Interviste Cinema

Sam Mendes e Daniel Craig raccontano il Bond tra passato e futuro di 007 Skyfall

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Regista e attore hanno presentato il film a Roma, assieme alla Bond-girl Naomie Harris

Sam Mendes e Daniel Craig raccontano il Bond tra passato e futuro di 007 Skyfall

A noi giornalisti - divisi in gruppetti all’interno di lussuose, ma poco luminose, stanze d’hotel romane - il regista e i due protagonisti di 007 Skyfall giunti nella Città Eterna per l’anteprime italiana del 23esimo film del canone ufficiale di James Bond ce li portano uno per uno. Una sorta di zoo safari cinematografico al contrario, dove è la star a recarsi di persona presso i punti d’osservazione prestabiliti.
C’è da dire che tutti, da Sam Mendes a Daniel Craig, passando per la new entry Naomie Harris, appaiono cordiali e disponibili, assai meno annoiati dalle routine dei tour promozionali di molti altri loro colleghi.
Sarà, anche, che il loro film è stato accolto sia negli Stati Uniti che in Gran Bretagna da una salve di recensioni decisamente positive.

“Beh, devo ammettere che mi fanno sentire decisamente bene,” sorride beato e pacioso Mendes, “anche se è ancora tutto un po’ strano. Ho finito il film un paio di settimane fa e le prime recensioni sono uscite, subito, già un paio di giorni dopo, e non ho avuto il tempo per mettere le cose in prospettiva.”
Il regista inglese ha spesso parlato, nelle interviste più recenti, dei dubbi che ha avuto prima di accettare l’impegno di questo film, e di come si sia convinto pensando di operare sull’immaginario dei Bond-movie così come il connazionale Christopher Nolan ha fatto con Batman ne Il cavaliere oscuro. A Roma ha raccontato di aver cercato di “rendere la storia personale, di andare alla ricerca di una trama che spingesse James Bond verso nuovi lidi, all’esplorazione del suo passato, della sua età, dei suoi limiti. Siamo partiti comunque dall’arco narrativo del personaggio, del suo animo, e poi vi abbiamo aggiunto sopra tutto l’armamentario tipico di un film di Bond. Per far qualcosa del genere hai bisogno di un attore che sia disposto a esplorare quelle zone grigie assieme a te. E allora forse questo film è di Daniel tanto quanto mio.”

Craig, il Daniel in questione, parla veloce, con voce profonda e gli occhi bassi, più per timidezza che per ritrosia. Ride e sorride spesso, fin da quando fa il suo ingresso nella stanza e rispondendo a chi suggerisce una possibile, curiosa, analogia tra il suo tornare nei panni di Bond e l’ “I’ll be back” di Terminator esclama: “Oh Jesus! Spero proprio di non essere come lui. Certo, mi auguro una carriera lunga come quella di Arnold, ma di certo sono assai meno repubblicano di lui.”
Craig ammette che la leggenda metropolitana sul fatto che sia stato lui a spingere Mendes a girare questo film è vera, ma che tutto è nato “dopo una lunga conversazione sui film della serie che abbiamo fatto, ma da fan, non da uomini di cinema. Sam pensava che dovessi interpretare un film che avesse tutte le caratteristiche classiche di un Bond movie e che al tempo stesso recuparasse la dimensione psicologica che deriva dalla radice letteraria del personaggio. Io ero totalmente d’accordo, ed eccoci qui.”
In 007 Skyfall, come nei due film che son venuti prima, per l’attore era comunque importante che il suo Bond fosse personale: “Fin dall’inizio,” racconta, “il mio unico scopo era quello di non copiare nulla di quanto avevo visto al cinema in precedenza. Non volevo copiare nessuno e rendere il personaggio mio. In questo film, però, volevamo esplicitamente rendere omaggio a quanto è venuto prima di noi, ma in un modo originale. E non è stato facile: c’è voluto molto lavoro. Che poi alla fine, personalmente, ho ottenuto tutto quello che desideravo all’interno del film, è stato anche merito di una buona dose di fortuna.”
Fortuna, il Bond di Craig, continua ad averla anche con le donne: donne però diverse da quelle cui i film con Sean Connery o Roger Moore ci avevano abituato, donne più forti, che 007 rispetta di più. “Il mondo è cambiato dal 1962, e di conseguenza è cambiato il rapporto tra 007 e l’altro sesso,” spiega l’attore. Credo che intimamente Bond rimanga uno sciovinista ma anche che vederlo insieme a donni forti sia meglio che vederlo con donne succubi.”
Quale sia stata la Bond-girl che maggiormente l’ha messo in soggezione, Craig non ha problemi a dirlo: “È stata davvero un’esperienza surreale girare assieme alla Regina Elisabetta II (nel corto di Danny Boyle parte della cerimonia d’inaugurazione delle Olimpiadi di Londra 2012, n.d.r.), penso davvero sia stata lei la partner che più mi ha messo in difficoltà. D’altronde, lei è la Regina, io uno qualsiasi dei suoi sudditi. Forse non il miglior suddito, ma uno dei tanti.”

Suddito della Regina è anche Naomie Harris, una delle due Bond-girl di questo 007 Skyfall, assieme alla francese Bérénice Marlohe.
La Harris, che è stata notata da Mendes a teatro, mentre recitava del "Frankenstein" messo in scena proprio da Danny Boyle, lo stesso che le diede il primo ruolo importante al cinema con 28 giorni dopo, la pensa come Craig sul rapporto tra Bond e le donne.
“I ruoli femminile nei film di James Bond - di cui sono fan fin da piccola, tanto che ho festeggiato con la mia famiglia fin da quando venni invitata al provino per la parte - è molto cambiato negli anni , si è evoluto,” ha spiegato, “perché questa è una saga che si reinventa costantemente per stare al passo con i tempi. Eve è un agente operativo, ed è molto in gamba: lei si vede abile tanto quanto Bond, e questo era un aspetto che mi piaceva molto. Mi piaceva la sua competitività che si manifesta con lo stuzzicarsi e il flirtare.”
Se nei giorni scorsi è stata proprio la Harris a raccontare della possibilità che Idris Elba diventi il primo Black Bond della storia, durante il nostro incontro è stata più attenta: “Penso che Daniel continuerà a interpretare 007 per almeno qualche altro film. Lui lo abbia reso migliore, più umano: l’ha reinventato, liberato da una dimensione di giocattolo nella quale era caduto. Ma, quando dovesse lasciare, spero che, come avvenuto per la mia parte, ci sia la libertà di andare a cercare attori di ogni colore e provenienza.”

L’impressione, comunque, è che il cambio della guardia sia lontano.
Nonostante Sam Mendes veda 007 come quella grande nave da guerra in dismissione del quadro di William Turner ("La valorosa Téméraire") che, in Skyfall, fa ammirare al suo protagonista. “Ma se io lo vedo così,” aggiunge il regista, “amo anche molto che lo stesso Bond veda quel quadro, e quindi sé stesso, in maniera diametralmente opposta.”
Perché, per Medes, 007 Skyfall è un film che cattura contraddizioni molto sentite: “Con questo film volevo girare finalmente qualcosa di non personale, che mi sfidasse in maniera diversa dal solito. E invece sono finito a fare un film molto personale lo stesso. Quando le cose funzionano, sul set, tendi inconsciamente a spingere verso le direzioni che t’interessano realmente

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