Michel Ocelot e Parigi: incontro con il maestro dell’animazione francese
Dilili a Parigi è un nuovo ritratto femminile del regista, in una Parigi di fine secolo piena di artisti e rivoluzioni tecnologiche.

L’animazione in Francia vive un momento d’oro, non solo quella mainstream alla Asterix, ma anche quella indipendente, forma d’arte paziente disegnata per lo più in 2D, un disegno dopo l’altro, da autori come il decano classe 1943, Michel Ocelot. Un antropologo, oltre che un artista, con la sua opera imbevuta di amore per il racconto e per le popolazioni africane, come la serie di Kirikù.
Torna ora al cinema con Dilili a Parigi, il racconto di una ragazza giunta in Francia dalla Nuova Caledonia per l’Esposizione Universale del 1889. Un giorno conosce Orel, un giovane facchino, con cui decide di far di tutto per catturare i Maschi Maestri, un pericoloso gruppo di criminali conosciuto per i rapimenti di alcune bambine e numerosi furti.
Abbiamo incontrato Michel Ocelot a Parigi, per parlare del suo film, appena uscito nelle nostre sale, e della sua idea di animazione
È stato un piacere vedere il contrario di quello a cui ci ha abituato: degli africani che analizzano la nostra società europea, in questo caso Parigi, un po’ come nelle Lettere persiane di Montesquieu.
Ha ben individuato la meccanica, è bello vedere una bambina alle prese con la strana società che è la nostra. Non c’è alcuna nostalgia, ma solo della gioia nei confronti della nostra civilizzazione. Esiste così come tutte le persone che racconto, e quello che hanno fatto ci serve a tutti ancora oggi. Siamo ricchi, me ne compiaccio e dico: continuiamo, dobbiamo esserne all’altezza.
Come ha scelto le grandi personalità da citare nel film?
Ho pensato di voler parlare prima di tutto degli orrori che facciamo alle donne e alle ragazze, che sono più importanti delle guerre, che fanno meno danni di quello che le facciamo quotidianamente. Poi da tempo pensavo di relalizzare qualcosa ambientato a Parigi, allora ho scelto il 1900 per i bei vestiti, un approccio dunque molto superficiale, quindi mi sono immerso nell’epoca e ho trovato una realtà mai vista, sensazionale, da celebrare. Quando mi dicevano che c’erano troppi personaggi ne aggiungevo ancora. Così tanti geni nello stesso momento nella stessa città: c’era di che fare un film interessante. Amo tutti i personaggi, ho fatto il ritratto a ognuno di loro, una cosa molto intima, attraverso delle foto che avevo. È stato toccante. Avrà notato che ci sono molti italiani, come Modigliani o i Futuristi, che sono venuti qui a proclamare il loro manifesto. La Duse ha recitato nel teatro di Sarah Bernhardt. C’è poi D’Annunzio che alza una coppa di champagne. È questa la bellezza di Parigi, avere tanta gente che viene da fuori.
Oltre ai personaggi c’è Parigi: è stata occasione per lei per studiarla ancora meglio? È una delle città rimaste più integre nei secoli, anche grazie alla riforma ottocentesca di Haussmann, con i boulevard e uno stile simile negli edifici.
È così. Talvolta viene criticato, ma io lo lodo, perché ha creato una capitale utilizzando il potere di un imperatore (Napoleone III ndr.) per tagliare le braccia e le gambe della città, ma facendo una città monumentale in cui si può vivere anche oggi nonostante l’eccesso di macchine. Bisogna sempre stare attenti a preservarne la bellezza, le prospettive, e non costruire degli orrori accanto ai palazzi monumentali. Ci sono stati dei crimini anche contro l’architettura.
C’è qualcosa che l’ha sorpresa lavorando su Parigi, avendo la possibilità di guardarla in maniera differente?
No, Parigi è stata talmente fotografata e celebrata che non ho scoperto niente di nuovo. Usando il filtro di una macchina fotografica ho visto più cose del solito, ad esempio nel mio quartiere. È stato piacevole.
Qual è la gioia per lei di disegnare la piccola ragazza protagonista?
Un grande piacere. Prima di tutto amo disegnare, poi è stato molto piacevole creare questa figura così gradevole, antica, con il vestito stretto in vita e una bella gonna. Poi ho fatto un ritratto attento di tutta la gente che amavo. Avevo molte foto e qualche quadro e piano piano li ho ricostruiti, senza che potessero posare, non è stato facile.
Ha un preferito?
Amo molto Toulouse-Lautrec, perché era un bon vivant che amava la vita e i suoi amici, che l’hanno amato anche al di là della morte, occupandosi di lui. Poi lo amo come pittore, con la sua fretta di dipingere vicina al disegno. Si vede che è appassionato degli esseri umani, se ne frega totalmente dei paesaggi, non vuole che degli uomini e delle donne.
Qual è la situazione dell’animazione per lei in questo momento? In Francia c’è molta vitalità.
Il periodo è buono, anche se ci sono anche dei problemi, io per esempio ho faticato a fare il film. Quando ho debuttato l’animazione non esisteva, oggi è di moda, ci sono molte scuole con tanti ragazzi che le frequentano, il che dona della speranza. I giovani che conosco sono brillanti e grandi lavoratori e trovano tutti lavoro, non c’è ancora saturazione. È un miracolo, fino a che dura.
Dopo molti anni di carriera, è possibile ancora imparare delle cose nuove?
Mio caro signore, la novità è difficile da ottenere. Non siamo mai i primi a fare qualcosa, se cerchiamo bene troviamo qualcuno che l’ha fatto prima. La novità è legata al cinema, con la possibilità di far muovere dei disegni, dopodiché non è cambiato poi molto. C’è stato l’arrivo dell’informatica, che ha reso l’animazione un’arte delle marionette senza poterle toccare, anche se è facile correggere gli errori. La vita è un po’ più facile, ma il 3D rimane costoso in maniera ridicola. Il mio prossimo film lo farò in 2D.