Pablo Larraín ci racconta la sua Jackie inafferrabile
Al Festival di Venezia abbiamo intervistato il regista cileno sul film che è uno dei più seri candidati al Leone d'oro di quest'anno.
"Dopo tanti film incentrati su una personaggi maschili, finalmente ho potuto girarne uno su una donna. Per questo ho parlato molto con mia madre e con molte altre donne: per raffinare un punto di vista femminile. Ed è per questo anche che ho chiesto a Mica Levi di comporre le musiche." Così dice Pablo Larraín all'inizio del nostro incontro veneziano, parlando di Jackie, il film che racconta la storia della vedova di JFK nei pochi giorni intercorsi tra l'assassinio del Presidente americano a Dallas e i suoi funerali a Washington. "
"Conosciamo benissimo cosa è successo in quei cinque giorni per via delle registrazioni ufficiali," spiega il cileno, "ma non sappiamo cosa accadeva quando si chiudeva una porta: noi l'abbiamo dovuto creare e immaginare."
Ma nonostante questo, per il regista Jacqueline Lee Bouvier Kennedy (poi Onassis) è ancora un mistero: "Ho letto articoli, biografie, visto serie tv, letto interviste, ma ancora non so chi fosse Jackie. Ne abbiamo compreso una parte, ma non del tutto, e non volevamo nemmeno farlo: nemmeno Natalie l'ha compresa appieno, ma lei ha affrontato le cose con grande sensibilità. Cercare di comprenderla è come guardare una montagna intera, o cercare di catturare un fantasma. Sarà lo sguardo del pubblico a completare un disegno, a completare il nostro film."
Questo non vuol dire, ovviamente, che non ci siano state dei punti fermi, nel ritratto fatto dal regista e dall'attrice nel ritratto della loro protagonista: "A prima vista Jackie poteva sembrare una persona superficiale," dice, "ma se ti avvicinavi scoprivi che si trattava di una persona incredibile, sofisticata e misteriosa, dotata di grande educazione e cultura, di un acuto senso della politica. Soprattutto, aveva un'intelligenza e una capacità di usare i media straordinarie. È stata capace di decostruire e ricostruire l'eredità di JFK, morto prima di realizzare il suo programma, poi gettato alle ortiche da Johnson: è stata lei a fare di Kennedy una leggenda, e così è diventata lei stessa una leggenda, un'icona non solo di stile. Si tratta di splendore, dello splendore che aveva raggiunto e del colpo durissimo che ha ricevuto: cadi molto dolorosamente, se sei molto in alto."
Per Larraín, il massimo momento di splendore di Jackie coincide con lo show televisivo della CBS che, nel 1962, aveva permesso agli americani di entrare dentro la Casa Bianca e di vedere le tante ristrutturazioni degli ambienti da lei volute, e per le quali era stata aspramente criticata: "Ne parlava sempre come die giorni migliori della sua vita, e io ho inserito quello show nel film perché mi serviva come contrasto con quello che è accaduto dopo, come paradosso: il cinema è fondato su dei paradossi," dice. Ma gli spazi della Casa Bianca, ai quali la First Lady si era così diffusamente dedicata, sono stati per il cileno anche "un'estensione di lei e di quel che stava passando. Tutto in questo film è un'estensione di Jackie," dice, "e nel ricostruire a Parigi la Casa Bianca, affidandoci a quegli stessi arredatori cui si era rivolta lei in questo anni, abbiamo scelto quelle parti e quegli ambienti cui era possibile dare un senso psicologico allo spazio fisico."
Larraín non vuole definire Jackie un biopic, ma "lo studio di una donna incredibile in circostanze straordinarie. In più, non sono americano e non sentirò mai certi sentimenti così forti: il mio approccio, quindi, non è affatto patriottico. Quando parli di persone realmente esistite," aggiunge, "lo devi fare con libertà ma anche con rispetto, trovando un equilibrio. Non voglio che i miei film siano del tipo di quelli che si fan vedere agli studenti per imparare la storia: io odio gli insegnanti, odio i critici, odio chi cerca di insegnarmi. Ho già studiato."
Questa sera, Jackie, Natalie Portman e Pablo Larraín saranno i protagonisti assoluti della serata veneziana, ma durante il film, in Sala Grande, il regista non ci sarà: "Non guardo mai i miei film, una volta finiti, non rimango mai nemmeno durante le proiezioni ufficiali," spiega. "Solitamente, mi vado a nascondere dietro a un albero. O sopra. Chi passeggia per il Lido, è avvisato.
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