Matt Dillon, un attore con la passione per la musica
In conferenza stampa col popolare attore americano, Presidente della Giuria di Alice nella città, che ha parlato del documentario che sta girando.

Anche se ha 52 anni (e ne dimostra 20 di meno!), Matt Dillon ne ha già trascorsi sulle scene 37 da quando, a soli 15 anni, esordì nel cinema con il film Giovani guerrieri. Poi arrivarono tanti altri film, tra cui il dittico di Francis Ford Coppola I ragazzi della 56a strada e Rusty il selvaggio, Drugstore Cowboy e Da morire di Gus Van Sant, e sul versante comico classici come Tutti pazzi per Mary e Tu, io e Dupree. Di recente lo abbiamo visto in tv nella serie Wayward Pines. Questo attore eclettico (e anche regista di un film, City of Ghosts) è alla Festa del cinema di Roma dove è il Presidente della Giuria della sezione autonoma Alice nella città e in questa occasione si è concesso ad un affollatissimo incontro con la stampa (in una sala piccolissima che ha costretto a spezzarlo in due tranche, purtroppo).
Commentando il suo ruolo al festival, Dillon ha detto: “Non sono mai stato il presidente di niente e sono stato lusingato che me l'abbiano chiesto, è molto difficile decidere anche se ho altri 6 giurati che mi aiutano. Come attore, regista e persona creativa sono molto empatico coi registi e sono molto grato a chi ha selezionato i film perché ne sto vedendo di davvero belli. Un film per piacermi deve avere una sua autenticità, anche se non so definirla a parole, ma è molto importante che suoni autentico per me e questo inizia dai personaggi della storia. Tutti dicono sempre quanto sua importante la storia in un film, ed è vero, ma le storie sono create da persone e veicolate da attori e questo è molto importante per me, la coerenza e la verità nei personaggi”.
Lei ha diretto un film nel 2003, City of Ghosts, cosa l'ha spinta a diventare regista? “Sono stato sempre interessato alla narrazione che è quello che mi ha spinto anche a diventare attore per riflettere quella verità che dicevo prima e volevo dirigere perché sentivo di avere qualcosa da dire e non ero soddisfatto dei film che mi proponevano per cui mi hanno chiesto di farne uno scritto da me su un tema che mi interessasse. In questa giuria giudichiamo opere prime e seconde, un regista deve continuare a farne, io sono tornato al mio lavoro da attore, non avevo la pressione di fare il secondo, anche se sto lavorando a un documentario da molto tempo e ho scoperto che è molto più difficile da fare perché in pratica lo scrivi mentre lo fai, sto ancora imparando.
Un personaggio che è rimasto con lei? “Odio quella domanda e cerco sempre di evitarla. Io cerco sempre di rendere personale ogni personaggio che faccio, di renderlo fedele a me stesso ma dopo devo lasciarmeli alle spalle, è la bellezza del lavoro di attore quella di diventare altre persone, per cui non guardo dietro, non ci penso proprio più”.
Tornando su City of Ghosts, un film molto bello che forse non ha ottenuto il successo che meritava. Noi ci aspettiamo un secondo film...
“Intanto grazie mille perché farlo è stata una delle esperienze più belle della mia carriera, qualcuno ieri mi ha chiesto se c'entri la fortuna col successo del film, io credo che quando lavori a lungo e con passione su qualcosa fortuna e sfortuna finiscano per pareggiarsi. Se il film in Italia non andò bene non è certo per colpa dell'eccellente distribuzione di Procacci, che mi invitò anche qua a presentare il film. Non sai mai perché un film riesce o no a catturare il pubblico. Non ho fatto un secondo film in parte perché non pensano a te come a un regista e quindi dopo non sono arrivate altre proposte, ma mi piace, per me è molto eccitante creare una storia e non è perché non ci ho pensato, lo farò di sicuro,
Mi piace raccontare e creare personaggi, il documentario di cui vi dicevo ho iniziato a farlo in realtà molti anni fa, prima del mio primo film da regista, quando sono andato in Messico per la registrazione di un disco di un leggendario cantante cubano, El Gran Fellove. In quella occasione non ho fatto niente ma il mio interesse per la musica afrocubana non è mai finito e sono tornato a quel film, non ho progettato di farlo, è successo. Prima o poi farò un altro film di fiction, quando sarò pronto. Il mio documentario racconterà la vita del cantante e strada facendo impariamo qualcosa su questo movimento in Messico, chiamato “sentimiento” o, come scrivevano loro foneticamente, “filing”. Un sacco di artisti cubani che avevano difficoltà a Cuba emigrarono in Messico. Negli anni Cinquanta Città del Messico era l'epicentro della vita culturale e artistica dell'America Latina. E' un viaggio nel tempo e impariamo anche qualcosa, è questa la bellezza del documentario, come ho imparato facendolo”.