Luigi Proietti detto Gigi: "Con lui mi sono sempre sentito spettatore". Edoardo Leo ci racconta il suo omaggio all'artista
Arriva al cinema dal 3 al 9 marzo un film imperdibile per tutti coloro che hanno amato lo straordinario talento di uno dei più grandi attori italiani, Luigi Proietti detto Gigi. A dirigerlo, con cuore e intelligenza, Edoardo Leo, che abbiamo incontrato in occasione della presentazione alla stampa.
Fa ancora male, malissimo per chi lo ha seguito e amato per tutto l'arco della sua carriera, ma anche per chi lo conosceva solo marginalmente, magari per le cose meno “serie”, pensare che Gigi Proietti non ci sia più, che la grande e accecante luce del suo talento, del suo sorriso e della sua risata si sia dovuta spegnere con la sua vita nel giorno del suo 80esimo compleanno, quando tutti noi ci siamo sentiti orfani di un amico, uno zio, un padre o un fratello. Perché è così che questo straordinario artista, che sapeva fare tutto e tutto benissimo, era per il suo pubblico. Per fortuna arriva al cinema a ricordarlo dal 3 al 9 marzo il bell'omaggio che gli fa Edoardo Leo con Luigi Proietti detto Gigi, un documentario che doveva raccontare insieme a lui la genesi di uno spettacolo che ha cambiato il mondo del teatro e della recitazione in Italia, “A me gli occhi, please”, magari cercando di carpire il suo segreto strada facendo, che è dovuto continuare senza di lui ma, per esplicita volontà del suo soggetto e promessa dell'attore che lo ha realizzato, non è mai diventato un santino, un'agiografia, e dell'uomo Luigi racconta solo quello che lui voleva si sapesse. Fa un certo effetto immaginarlo timido e schivo, perché lo abbiamo sempre visto ridere e scherzare, ma solo la sua famiglia – qua rappresentata dalle figlia e la sorella – può sapere chi era il fratello e il padre, come Sagitta saprà chi era il compagno di una vita. Ma il suo segreto di artista, nascosto nell'apparente semplicità con cui coniugava il colto col popolare, l'avanguardia con l'avanspettacolo, la tragedia con la commedia e le barzellette, Gigi se l'è portato via con sé, perché era davvero unico.
Lugi Proietti detto Gigi è come l'apertura di un vaso di Pandora senza fondo, un patrimonio contenuto in gran parte nelle Teche Rai, che lascia con la voglia di sapere e vedere di più, e lo stesso Edoardo Leo, che è anche produttore insieme alla IIF, Rai Cinema e Lexus, ancora rimpiange quanto ha dovuto lasciar fuori, per problemi di tempo o impossibilità di ottenere i diritti (insomma, quello che non c'è è perché il film sarebbe durato 10 ore e qualche volta è stato necessario fare scelte dolorose o costrette): "Nella vastità di materiale che avevo ho dovuto purtoppo rinunciare a molte cose. Abbiamo dovuto trovare ad esempio un altro modo per parlare del doppiaggio di Rocky, in cui è stato il primo a doppiare Sylvester Stallone, prima di Amendola, perché la produzione americana non ci ha concesso i diritti per mettere una clip, e ho dovuto togliere alcune regie liriche di Gigi per motivi di tempo. Sogno di poter fare una extended version e di metterci veramente tutto".
Nel film si racconta un celebre aneddoto: quando la madre di Proietti, al termine di “A me gli occhi, please”, alla richiesta del figlio se le era piaciuto rispose “abbastanza”. Qualcuno interpreta questa storia come se l'attore non fosse mai veramente soddisfatto di se stesso.
In uno dei suoi libri, “Decamerino”, lui dice che siamo nell'epoca dei superlativi, dove tutto è bellissimo, fantastico e uno non è bravo e basta, ma è un genio assoluto. E racconta proprio di quando al termine della prima replica dello spettacolo, subissato dai complimenti, la riposta della madre lo ha tenuto coi piedi per terra. È stato un invito a restare ancorato a qualcosa di molto semplice. Gigi non si è mai messo sul piedistallo, non gli piaceva essere chiamato maestro, nel film lo dice che non ha la tempra del divo, gli veniva da ridere. In genere ai grandi attori si dà del lei ma lui lo chiamavano tutti Gigi, lui lo permetteva a tutti. Certo c'è un rammarico, un rimpianto che la sua figura di comico abbia preso nell’immaginario collettivo il sopravvento su altri aspetti e per questo sia stato un pochino sottovalutato. Quando si parlava di direttori di grandi teatri poche volte è venuta fuori la figura di Gigi, che era un grande studioso e conoscitore del teatro, un grande intellettuale, i suoi spettacoli erano tagliati fuori. Ma era una sua caratteristica questa modestia non falsa che accompagnava la sua grandezza.
Nel film vediamo spezzoni di alcuni film interpretati da Proietti e altri ce ne sarebbero, ma con l'intervento di Marco Giallini si arriva fino all'ultimo, Io sono Babbo Natale. Come mai Gigi Proietti, attivissimo in tutti i campi dello spettacolo, non si è visto di più al cinema? "In realtà ha fatto pochi film, è vero, ma quei pochi sono dei cult, ha recitato nei lavori più sperimentali di Tinto Brass, in Casotto di Sergio Citti, Un Matrimonio di Altman, ha fatto anche film di sperimentazione molto complicati ma per un uomo così legato al teatro era difficile programmare il cinema, anche se negli ultimi anni ci ha lavorato molto e in maniera straordinaria".
Proietti dice che la recitazione non si insegna, si impara. Nel suo lavoro con lui (Leo è stato diretto da lui in “Dramma della gelosia”, nel 1999, con Pino Quartullo e Sandra Collodel sulla scena del Teatro Brancaccio, due volte resuscitato e due volte tolto a Proietti), cosa ha imparato?
L’unica cosa per imparare a recitare è cercare di prendere dagli altri, lavorare su te stesso, il talento non si può infondere con una siringa ma lo puoi allenare. Lui cercava di spiegare l’etica del lavoro, del rispetto del pubblico, questo credo di aver imparato vedendo in scena e fuori quanto fosse rispettoso del pubblico nel suo lavoro. Oggi la parola popolare è stata svuotata di significato e ha assunto un senso negativo, ma è un concetto altissimo, lui ha cercato di ridarle dignità, ha fatto da tramite col Globe Theatre per riportare il pubblico dei ragazzi, quello popolare che paga meno ma siede in platea, a vedere Shakespeare. Ed uno dei paradossi della sua vita che sia riuscito a fare questo dentro una villa che si chiama Villa Borghese. Questo progetto è iniziato proprio per raccontare "A me gli occhi, please" con Gigi, e ne volevo parlare proprio perché dentro c’era il Proietti meno conosciuto, il teatro di sperimentazione che aveva fatto con Carmelo Bene, Antonio Calenda, il Gruppo 101, declinato in questo spettacolo mai fatto prima, che è stato un fatto artistico, un nuovo modo di fare teatro e stare in scena, di contaminare i generi portando comincità e poesia allo stesso livello. Dietro quella maschera comica c’era un profondo studioso e conoscitore dei fatti teatrali di questo paese, che ha influenzato moltissimo molti di noi, come racconta Paola Cortellesi nel film, che in macchina coi genitori ascoltavano le musicassette dello spettacolo e ne imparavano a memoria le battute.
Oltre alla sua intervista con Luigi Proietti (l'ultima del grande attore) sul Palcoscenico del suo Globe Theatre e agli spezzoni dei suoi spettacoli teatrali, Leo ha inserito moltissimi documenti della televisione fatta da Gigi Proietti, che inizialmente non la amava, ne venne quasi schiacciato con l'insuccesso della sua conduzione di Fantastico nel 1983, fino a conquistarla, come tutto il resto.
È stato un rapporto contraddittorio, inizialmente anche lì ha fatto cose molto sperimentali. Mi sono stupito nel vedere cosa facevamo negli anni Cinquanta e Sessanta in televisione, come il Don Chisciotte coi bambini, con lui che recitava in diretta e loro che potevano interrompere e interagire, poi ha provato a fare altre cose, alcune riuscite altre che hanno rappresentato delle cadute come l'esperienza di Fantastico da cui uscì con le ossa rotte, per i tempi televisivi impossibili. All'inizio lui si è messo al servizio della televisione, poi, quando la sua grandezza è diventata enorme, la televisione si è messa al suo servizio, i suoi sceneggiati sono entrati nell'immaginario collettivo. Ha vinto anche quella sfida.
Come ha scelto i personaggi da intervistare per parlare di Gigi Proietti, a parte la famiglia?
Quando hanno saputo che stavo facendo questo film sono stati in tanti a chiamarmi chiedendo di essere intervistati, ho dovuto fare una scelta cercando di intervistare anche persone legate a lui ma che non ci hanno lavorato tantissimo, quindi agli attori del suo laboratorio ho preferito dimostrare quanto è stato influente anche su personaggi come Fiorello, che pur non avendoci mai lavorato dice che gli deve tutto. Poi ci sono state scelte ovvie, come Alessandro Gassmann, che l'ha diretto ne Il Premio, per l’amicizia fraterna che lui aveva con Vittorio. Ho cercato di studiare la sua influenza sugli altri, io non ero un allievo di Gigi, ma mi sembrava di poter avere la giusta distanza per poterlo raccontare senza santificarlo, come gli avevo promesso. Il film è nato dal bisogno di raccontare da dove veniva il motivo per cui tutti quanti lo celebriamo.
Edoardo Leo ci congeda con un aneddoto personale, assente dal film, e con una considerazione che ci è piaciuta molto, così come ci è piaciuto questo suo omaggio dove c'è tanto cuore e altrettanta intelligenza, e che siamo certi Luigi Proietti avrebbe apprezzato.
A casa mia Proietti era una specie di istituzione, i miei non erano contenti che facessi l’attore, ma quando nel 1997 ho detto che avrei fatto una fiction con Proietti hanno capito che ero serio. Della prima edizione di "A me gli occhi, please" avevo un VHS che ho consumato e imparato a memoria. Ma fino agli ultimi giorni non sono mai riuscito ad avere un rapporto amicale con lui, avevo piuttosto un rapporto reverenziale, a volte mentre stavo seduto a fianco a lui nel suo studio, vedendo le cose che aveva fatto, mi chiedevo se stava accadendo davvero. In genere con gli attori, anche con quelli grandi, dopo un po' ci si sente colleghi. Con Proietti no, ti sentivi sempre spettatore.
E se come noi non avete dimenticato il grandissimo Gigi Proietti e gli siete riconoscenti per qualsiasi emozione, risata, o momento di gioia che vi ha regalato (e che fortunatamente continua a regalarci, grazie alle registrazioni dei suoi spettacoli), non potete perdere Luigi Proietti detto Gigi, al cinema dal 3 al 9 marzo, per ridere e commuovervi ancora e ancora, insieme a questo inestimabile talento, uno dei più grandi che abbiano mai attraversato la scena dello spettacolo italiano.
(foto di Anna Camerlingo)