Interviste Cinema

Rodrigo Sorogoyen, da As Bestas a una serie tv romantica: la nostra intervista esclusiva col regista spagnolo

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Abbiamo approfittato della sua presenza a Roma, grazie ai ragazzi del Piccolo America, per presentare al pubblico a Monte Ciocci e al cinema Troisi Il regno e As Bestas, per incontrare uno dei registi europei più interessanti in circolazione, Rodrigo Sorogoyen. La nostra intervista.

Rodrigo Sorogoyen, da As Bestas a una serie tv romantica: la nostra intervista esclusiva col regista spagnolo

Siamo davvero grati ai ragazzi del Piccolo America - che quest’anno hanno gestito in contemporanea e con gran successo di pubblico quattro realtà cinematografiche estive, ovvero il Cinema Troisi e le arene all’aperto di Piazza San Cosimato, Monte Ciocci e La Cervelletta - per aver invitato, tra i tanti attori e registi presenti, Rodrigo Sorogoyen, per chi scrive forse la stella più brillante del cinema europeo. Il desiderio di incontrarlo di persona ci era nato subito dopo aver visto Il Regno, lo splendido thriller politico con Antonio De La Torre vincitore di sette premi Goya: il suo ci era subito apparso come un nuovo modo di fare cinema politico, o civile, che pur ricordando quello di decenni precedenti aveva un'impronta originale. L’amore per il suo cinema era cresciuto con Che Dio ci perdoni (come Il Regno, su Prime Video), dove la storia della caccia a un imprendibile serial killer rifuggiva da tutti i luoghi comuni che ormai si sprecano sull’argomento. La sua capacità di sorprenderci e di spiazzarci, coi suoi film, si era poi consolidata con Madre (il corto candidato all’Oscar e il successivo lungometraggio), col suo debutto, Stockholm, con la serie Antidisturbios (su DIsney + ), fino all’apoteosi dei As Bestas, vincitore di nove premi Goya e innumerevoli riconoscimenti internazionali, di cui abbiamo parlato più volte e che consideriamo forse il film migliore dell’anno. Storie oscure, ma che non portano mai dove ci aspetteremmo: la strada all’improvviso si biforca, le nostre certezze vengono messe in discussione, i punti di vista cambiano, come lo fanno i generi cinematografici all’interno di un’unica storia. Uno studio attento non solo della fase fondamentale della scrittura, ma della messinscena, della recitazione, di tutti i reparti tecnici che fanno del film un’opera collettiva, con un riguardo particolare per le colonne sonore. Era dunque tanta la curiosità di incontrare di persona questo regista madrileno, che di persona sembra anche più giovane dei 42 anni che compirà a settembre, a Roma con la moglie, la straordinaria interprete di Madre, Marta Nieto, che in camicia o maglietta e bermuda ha sfidato le infernali temperature romane per parlare col pubblico. Mai banale, gran parlatore, dotato di un senso dell’umorismo, Rodrigo Sorogoyen è un regista innamorato del cinema, che non dà importanza a se stesso ma alle storie che racconta: non dice mai “io” ma sempre “noi” e non è un pluralis majestatis, visto che tutti i suoi lavori sono scritti in collaborazione con Isabel Peña, la metà di un duo creativo a cui attribuisce molta importanza. Lo leggete qua sotto nell’estratto della nostra esclusiva chiacchierata.

La nostra intervista a Rodrigo Sorogoyen

I tuoi film ricordano quelli che si vedevano negli anni Settanta: sono provocatori, a volte spiazzano, ma sono sempre coinvolgenti per lo spettatore, che inducono a riflettere. E la struttura del thriller che spesso adotti sembra mutuata da quel cinema. Quali sono state le tue influenze cinematografiche formative?

La mia educazione cinematografica è avvenuta proprio col cinema degli anni Settanta, non tanto quello spagnolo quanto quello americano, francese e italiano. Un po’ coi film italiani e francesi del periodo tra gli anni Sessanta e settanta e soprattutto col cinema americano, che arrivava più facilmente in Spagna. Registi spagnoli come Carlos Saura li ho scoperti più da grande, a diciotto/vent’anni, ma da piccolo, ero molto giovane, ricordo di aver visto i film di Scorsese, di Peckinpah, di Sidney Lumet e Coppola, questo genere di cinema. Quando ci penso, è evidente sul mio cinema l’influenza di questo modo di raccontare le storie, come si faceva negli anni Settanta, dove sotto la forma del thriller si racconta una realtà politica, ma è anche vero che i thriller americani con cui sono cresciuto, degli anni Settanta, Ottanta e Novanta - ovviamente includo Tarantino - spiegano film come Che Dio ci perdoni o Il Regno, mentre quando avevo diciotto/vent’anni e cominciavo a immaginare le storie che volevo raccontare, queste erano tutte romantiche perché mi ero formato col cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta.

A proposito di film romantici, il tuo esordio, Stockholm, ha una struttura particolare, che, un po’ come As Bestas, a metà prende un’altra strada e un altro punto di vista.

Stockholm è il primo film che ho diretto da solo e quando l’ho l’ho immaginato avevo tra i 25 e i 27 anni e l’ho pensato subito come un film diviso in due. Mi piaceva questa struttura per cui si partiva da una storia d’amore tra due ragazzi, ma strutturata come un thriller, perché la suspense, i diversi punti di vista e il modo di raccontare la storia sono più simili a un film di genere che a una storia romantica. Non so perché ma fu un’idea che mi venne dall’inizio e Isabel Peña, la mia co-sceneggiatrice, con cui lavoro sempre, la condivideva e da lì siamo partiti, perché la sua educazione cinematografica coincide molto con la mia. Lei è una sceneggiatrice che nella vita mai avrebbe immaginato di fare thriller e all’improvviso abbiamo finito per farli, chissà perché.

A proposito del suo contributo, come lavorate insieme? Lei porta il punto di vista femminile nelle storie?

In realtà lei non porta il punto di vista femminile (ride), lei è in grado di scrivere perfettamente di uomini, di personaggi maschili come io penso di esserlo con la scrittura di quelli femminili. Proprio Stockholm è l’esempio più chiaro di questo: nel film io ho dato lo stesso contributo al personaggio femminile che lei ha dato a quello maschile e questa è una costante delle nostre sceneggiature. Il cinquanta per cento dei copioni, di tutto, appartiene a lei. Insieme formiamo un team molto produttivo e fertile, impariamo molto l’uno dall’altra, abbiamo una tale fiducia reciproca che non abbiamo timori, come a volte succede quando si lavora con altri sceneggiatori. Io ho fiducia che quello che lei mi dice è quello che pensa veramente. Non bisogna aver paura del confronto, così intendiamo il lavoro di sceneggiatura, perché se io difendo un’idea devo farlo in modo onesto, lo stesso vale per lei e poi alla fine vedremo quale idea la spunta. Ci deve essere parità, per me questo è un principio sacro, senza prevaricare o sfiduciare per principio le idee dell’altro. La nostra è una collaborazione molto valida, adesso stiamo lavorando a un nuovo film e lei mi ha appena mandato via mail la terza stesura della sceneggiatura. Da qua iniziamo a discuterne, ma quello che di regola facciamo è parlare, parlare tantissimo per un tempo molto lungo, per giorni, settimane e mesi, costruendo poco a poco una storia, ovviamente sapendo di cosa vogliamo parlare e cambiandola col passare delle settimane e dei mesi.

Tu parli di mesi ma dalla sceneggiatura di As Bestas al film sono passati sette anni. Come mai? Cosa è cambiato nel percorso?

Della sceneggiatura è cambiato pochissimo, in questo caso si è trattato più che altro una questione strategica. Non ricordo se all’inizio o alla fine della sceneggiatura di Che Dio ci perdoni leggemmo su un giornale la notizia, visto che si tratta di un fatto reale, e decidemmo che sarebbe stato il nostro film successivo. Iniziammo a girare Che Dio ci perdoni e a scrivere As Bestas e facemmo un paio di stesure: se le leggi ti rendi conto che si discostano pochissimo dal film finale. Però decidemmo invece di fare Il Regno. Fu un’ottima intuizione perché dopo aver girato Che Dio ci perdoni capimmo che non poteva essere il nostro terzo film, capivo cosa significava girare a 34/35 anni, l’età che avevo allora, Che dio ci perdoni con una grande produzione e ho intuito che non avrei potuto fare il film come lo volevo. Credevo molto in As Bestas e volevo avere più potere, più libertà e anche più soldi perché il film fosse il più fedele possibile alla sceneggiatura che avevamo scritto. Quindi abbiamo fatto Il Regno e poi altre cose come la serie Antidisturbios. La differenza principale è che se l’avessimo fatto subito dopo Che Dio ci perdoni il film non sarebbe stato della mia produzione ma di un’altra, ma nel frattempo siamo riusciti a fondare la Caballo Films e ad assicurarci finanziamenti e distribuzione, quindi lo abbiamo prodotto noi stessi, con i miei amici e i miei soci e abbiamo potuto fare il film che volevamo. La sceneggiatura si è sviluppata ed è migliorata, certo, ma non in modo sostanziale.

E’ casuale il fatto che in Madre e As Bestas il conflitto accada tra francesi e spagnoli o c’è un motivo?

(Ride) Io sono molto francofilo, dunque per me non c’è un motivo reale, dipende solo dal fatto che sono due film in coproduzione. Abbiamo trovato questa società di produzione francese, Le Pact, a cui sono piaciuti molti i nostri film, quindi l’ambientazione è venuta di conseguenza, anche se doveva avere un senso e in Madre ha tutto il senso del mondo, perché doveva essere ambientato in un paese confinante con la Spagna, su una spiaggia dell’Atlantico, ma in fondo poteva anche trattarsi dell’Italia. Con As Bestas è stato lo stesso, i protagonisti potevano essere inglesi, americani o russi, anche se è vero che le relazioni tra Francia e Spagna hanno molto in comune, anche in termini di conflitto e di pregiudizio, cosa molto interessante per i nostri protagonisti, ma per due contadini galiziani, che venissero due francesi a dir loro quello che potevano fare o due americani, storicamente era la stessa cosa.

Per il cortometraggio Madre sei stato candidato all’Oscar. L’idea di trasformarlo in un lungometraggio c’era dal principio o è nata in seguito?

Ogni volta che raccontavo l’idea del cortometraggio a qualcuno, a persone con cui lavoravo, o a produttori, mi dicevano che era un’ottima scena d’apertura per un film, anche se funziona molto bene come cortometraggio. Ma è vero che se il corto non avesse avuto successo non avremmo mai fatto il film. Però ha avuto un’ottima accoglienza e allora abbiamo deciso di continuare la storia perché ci interessava interrompere un po’ la strada del thriller che avevamo preso con Che Dio ci perdoni e Il Regno. Il corto era perfetto per dire: non vogliamo fare il tipico thriller ma una cosa molto diversa, perché chiaramente chi vede la prima scena di Madre e conosce Che Dio ci perdoni e Il regno crede che vedrà un film sul rapimento del bambino, con la madre che lo cerca e un’indagine poliziesca.

Hai già in mente in fase di scrittura lo stile di regia che sceglierai per il film o nasce sul set? Ad esempio Il Regno ha un ritmo frenetico, urgente, mentre As Bestas è molto diverso.

L’idea dello stile che sceglierò per il film a volte si forma già prima, è un viaggio molto bello che si fa partendo da alcune certezze, poi decidendo strada facendo mentre si scrive. A volte finisco di scriverlo e non so come lo girerò, ma ce ne sono altre, come è avvenuto col Regno, in cui lo sapevo fin dall’inizio perché io e Isabella abbiamo scritto la sceneggiatura in un certo modo, se la leggi ti accorgi che è molto frenetica, volevamo gente che parlasse molto, molto velocemente, e delle scene molto corte con molto ritmo. Anche nel caso di As Bestas lo sapevo e ne parlavo con Isabel e quindi nel copione c’è un ritmo lento, con molte pause, ma non sempre lo so, è un viaggio.

Ascoltando le tue interviste spagnole e parlandoti, dai l’impressione di essere una persona serena e con il senso dell’umorismo, però i tuoi film sono molto cupi. E’ il tuo modo di esorcizzare quello che ti spaventa, un po’ come accade a noi spettatori?

Mi considero una persona che si diverte, mi piace divertirmi, ho il senso dell’umorismo, penso di essere molto positivo e non ho avuto drammi nella mia vita personale, ma è vero che il cinema che facciamo è molto dark, non so perché, a me piacerebbe molto fare una commedia, e ne vedo anche molte come spettatore. Non so perché, forse per esplorare il lato oscuro nel mondo. La maggioranza dei film che abbiamo fatto - As Bestas, la serie Antidisturbios, Il Regno, Che Dio ci perdoni - sono nati dal tentativo di capire un poliziotto antisommossa, un politico corrotto, una donna francese che vuole restare a vivere in Spagna dopo l’omicidio del marito.

Dopo il successo internazionale di As Bestas, non hai un po' paura di affrontare il tuo prossimo film?

Non ho paura perché sono sicuro che dopo As Bestas non avremo lo stesso successo, lo sappiamo già, quindi non c’è da avere paura e dunque faremo un film molto diverso, molto rischioso, che ha buone possibilità di fallire, ma ci basta che sia una storia che ci interessa e che ci interesserebbe vederla come spettatori. Prima del film però farò una serie in dieci episodi per il canale spagnolo Movistar, di genere romantico.

Rodrigo Sorogoyen non cessa di stupirci e restiamo in trepidante attesa delle sue prossime prove, anche se al contrario di lui siamo sicuri che dopo As Bestas arriveranno molti altri successi. Perché il talento, quando c’è, alla fine viene riconosciuto anche dalle menti più pigre. Nel frattempo, se non li avete visti, noi vi consigliamo di cercare ovunque i suoi film e di recuperare in qualche arena, nel caso ve lo foste perso, As Bestas, che Sorogoyen aveva presentato lo scorso ottobre alla festa del cinema di Roma. Qua sotto alcune immagini degli incontri col pubblico a Roma.

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  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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