Romantiche: Pilar Fogliati si fa irresistibilmente in quattro e con Giovanni Veronesi presenta il film
Romantiche è una commedia nella quale Pilar Fogliati, che è anche regista e ha scritto la sceneggiatura con Giovanni Veronesi, interpreta quattro personaggi che raccontano ciascuno una zona di Roma e un carattere. Il film è stato presentato oggi ai giornalisti e arriva in sala il 23 febbraio.
Quando Carlo Verdone ha diretto Grande, Grosso e Verdone, ha detto che di personaggi come quelli che popolavano le sue prime commedie a episodi non ne esistevano quasi più in Italia, perché la realtà era diventata sempre meno interessante e le persone sempre più aggressive, ciniche e sgradevoli. Per fortuna non tutti la pensano allo stesso modo, e oggi tocca alla trentenne Pilar Fogliati portare al cinema una galleria di ritratti travolgenti che nascono da un'attenta osservazione del variegato tessuto sociale romano. Da ragazza Pilar ha frequentato diversi ambienti e sempre si è sentita un po' a disagio. Alcune delle ragazze che ha conosciuto sono diventate personaggi immaginari e quattro compaiono nel suo primo film da regista, che ha sceneggiato insieme a Giovanni Veronesi. In uscita il 23 febbraio con Vision Distribution, Romantiche segue le vicissitudini della palermitana Eugenia, aspirante sceneggiatrice che vive al Pigneto, di Uvetta, che appartiene all'aristocrazia e abita fra Roma e un borgo di campagna, della brava ragazza di Guidonia Michela e della pariolina Tazia, volitiva e "comandina". Di queste donne ci racconta la regista in occasione della presentazione del film alla stampa romana. Lei e Giovanni Veronesi stanno accompagnando la commedia in giro per l'Italia, in un tour di circa 30 tappe nel quale anche il pubblico che non conosce per esempio le differenze fra la parte sud e la parte nord della capitale si è molto divertito a vedere il film.
"Eravamo curiosi di capire se nelle altre città la gente sarebbe riuscita a riconoscersi in personaggi che abitano a Roma" - ha spiegato Pilar. "Con sorpresa, abbiamo scoperto che gli spettatori li avevano compresi e apprezzati perché prima del dialetto veniva il loro ambiente. Abbiamo insomma cercato di intrappolare Eugenia, Uvetta, Michela e Tazia in una serie di cliché, e lo abbiamo fatto attraverso dei tic, un certo linguaggio e i costumi. Il nostro obiettivo era però renderle tutte umane, riconoscibili. Dopo ogni proiezione, chiedevamo al pubblico quale fra le quattro giovani donne fosse la più riconoscibile. Uvetta e Tazia erano quelle che piacevano di più. Le persone più giovani, invece, apprezzavano soprattutto Eugenia. Nella parte del film su Eugenia c'è il fantasma del fallimento, la paura della precarietà, l'idea di non farcela, la voglia di non mollare mai, insomma la filosofia del "ce la puoi fare" che è tipica della mia generazione. In generale, ogni protagonista si chiede: 'Ma sono speciale? Ho qualcosa in più degli altri?' Sono domande problematiche, che possono mandare molto in crisi".
Per Giovanni Veronesi l'esperienza di Romantiche costituisce un unicum nella sua carriera di sceneggiatore, perché ha scritto e fatto film in cui i protagonisti (e i registi) erano di sesso maschile. Il filmmaker a cui dobbiamo Manuale d'amore e relativi sequel ha invece già diretto i film a episodi.
"Non mi spaventava l'idea di un film a episodi"- dice infatti - "perché mi è capitato di farli. E comunque ciò che mi interessava di più - da maschio sessantenne che ha sempre scritto insieme a comici di sesso maschile commedie in cui le donne venivano relegate a parti marginali - era poter cambiare, fare un doppio salto mortale all’indietro, mutare prospettiva e vedere tutto da un punto di vista femminile. Mi sono ritrovato per la prima volta a trattare gli uomini come non li avevo mai trattati, e cioè come coglioni. Gli uomini dovrebbero vedere questi film, perché si renderebbero conto del modo in cui le donne ci vedono e prevedono i nostri comportamenti. Questo è il film di una ragazza di 30 anni, e io mi sono davvero messo a servizio, come non facevo da tempo, di una persona, abbassando la cresta. Mi sono messo lì e ci sono rimasto fino alla fine, a darmi, in quanto uomo, delle bastonate clamorose. In realtà era Pilar che mi dava bastonate clamorose. Io le prendevo e pensavo: forse mi fanno bene.
"A un certo punto" - interviene la Fogliati - "durante una delle proiezioni, un tizio mi ha detto: 'Senti, guarda, il film mi è piaciuto, però te lo dico, gli uomini vengono fuori un po’ deficienti, sono un po’ dei fagiani'. Al che ho pensato: ok, mi fai notare una cosa su cui non ho mai riflettuto mentre scrivevo, e cioè che gli uomini li ho davvero resi stupidi, e questo non perché penso che siano dei cretini, ma perché hanno una funzione accessoria nella mia storia". Poi la regista e sceneggiatrice restituisce i complimenti a Veronesi: "Il fatto che Giovanni abbia avuto la voglia e la curiosità di scrivere con una ragazza di 30 anni per me è incredibile, lui è un artista che non smette mai di cercare. E’ curioso e vuole mettersi in difficoltà, ad esempio stando dietro a una cosa che conosce meno, o che gli interessa meno. Si è appassionato a questi personaggi in una maniera per me incomprensibile e commovente".
Giovanni Veronesi ha detto immediatamente sì a Pilar Fogliati perché sentiva che il loro sarebbe stato un connubio artistico speciale: "Se dovessi rinascere animale - ha spiegato - "sarei un lagotto, che è un cane da tartufo, perché nella mia vita ho sempre annusato cose buone. Mi è successo per esempio di incontrare Francesco Nuti: l'ho annusato e ho capito che il mio posto era lì accanto a lui. Poi, quando Francesco ha preso una brutta deriva, è arrivato un altro treno, che era quello di Leonardo Pieraccioni, che all'epoca non era nessuno. Ancora una volta ho annusato e capito che anche lì c’'era qualcosa che mi poteva interessare. Infine, quando ho conosciuto Pilar, il suo treno è stato molto importante per me, perché anche stavolta ho annusato un talento straordinario. Mi piace vivere in mezzo ai talenti, insieme alle persone che incontro e che penso abbiano tanto da dire".
Ovviamente Giovanni Veronesi ha messo la sua esperienza a disposizione di un'artista che, nonostante le sue capacità, era comunque al suo debutto dietro alla macchina da presa: "Abbiamo costruito il film insieme a Fabrizio Donvito e a Vision in modo molto millimetrico, molto specifico, perché era inutile mandare Pilar allo sbaraglio. Sarebbe stato insensato. Non c'è nessuna speculazione nel film. Non abbiamo pensato, per esempio, a un film femminista che avrebbe fatto presa sulle donneA me Pilar faceva ridere, come mi ha sempre fatto ridere un comico che fa ridere, e quindi, come ho già detto, mi sono basato su questo istinto che mi ha sempre portato fortuna".
Torniamo a Carlo Verdone. Se lo abbiamo citato è perché i suoi film hanno influenzato Romantiche, come ha spiegato Pilar Fogliati: "Io ho iniziato ad amare il cinema vedendo i film di Carlo Verdone, è un genere che mi piace tantissimo. In Italia sono stati fatti tanti capolavori su personaggi che appartengono a delle tipologie. Quindi sì, effettivamente il primo cinema di Carlo Verdone è stato il mio riferimento. E comunque, quando uno prova a fare una cosa per la prima volta, ovviamente tenta di imitare i propri miti, e sarebbe stato sciocco provare a imitare qualcun altro. Ho sempre amato l'amarezza che Carlo metteva nei suoi personaggi comici, che da spettatrice trovavo buffi e nello stesso tempo commoventi".
A fine incontro, una giornalista domanda alla regista e protagonista di Romantiche quale sia stato il personaggio del film più difficile da interpretare. La Fogliati non ha nemmeno un attimo di esitazione e risponde: "Credo Tazia, perché ci saranno delle cose di me anche in Tazia, però in generale una donna che ti urla le cose in faccia è lontana da me. Lei è perentoria, che è una qualità che io non ho, e mi piace che i miei personaggi non mi assomigliano molto”. Poi Pilar aggiunge: "Ho conosciuto tante Uvette e tante Tazie nella mia infanzia, poi, a 18 anni sono entrata all'Accademia d'Arte Drammatica Silvio D'Amico, a Roma, dove ho conosciuto moltissime Eugenie. In quel mondo popolato da intellettuali e artisti, mi sentivo una straniera. Mi sentivo fuori posto quando stavo con le Tazie e con le Uvette, e anche quando sono entrata in Accademia. Gli ambienti borghesi vengono spesso definiti snob, ma c'è dello snobismo anche quando hai a che fare con l'arte, con gli aspiranti attori. Devo aggiungere a tutto questo il fatto di aver vissuto a lungo a Mentana, vicino Guidonia, e quindi ho avuto la fortuna di attraversare tutti gli ambienti romani che ci sono nel film. Per Eugenia il discorso è diverso. Ho frequentato tanto Palermo perché sono stata fidanzata 5 anni con un palermitano, Quell'accento era perfetto per il personaggio. Perché come lei è un po’ "scocciato".