Paolo Virzì: "Con Il capitale umano guardo al futuro e metto lo spettatore in allarme sul presente"
Presentato a Roma il nuovo film del regista livornese, che cambia stile, riferimenti e si cimenta con una complessa vicenda corale.

Il 2014 cinematografico si aprirà all'insegna de Il capitale umano, il nuovo film di Paolo Virzì.
Un film nel quale il regista livornese cambia, perlomeno in parte, toni e registri, allontanandosi dai versanti al quale ha abituato il suo pubblico e firmando il suo film più livido dai tempi degli esordi de La bella vita e quello meno legato alla tradizione cinematografica del nostro paese.
“Ho guardato al futuro,” ha spiegato Virzì nella conferenza stampa di presentazione del film, “sono anni che ci stiamo nutrendo di letture, visioni, sguardi altri che hanno un po’ sporcato i legami con le mie origini.”
Alla base de Il capitale umano, infatti, c’è un romanzo americano scritto da Stephen Amidon, ambientato nel Connecticut e trasposto da Virzì e dai suoi co-sceneggiatori, Francesco Bruni e Francesco Piccolo, nella ricca e produttiva Brianza. “Avrei potuto ambientarlo in qualsiasi luogo ai margini di una città ricca,” ha spiegato il regista, “ma leggendo il romanzo ho pensato direttamente alla Brianza: e poi da noi la Borsa è a Milano.”
Già, perché tra i protagonisti di una storia corale, che incrocia le sorti di due famiglie e di altri personaggi, tra i quali la vittima di un incidente la cui ricostruzione è l’asse narrativo principale attorno al quale si sviluppano le vicende private e collettive, c’è un ricco finanziere - Giovanni Bernaschi, interpretato da Fabrizio Gifuni - che opera in maniera spregiudicata sui mercati.
E tra sogni di ricchezza di alcuni, mantenimento della stessa da parte di altri, sogni frustrati, amori giovanili e morti accidentali, Il capitale umano racconta senza volontà pamphlettistiche del mondo di oggi e delle sue possibili derive morali.
“Ci interessava far emergere questioni che riguardano i nostri tempi, e il mondo cosiddetto benestante, ma attraverso un racconto che facesse emergere certi temi in maniera spontanea e naturale, senza voler essere un apologo morale e apocalittico,” ha spiegato Virzì. “Attraverso le vicende di singoli personaggi, e la ricostruzione degli avvenimenti, nel film emergono pian piano temi come il cosa abbia voluto dire l’idea di arricchimento tramite la finanza, o l’accrescere della competitività individuale specie attraverso il rapporto tra i più giovani e i più grandi.”
Ma il regista non vuol sentire parlare di messaggio del film, perché “i messaggi li lasciamo dare al Papa, che mi pare ne stia dando di bellissimi. Non c’è bisogno che un regista spieghi un messaggio, se lo fa c’è qualcosa che non va.” E a chi gli chiede se pensa di aver fatto un film “all’americana”, risponde così: “Sicuramente ero alla ricerca di un tono diverso dal solito, ma sentivo di avere dentro l’idea di un cinema che proveniva non solo dall’America. Questo è un film meticcio, ha radici americane, ha un’ambientazione per me nuova come quella della Brianza, ricca e spaventosa, ho cercato di metterci dentro lo humor nero di certi autori ebrei americani, e spesso pensavo come riferimento a certi film di Claude Chabrol. Volevo insomma esplorare qualcosa di nuovo rispetto ai soliti riferimenti della commedia all’italiana, qualcosa che regalasse un senso di allarme allo spettatore, un senso di allarme riguardo i nostri tempi.”
D’accordo con il regista è Fabrizio Bentivoglio, che nel film è Dino, un piccolo borghese che sogna la ricchezza e la cerca legandosi al finanziere di Gifuni, e che fa di tutto per ottenerla: “Dino è un bell’uomo,” ha spiegato ironicamente l’attore parlando del suo personaggio, grottesco anche fisicamente. “Lui non ha letto Il capitale umano e non sa di essere un mostro: lo abbiamo costruito pensando che se c’è un capitale umano allora c’è anche un capitale disumano. La facilità con cui lui passa dall’umano al disumano è spaventosa, perché non ne percepisce la mostruosità. Allora se volete il messaggio del film è questo: mostrare la capacità di passare dall’umano al disumano, e quando la naturalezza con cui lo si supera vada sorvegliata.”
Investito del ruolo di figura negativa, Fabrizio Gifuni ha rivelato di essersi molto divertito nell’affrontare la parte: “È stata una delle mie esperienze cinematografiche più eccitanti, perché mi ha dato occasione di lavorare su aspetti lividi e sporchi, quelli che uso a teatro. Inoltre già sulla carta, Paolo e gli sceneggiatori non hanno mai usato solo uno e due colori per tratteggiarlo, ma l’hanno reso complesso e sfaccettato. Sul set gli abbiamo aggiunto un pizzico di violenza in più, una cosa che non mi dispiaceva, e prenderlo in un momento di disperazione e di difficoltà era interessante. Lui non considera il suo lavoro come sporco, lui vive anche della disperazione di dover continuare un lavoro ereditato dalla sua famiglia mentre i suoi fratelli smidollati vivono di rendita.”
“L’aver fatto di Bernaschi l’erede di una tradizione familiare è stato uno dei tanti cambiamenti fatti rispetto all’originale letterario,” ha poi spiegato Virzì. “Nel libro il suo corrispettivo era un vero self made man, e da noi non era una soluzione praticabile: pensate ai personaggi analoghi nel nostro paese, ai Ricucci e ai Coppola, e alla patina di grottesco che non riescono a scollarsi di dosso.”
Quando le chiedono se si sia ispirata a lei per la caratterizzazione del suo personaggio, quello di Carla, la moglie debole e frustrata di Bernaschi, Valeria Bruni Tedeschi nega invece di sapere chi sia Veronica Lario. L'attrice ha poi spiegato che nel film “ho lavorato come sempre, cercando con il massimo dell’onestà di guardare il personaggio, di portarlo a me studiando i suoi sogni, la sua solitudine, i suoi bisogni, e come tutto questo generi in lei una guerra interiore. Cerco sempre la guerra interiore di un personaggio. Carla mi colpiva molto per la sua solitudine e per il fatto di aver messo un coperchio sopra i suoi sogni: sono due cose che conosco molto bene.”
Per Valeria Golino, che invece nel film è Roberta, compagna di Dino la sfida “era dare credibilità al rapporto con un uomo come quello che interpreta Fabrizio. Lei è coerente, giudiziosa, buona, aperta: non ha nulla a che vedere con lui. E allora dovevo trovare il bene fra di loro, la sua origine, la sua permanenza. Dovevo trovare il legame tra due persone che non avrebbero in realtà nulla da dirsi.”
Quelli interpretati da Gifuni, Bentivoglio, Bruni Tedeschi e Golino sono solo quattro dei tanti personaggi de Il capitale umano, personaggi che, come ha detto Paolo Virzì, “potrebbero ispirare almeno una dozzina di puntate di una serie in stile HBO.”
E, tra il serio e il faceto, si è parlato della possibilità di dare vita a degli spin off del film.
Ma, in attesa di saper