Sri Lanka, Italia: il regista Suranga D. Katugampala presenta la sua opera prima Per un figlio
Incontro con l'autore e il protagonista maschile, Julian Wijesekara, sul film, menzione speciale al festival di Pesaro, in sala dal 30 marzo.
Arriverà al cinema il 30 marzo, distribuita da Gina Films, Per un figlio, opera prima di Suranga D. Katugampala, giovane regista italiano la cui famiglia è originaria dello Sri Lanka. Lui appartiene di fatto alla cosiddetta seconda generazione, a tutti quei ragazzi e giovani nati in Italia o qua arrivati da piccolissimi, che hanno studiato nelle nostre scuole, fatto propria la nostra lingua e la nostra cultura e spesso, purtroppo, non hanno nemmeno il passaporto, procedura lunga e complicatissima, come ha ricordato un’attivista di Italiani senza cittadinanza, romana da una vita, che solo a 33 anni ha potuto ottenerlo, sottolineando come la politica dovrebbe rispondere alla richiesta di una legge per cui chi cresce e studia in Italia deve essere cittadino italiano e perché non accadano più episodi come quello, recentissimo, della ragazza di 22 anni premiata per l’eccellenza negli studi, che si è vista negare l’ingresso al Parlamento perché “straniera”.
Il distributore del film, che a Pesaro ha ricevuto una menzione speciale, è Antonio Augugliaro, che tre anni fa scrisse e codiresse un altro film importante, Io sto con la sposa, e adesso presenta questa storia che racconta il rapporto tra una madre e un figlio adolescente, in una vita quotidiana fatta delle fatiche di badante di lei e del suo attaccamento alle tradizioni, e della lontananza di lui, che del paese di cui si sente parte imita i comportamenti meno lodevoli. Un bel film, che colpisce sia per lo stile, molto realistico, che per la naturalezza delle interpretazioni, a partire dalla protagonista, la star del cinema srilankese Kaushalya Fernando, che recita al fianco di talentuosi dilettanti come il figlio, il diciottenne debuttante milanese Julian Wijesekara. Antonio Augugliaro spiega perché ha voluto distribuire il film: “È una scelta che parte da un innamoramento, penso che i numeri contino meno delle passioni e io ho amato questo film e ho sentito l’esigenza di farlo vedere a più persone possibili. È un film molto intenso che racconta una storia universale, e credo che sia il momento giusto per l’Italia di diventare più matura e accogliere questo nuovo immaginario e queste nuove storie, raccontate da chi le ha vissute”.
Uno degli sponsor più convinti del film è il noto e veterano critico Goffredo Fofi, che ha motivato così la sua adesione: “Non voglio fare un discorso di tipo estetico, a quello penseranno i critici, ognuno ha le sue idee e le sue visioni, mi limito ad elencare i motivi per cui mi pare importante: Suranga è un singalese che vive in Italia, un italiano che proviene da un’altra cultura e io credo che gli immigrati di seconda generazione abbiamo un enorme contributo da dare a questo paese dal punto di vista sociale e culturale per lo svecchiamento della nostra società. Il film non dà risposte, non dà indicazioni, non ha una morale da proporre o una conclusione da offrire: è un’opera aperta che nel finale lascia il discorso al punto in cui siamo, con oggi un punto interrogativo perché non sappiamo che succederà. Ed èanche un’analisi di cui il cinema e la cultura italiana avrebbero bisogno, quella delle contraddizioni, su cui siamo molto scarsi, non scaviamo nelle contraddizioni che ci riguardano da vicino, mentre in un’epoca di trapasso molto difficile e delicata questo discorso dovrebbe essere prioritario.
Un altro aspetto importante è nel personaggio femminile, una madre ancora legata a delle tradizioni ma che si inserisce in un mondo che non le appartiene, trova un suo ruolo e ha un’identità e un figlio che non ce l’ha ancora, se non l’adesione ai modelli culturali che gli offre la società italiana moderna, è un diciassettenne travolto dalla stupidità dell’epoca. Alla fine le donne sono l’elemento di resistenza e di apertura più impressionante, si mettono in gioco rispetto a una cultura diversa, cercano di capirla, anche professionalmente. Gli uomini sono più avventurieri e sfasati mentre le donne si pongono i problemi in un modo più serio e vivono una concretezza maggiore. Tra pochi mesi, il 3 giugno, sarà il 40esimo anniversario della morte di Rossellini. Se c’è una cosa che il cinema italiano deve ripensare è la lezione di libertà e di poesia che Rossellini ha saputo darci nei suoi film migliori. Il modo di usare il cinema con una libertà di approccio diretto e di interpretazione della realtà. Il cinema di Rossellini fa delle domande e lo spettatore deve reimparare a farlo. Questo film mi sembra segua questa scia, che non esclude la poesia e un briciolo d’utopia".
Interrogato sul suo essere a cavallo tra due mondi, Suranga risponde: “A me piace moltissimo tenere dei legami col mio paese di origine perché una mia parte molto importante è lì, mi fa capire, mi permette di avere uno sguardo sul mondo. Da un punto di vista di produzione del film il mio obiettivo è stato quello di tornare alle origini, scegliendo un’attrice internazionale e un famoso direttore della fotografia nello Sri Lanka. Ho voluto tornare indietro con una consapevolezza che nasce con la migrazione, che non deve per forza seguire la strada dello sviluppo che ha fatto l’Europa". Il giovane Julian commenta la sua prima volta sul set: “È stata la mia prima esperienza da attore, un po’ un salto nel vuoto per me che non ho mai fatto nulla. Per prepararmi ho partecipato a un workshop in Sri Lanka per saper rappresentare un personaggio che è totalmente diverso da me e dalla mia vita reale. Io vengo da una famiglia bellissima e molto unita e non capivo che tipo di sentimenti provasse un figlio separato dalla madre. Vivo a Milano e sono stato a Verona per un mese senza i miei e le mie sorelle e, sia pure in piccolo, ho iniziato a capire cosa si prova a star lontani dalla madre e in Kaushalya ho visto il punto di vista della madre. Lei ha due figli piccoli di circa 8 anni, ogni giorno li chiamava, era triste, si preoccupava per loro. Recitare con un’attrice di questo livello all’inizio è stato quasi un peso per il senso di responsabilità che sentivo, ma poi una volta iniziato le cose sono andate molto lisce, gli attori mi hanno dato consiglii, lei mi ha trattato come se fosse una mamma e sono riuscito a recitare in modo tranquillo e senza pressioni".
Il film, racconta Suranga, ha già iniziato un percorso all’interno delle comunità dello Sri Lanka nel nostro paese: "Abbiamo voluto distribuire il film contando sul fatto che ci sono tante persone di origini srilankese. Ci stiamo spostando tra le varie città cercando di far capire l’importanza del film all’interno di questi gruppi. Loro si riconoscono e c’è molta partecipazione. A Napoli qualche giorno fa sono venuti in tanti con i figli dicendo che dovevano vederlo e capire, perché dallo Sri Lanka non possono farlo. Durante la produzione, dal momento che un’opera è sempre molto difficile, ho avuto un forte sostegno di questo gruppo di Verona, che ha aiutato il film come se fosse una missione, dal farci da mangiare per 30 giorni, fino a offrirci ospitalità. È stata una base di sicurezza su cui appoggiarci, che ha dato un respiro e una voce al film. Mi piace questa sensazione di fare da ponte e portare le cose da una parte all’altra". C’è qualcosa di autobiografico nella storia della badante, così ben raccontata? “No, ma c’è molto dei racconti con cui sono cresciuto, che ho sentito da persone che mi raccontavano le loro esperienze. Conosco molto da vicino questo mondo e ho molti parenti che fanno questo mestiere. Per me la madre è una cosa sacra, nelle mie origini si dice “non pregare Dio, prega tua madre”. Ogni volto che torno in Sri Lanka vedo macchine che hanno attaccate citazioni sulla madre, non per mammismo ma proprio per venerazione della figura. Io ho sempre indagato, anche nei miei corti, su questo ruolo che è stato anche l’unico che ho conosciuto".