Interviste Cinema

My Name Is Alfred Hitchcock: intervista a Mark Cousins, regista del film sul maestro del brivido

Tra i film fuori concorso del Noir in Festival 2022 c'era il magnifico documentario My Name Is Alfred Hitchcock. Abbiamo intervistato il regista Mark Cousins.

My Name Is Alfred Hitchcock: intervista a Mark Cousins, regista del film sul maestro del brivido

È stato, almeno per noi, il film-folgorazione del Noir in Festival 2022, forse perché ci ha ricordato le ragioni per cui amiamo il cinema e in particolare il Noir nelle sue varie declinazioni. Ha avuto la sua anteprima italiana pochissimi giorni fa, a Milano, My Name Is Alfred Hitchcok, che nell'anno del centenario dell'opera prima di Hitchcock (Il labirinto delle passioni), celebra il genio del più grande regista di thriller mai esistito.

My Name is Alfred Hitchcock è un documentario con un elemento di finzione diretto da quel Mark Cousins a cui dobbiamo Marcia su Roma. Come ogni buon filmmaker, anche lui stravede per Psycho, Notorious, Nodo alla gola, La finestra sul cortile e così via, solo che, prima di avventurarsi in un territorio già battuto da molti, aveva deciso che solo un'idea originale, o meglio una nuova prospettiva, poteva spingerlo a mettersi all'opera.

Fin troppo è stato detto e scritto, infatti, sul buon Alfred, protagonista, ad esempio, del libro-intervista "Il cinema secondo Hitchcock" di François Truffaut, vera e propria bibbia dei cinefili di ieri e di oggi con cui è difficile competere. Ma Cousins una via l'ha trovata, e il risultato del suo lungo lavoro lo vedremo nel 2023.

Riusciamo a incontrare Mark Cousins solo virtualmente. Noi siamo in Italia e lui in Islanda, a Reykjavík, dove si svolge la cerimonia di premiazione degli EFA (European Film Awards). Dopo i saluti di rito e i complimenti, ci facciamo raccontare dal regista irlandese il suo primo fortunato incontro con Alfred Hitchcock: "Mi sono innamorato di Alfred Hitchcock all’età di otto anni e mezzo" - spiega. "Ero a Belfast. Il suo primo film che ho visto è stato Psycho. Forse ero troppo giovane, ma ero un assiduo consumatore di horror, anche se mi sembrava che puntassero perlopiù a spaventare lo spettatore. Mi sono reso conto che Psycho era tutta un'altra cosa: era arte e non soltanto terrore, e mi sembrava di notare la presenza di un linguaggio, una forma e un tema, e il tema era la solitudine. Così ho pensato: Wow! Allora il cinema può essere anche qualcosa di diverso dalla facile emozione".

Cosa l'ha spinta a fare un film su Alfred Hitchcock? All'inizio del documentario lui stesso dice che ci sono tante cose sui suoi film che non sappiamo…

Ognuno di noi ha suo personalissimo Hitchcock. Per chi ama il cinema e fa cinema, Alfred Hitchcock è come Dante, Charles Dickens, Shakespeare. I miei produttori mi avevano chiesto di fare un film su Hitchcock. Ero un po’ scettico, ma ho risposto: "D'accordo, rivedrò i suoi film". Eravamo in piena pandemia, così ho cominciato a vedere di nuovo i film di Hitchcock dal primo all'ultimo. In quelle settimane mi ripetevo spesso: "Se riesco a trovare un nuovo modo per raccontare Alfred Hitchcock, allora farò il film". Per fortuna ho capito abbastanza presto in che direzione muovermi, e cioè immaginando di essere nella sua testa e di parlare con la sua voce. Una volta che ho stabilito che il film doveva essere una narrazione in prima persona, ho cominciato a fantasticare di "incontrare" i pensieri di Hitchcock. E’ stato in quel momento che mi sono detto: "Posso farlo, e non vedo l'ora".

My Name Is Alfred Hitchcock è pieno di informazioni. Era già molto ferrato in materia o ha fatto un lungo lavoro di ricerca?

Anche se conoscevo Hitchcock, mi sono voluto documentare. Ho letto una ventina di testi, fra cui il libro che Patricia Hitchcock aveva scritto su sua madre Alma. Insomma mi sono aggiornato. I fatti mi interessavano più delle elucubrazioni di altri. Mentre leggevo, mi divertivo a immaginare l'opinione di Hitchcock su una serie di cose. Desideravo inoltre approfondire temi di cui non si parlava spesso, come la soddisfazione che dava a Hitchcock lavorare o sapere aver fatto un buon film. Volevo raccontare l'uomo Hitchcock, e siccome mi era capitato di parlare di lui con persone che lo conoscevano bene, ad esempio Janet Leigh e Sean Connery, desideravo che una parte delle nostre conversazioni finisse nel documentario".

La voce che sentiamo nel film sembra davvero quella di Hitchcock. Come ha fatto a "trovarla"? E perché era così importante metterla nel film?

Una buona parte dei libri su Alfred Hitchcock è stata scritta da accademici, da intellettuali. Hitchcock aveva un'immaginazione ludica e volevo che questa sua caratteristica venisse fuori insieme alla sua modernità. A proposito della voce, mi sono chiesto: "Chi mai potrà fare la voce di Alfred Hitchcock?". È una voce difficile da imitare. Hitchcock non aveva il classico accento londinese, ma parlava come chi abita nella parte nord orientale della città. E poi aveva una voce molto profonda, quindi quasi impossibile da riprodurre. Un giorno ho chiesto a uno straordinario attore britannico di darmi un consiglio. Mi ha detto: "L'attore che ha più orecchio di tutti è Alistair McGowan". In Inghilterra è conosciuto come comico, imitatore ma anche come attore. Recita benissimo e sa anche suonare il pianoforte, quindi è un artista piuttosto eclettico. Così l'ho chiamato e gli ho chiesto di essere la voce di Alfred Hitchcock. Circa un mese dopo, ho ricevuto una telefonata, e dall'altro capo del filo c'era Alfred Hitchcock! Mamma mia, era proprio lui! Era come se Alistair si fosse slogato la mandibola. Nella vita ho lavorato con Jane Fonda, Tilda Swinton e altre teste di serie del cinema, e vi assicuro che vedere le persone di talento fare egregiamente il proprio lavoro è uno dei piaceri del mio mestiere. Sentire Alistair che parlava esattamente come Alfred Hitchcock era musica per le mie orecchie. Una volta, davanti a una pizza e a un bicchiere di vino, gli ho chiesto: "Senti, ma quando il film sarà finito, ti ricorderai di questa voce?". Capita che molti attori dimentichino i loro personaggi quando hanno terminato un film o uno spettacolo, però lui mi ha risposto: "Certo! Se mi chiami fra 30 anni, sarò in grado di fare la sua voce all’istante".

Cosa spingeva Alfred Hitchcock a fare film?

Hitchcock aveva una grande virtù: il pensiero visivo. Se vai in una scuola, noterai che ci sono bambini che sono bravi a usare le parole e che infatti amano studiare letteratura. Poi ci sono altri bambini che hanno la capacità di pensare per immagini, e sono questi ultimi che diventeranno o giocatori di football o ingegneri, o graphic designer o architetti. Alfred Hitchcock pensava per immagini e riusciva a provare un desiderio e a trovare immediatamente un'immagine che lo raccontasse. Nel mio film c'è una scena in cui Charles Laughton guarda ammaliato la spalla nuda di una donna. Ebbene, la macchina da presa si affretta a riprenderla da vicino. Questa è una dimostrazione di puro pensiero visivo. Credo che nel cinema ci siano tante persone con una simile qualità, ma non tutti la possiedono, e molti pensano ancora che un buon film sia il risultato di una buona sceneggiatura, ma Hitchcock ha dimostrato che è uno sbaglio pensarla così. Hitchcock faceva parte della piccola borghesia, ma aspirava a essere Cary Grant con indosso uno splendido completo Armani. Hitchcock voleva viaggiare con Eva Marie Saint sul treno in Intrigo internazionale, e quindi la sua immaginazione aveva un cotè sociale. Hitchcock fantasticava moltissimo, e così facendo sondava i suoi desideri e anche quelli degli altri.

Chi ama Alfred Hitchcock cambia spesso idea su quale sia il suo film più bello. Da bambini si ama una cosa e da adulti un'altra. È​ stato così anche per lei?

All’inizio il mio film preferito è stato Psycho, perché era il primo che vedevo, poi mi sono innamorato di L'altro uomo - Delitto per delitto, perché aveva delle scene memorabili e un intreccio favoloso, poi ho avuto una folgorazione per La donna che visse due volte. C'è stato perfino un momento in cui ho detto che Marnie era il film di Hitchcock che amavo di più. Non era vero, volevo soltanto fare il Bastian Contrario. E adesso che ho avuto l'opportunità di vederli di nuovo, so che Notorious è quello che più mi commuove, perché faccio veramente fatica a non piangere alla fine del film di fronte all'amore che c'è fra i personaggi di Cary Grant e Ingrid Bergman, con lei che sta morendo e lui che cerca di salvarla. Però ammetto che quello che ha rapidamente scalato la classifica ed è arrivato in pole position è Nodo alla gola, e non solo per via dell'unico piano sequenza. Nodo alla gola è un film molto serio. Quelle scene verso la fine, quando Jimmy Stewart si alza, sono magnifiche. Si alza per combattere contro il fascismo. In pratica dice: "Ok, ho flirtato con queste idee, ma quando si arriva a uccidere le persone in nome di queste idee, non mi sta bene". Questa è una cosa che va tenuta in grande considerazione e che è fondamentale, soprattutto in quelle nazioni in cui ci si è spinti un po’ troppo in là, come in l'Italia.

Che rapporto aveva Alfred Hitchcock con il suo essere inglese?

L'Inghilterra è molto più complessa di quanto si possa pensare. Per esempio c'è una nutrita classe operaia, ma lo stereotipo vuole che gli inglesi siano rigidi, privi di emozioni, sempre intenti a nascondere ciò che provano realmente. Hitchcock lo sapeva, ed era molto bravo a dire a un pubblico inglese timido e riservato: "Venite al cinema, vi farò divertire". Per dirla con i francesi, cercava di epater les bourgeois. Hitchcock adorava mettere in crisi la visione del mondo della classe media inglese, e credo che, anche quando si recò in America e fece film molto americani, c'era in lui sempre quel curioso desiderio di rivolgersi alle persone che si sentivano soddisfatte della propria vita per farle sentire insoddisfatte. Quindi diciamo che il vero argomento dei film di Hitchcock non era l'essere inglesi ma la borghesia.

Come vedeva l'America? Era contento di essersi trasferito là?

Alfred Hitchcock si sentiva a proprio agio negli Stati Uniti. Ma se lo paragoniamo a Billy Wilder, non possiamo non ricordarci che Wilder si trasferì in America e subito cominciò a fare film che criticavano l'America: per esempio L'appartamento, un'opera che mette in discussione il mito del denaro, argomento che trattano anche altri film del regista di A qualcuno piace caldo. A una prima occhiata sembra che Hitchcock non intendesse attaccare l'America, e in effetti non lo fece, era diverso da Fritz Lang e da molti suoi colleghi immigrati negli USA, e questo perché Hitchcock fu influenzato da altri registi tedeschi, ad esempio Ernst Lubitsch. E comunque Alfred Hitchcock adorava l'edonismo americano e il fatto che, in presenza di molto denaro, fosse possibile condurre una molle esistenza piena di splendidi cocktail party. Hitchcock adorava quello stile di vita e stravedeva per gli eventi mondani, tuttavia sapeva anche che l'America, in certi contesti, era superficiale. I valori di Hitchcock non si identificavano con quelli americani, in primis con l'individualismo e il consumismo. Ecco perché Psycho è stato un film tanto importante, perché Hitchcock prese una donna normale e fece indossare a Janet Leigh vestiti normali. La sua acconciatura e il suo trucco non erano sofisticati, e proprio per questo Alfred Hitchcock poteva spingersi a raccontare l'inconfessabile, il nascosto. Non penso che Hitchcock avesse chiaro il suo rapporto con l'America, diciamo che aveva il piede in due staffe: voleva il consumismo dell'America, ma nello stesso tempo non poteva fare a meno di criticarlo. Alfred Hitchcock poteva capire le cose prima che accadessero, e quando arrivava sul set, poteva già vedere tutto il film fin dall'inizio, e ciò lo isolava dal mondo, o meglio isolava lui e la moglie Alma dal mondo.

Che rapporto aveva Alfred Hitchcock con sua moglie Alma?

C'è una visione da tabloid da quattro soldi di Hitchcock marito anaffettivo e regista innamorato delle sue splendide attrici. È vero che si comportò davvero male con Tippi Hedren, e su questo non ci piove, ma non ci sono prove di un comportamento così spregevole nei confronti di altre attrici. Ingrid Bergman lo adorava, così come Carole Lombard, Janet Leigh, Teresa Wright. Di solito Hitchcock era gentile con le donne. Alcuni sostengono che avesse un rapporto malato con le donne e il sesso. Io non credo. Con Tippi fu tremendo perché era convinto di averla "creata", trovandola fra le pagine delle riviste di moda e trasformandola in un'attrice, ma davvero penso che la sua relazione con le donne e la sessualità fosse normale, e comunque, leggendo le testimonianze delle donne che hanno lavorato con lui, si capisce che era un ottimo regista e compagno di lavoro.

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