Sembra mio figlio: Costanza Quatriglio presenta il suo film su un genocidio sconosciuto
Accolto con molti applausi al festival di Locarno, arriva in sala il 20 settembre il film che parla del popolo Hazara e del suo sterminio, ispirato ad una storia vera.

Dopo la calorosa accoglienza al festival di Locarno, dove ha avuto una ribalta d’eccezione, sta per arrivare nelle nostre sale, il 20 settembre, il nuovo lungometraggio di Costanza Quatriglio, Sembra mio figlio, che racconta, ispirandosi alla storia vera di Mohammad Jan Azzad, giunto in Italia senza madre da bambino, il genocidio e la diaspora di una popolazione afghana, gli Hazara, perseguitati fin dal 1890. Scritto a quattro mani con Doriana Leondeff, coprodotto con Belgio e Croazia e distribuito da Ascent Film, ha come protagonisti due attori di etnia Hazara, Basir Ahang e Dawood Yousefi, nel ruolo di due fratelli che vivono in Italia e venti anni dopo esser fuggiti da bambini, ritrovano un contatto telefonico con la madre che vive in Pakistan. Il film uscirà nelle capozone con 10/12 copie, puntando alla tenitura e con una serie di anteprime (al momento il 17 a Milano, il 18 a Palermo e il 19 a Roma) e l’appoggio di Amnesty International e di altre associazioni come l’UNHCR per i rifugiati.
Per portare sullo schermo una storia tanto potente e universale, racconta Quatriglio: “Il primo passaggio è stato individuare una chiave che fosse naturale, il punto di vista di chi ha vissuto l'esperienza dello sradicamento, dello strappo dalla madre e dalla terra, il secondo quello di individuare un racconto possibile per raccontare una storia gigantesca, ma ho capito che era giusto fare questo film quando ho sentito che la chiave era il grande archetipo epico, il racconto di chi sei, di come ti definisci. E’ un film che apre tantissime domande e non imbocca le risposte. Alla fine Ismail trova una madre possibile al di là del dato biologico, questo è stato lo scarto dalla storia vera, che per fortuna va in una dimensione di grande certezza, di armonia. Qua ci voleva la condivisione per fare questo passaggio, non c'era ragazzo coinvolto nel film e con cui ho parlato che non dicesse “è anche la mia storia”. Ad esempio nella scena delle fosse comuni c’è stato un grado di emozione fortissima perché tutti in qualche modo avevano avuto questa esperienza negli anni Novanta, dove avevano perso dei loro cari negli attentati. E’ stata un’andata e ritorno tra la scrittura e la carne”.
Per Basir, che interpreta Ismail, “all’inizio è stato difficile perché lo era tornare a vivere da capo quello che avevamo vissuto. Tutti per vivere cerchiamo di dimenticare quelle esperienze. Io ho rivissuto quelle sensazioni che avevo già sperimentato”. Gli fa eco il compagno di avventura Dawood, che come lui vive da molti anni in Italia: “Per me è stato molto bello ed emozionante, io non vedo mia madre e la mia famiglia da 17 anni, poteva essere anche la mia storia. Non è stato facile per un nuovo attore come me, ci sono stati emozioni molto forti e momenti tristi e felici. A me e Basir colpiva molto, ci faceva ricordare i momenti che abbiamo vissuto e quello che sta succedendo anche adesso. Spero che si racconti questi genocidio che va avanti da tantissimi anni, da più di 100 anni colpisce una minoranza. Spero che cambierà qualcosa, in Europa soprattutto ma anche nel resto del mondo, perché ognuno ha diritto di vivere, essere Hazara non deve essere un crimine e una vergogna, tutti fanno parte di una famiglia che è soltanto quella umana. In alcune scene mi veniva da piangere ma purtroppo o per fortuna non riesco a piangere da quando avevo 10 anni.”
Proprio sul misconosciuto martirio del popolo Hazara interviene di nuovo Basir: “Spero che questo film cambi la situazione anche perché questo popolo perseguitato da secoli viene ignorato dai media e dalla politica internazionale, non si parla degli Hazara, essere Hazara in Afghanistan ancora oggi è un crimine. Nel 1890 il 62% della popolazione Hazara è stata massacrata e la strage è continuata e continua anche in presenza delle forze internazionali. Quando ho conosciuto Costanza a Milano e ne abbiamo parlato era un sogno per me e per tutti quelli della mia generazione poter raccontare questa storia. All'inizio non credevo che sarebbe successo. Anche io da 10 anni non vedevo la mia mamma, la scena finale è stata un po' come rinascere, alla fine del film era come dimenticare tutto quello che è successo prima e avere un po' di felicità”.
Tihana Lazovic, che interpreta l’amica di Ismail, Nina, e non parla la nostra lingua, racconta: “ Quando ho letto la prima volta ho pensato che sarebbe stato un incubo lavorare in una lingua straniera. Dopo sono venuta al provino e ho capito che il problema più grande non era la lingua ma erano le emozioni. All'inizio del film vediamo Nina in una scena dove è coperta e pian piano si toglie pezzo dopo pezzo e fa vedere se stessa a Ismail. Questo svelarsi è fatto in modo molto sottile. Per me non è stato difficile immedesimarmi in quel ruolo perché vengo dalla ex Jugoslavia, ho vissuto la guerra e la situazione mi è familiare”.
Matteo Rovere ha prodotto il film assieme ad Andrea Paris: "Costanza ci ha proposto il film qualche anno fa e Andrea in particolare ha pensato di costruire una coproduzione internazionale, con Eurimages, a dimostrazione che il testo aveva già attirato l'attenzione di partner esteri nonostante argomenti che oggi sembrano scomodi, poco accettati e poco di moda”. Paris sottolinea che il film si è avvalso anche “della partecipazione di un produttore iraniano. L’ultimo film girato in Iran era stato Il deserto dei tartari nel 1976, quando c’era ancora lo Scià. Era impossibile andare in Pakistan per girarlo, per ovvi motivi, per cui abbiamo dovuto aspettare a lungo il permesso per girare in Iran, che però, con nostra grande soddisfazione, alla fine è arrivato”.
La troupe in cui si parlavano diverse lingue e dove lavoravano persone di varia nazionalità rispecchia uno dei temi del film, la lingua. Nel film, commenta Costanza Quatriglio, “Ismail e Nina, la ragazza croata, si incontrano in un territorio terzo, e tra loro parlano in italiano, a dimostrazione che è difficile appartenere ad un solo luogo. Anche le musiche sono un elemento narrativo importante, io lavoro sempre sulla musica prima di cominciare un film. In questo caso era importante il repertorio, cosa si sente alla radio, o la musica nella scena nel pub, quando lei si commuove. La musica ci dice dove sei, ti identitifica in quel momento, in quello spazio. Il viaggio è anche musicale, quando Ismail parte, fino al pezzo finale su cui il musicista ha lavorato quasi un anno, suonato con uno strumento tradizionale hazara. Mi piace questo percorso, dai Tears For Fears alla ninna nanna hazara quando lui ritrova la madre".