un compito eccitante. Ogni lavoro artistico ha in sé il rischio di fallire alla grande e questo non è stato diverso. Bisognava avere gli strumenti giusti, abbiamo fatto 3 settimane di prove per imparare i balletti, i movimenti, tutta la parte fisica di Stan e Ollie, poi c’era il make up, soprattutto per John. E in questo periodo ci siamo conosciuti e abbiamo formato una relazione di lavoro, di fiducia, il peso era diviso a metà e abbiamo potuto fare questo viaggio insieme”.

John C. Reilly: “Mi sono reso conto che Oliver nel profondo del suo cuore era italiano, era un romantico, amava le donne, la poesia, la bellezza, il buon cibo e ho utilizzato questi aspetti per creare la sua persona sullo schermo. Oltre a scoprire cosa provava John nel suo romantico cuore ho dovuto trovare quello che avevamo in comune. Ero preoccupato della parte fisica e ho detto subito a Jon che in nessun modo avrei potuto ingrassare così tanto, avevo appena perso sei chili e non potevo prenderne 90. Ma è stata come una missione sacra, perché loro non erano solo attori e comici, ma toccavano la verità dell’essere umano e per questo sono sopravvissuti più di Fatty Arbuckle e di altri. Erano già eterni nel momento stesso n cui sono apparsi: erano la luce e l’ombra, il sale e l’aceto, il bianco e nero, lo ying e lo yiang. Sono apparsi completamente formati e sono ancora così oggi".

Colpisce molto nel film l'estrema aderenza di Steve Coogan a Stan Laurel: pur nelle loro differenze fisiche riesce a riprodurlo alla perfezione, qual è il segreto? “Una volta, da ragazzino, usavo fare l’imitazione di Stanley e conoscevo un po' della sua fisicità, provavo i suoi gesti di fronte allo specchio. Quando Jon è venuto a parlarmi gli ho detto che c’era questa cosa che usavo fare, è stato uno strano modo di conoscere un personaggio, è come iniziare a costruire un edificio partendo dal tetto per arrivare al suolo e trovare le radici della sua personalità. La parte fisica non è niente se non c'è sostanza, un’imitazione ti colpisce per 2 minuti, poi ti accorgi che è solo un trucco se non c'è l'anima e cominci ad annoiarti. L’imitazione è stata un piccolo punto di partenza ma niente più di questo”.

Molto di quanto appare nel film è realmente accaduto, Baird e Coogan parlano delle fonti e della fantasia necessaria per colmare i vuoti dei momenti più intimi vissuti da personaggi che non hanno conosciuto: “Abbiamo lavorato molto con la bis-bisnipote di Stan Laurel che ci ha dato molte informazioni e abbiamo parlato con persone che li avevamo incontrati all’epoca del tour, su cui c’è anche un libro, poi abbiamo visto interviste, materiale d’archivio ecc. Ma quando fai un film basato su una storia vera le parti che non hai le inventi, ti concedi delle licenze artistiche. Loro erano molto vicini come colleghi,  certo Stan lavorava di più, mentre Ollie aveva il golf, le scommesse, gli piaceva divertirsi. La vera amicizia tra di loro nacque quando invecchiarono e andarono in tournée, ci sono molte fonti in proposito”. “C'era più materiale su Stanlio che su Ollio - conferma Coogan -  quindi per John è stato più difficile entrare nei suoi panni. Ma ci sono tantissime interviste a Stan Laurel, il suo numero era sull’elenco telefonico, i fan lo chiamavano e registravano le telefonate, così ho potuto sentire la sua vera voce come Stan, non come Stanlio, e anche i suoi pensieri sul loro lavoro”.

“Penso che non si possa conoscere una persona del passato - dice Reilly - se chiederete a qualcuno tra 10 anni com’ero io oggi, chi lo sa? Soltanto io. Certo ci sono i fatti nella vita di una persona, le lettere che scriveva alla moglie Lucille, ma chi può dire come è una persona dentro? Una delle missioni di questo film era prendere questi iconici performer e renderli umani, alcune sono congetture, naturalmente, ma la maggior parte di quello che si vede è basata sui fatti, sui film e sulle storie della loro vita”.

Infine l'attore parla del trucco che ha dovuto sopportare per diventare Oliver Hardy e delle riflessioni che l'esperienza gli ha suscitato: “Io non sono uno molto paziente al trucco, dopo 10 minuti mi alzo e me ne vado, ma qua sapevo che ci voleva molto di più, era una missione sacra e l’ho fatto pazientemente ogni giorno. Ho meditato e ho superato le cose ma volevo entrare dentro di lui. Nel film si vede solo questa parte del mio volto, il resto sono protesi di trucco, era come recitare dentro una maschera, guardavi fuori e vedevi che gli altri si rapportavano diversamente con te e ti veniva voglia di dire “ehi, sono ancora io!”. Siccome faceva molto caldo a volte uscivo in maniche di camicia con quel make-up e mi sedevo su una panchina. Passava gente che non sapeva che giravamo un film e molti non mi riconoscevano come Ollio e neanche come John C. Reilly e vedevano in me solo un triste ciccione seduto su una panchina. E questo mi ha fatto capire cosa vuol dire essere un uomo molto grasso. Guardavano e distoglievano subito lo sguardo, li imbarazzavo se li guardavo a lungo. E ti veniva voglia di urlare “ehi, sono un essere umano, sono qui!”. Mi ha fatto pensare a cosa volesse dire essere Oliver continuamente. Per lui la grassezza faceva parte del suo lavoro, ma poi doveva tornare a casa con quel corpo, io avevo il lusso di potermi togliere quella maschera, ma Ollie ci viveva e questo mi ha suscitato molta compassione per il suo viaggio nella vita”.

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  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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