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La vita facile - le interviste

Presentato a Roma La vita facile, il nuovo film di Lucio Pellegrini, che esce a breve distanza da Figli delle stelle. Col regista, i tre attori protagonisti: Vittoria Puccini, Stefano Accorsi e Pierfrancesco Favino.

La vita facile - le interviste

La vita facile - Lucio Pellegrini, Vittoria Puccini, Stefano Accorsi e Pierfrancesco Favino presentano il film


Dopo aver incrociato le vicende di un gruppo di precari in Figli delle stelle, Lucio Pellegrini cambia milieu e ne La vita facile sposta il suo sguardo su tre personaggi appartenenti alla borghesia. Il genere scelto è la commedia, anche se questa volta non mancano incursioni nel giallo sentimentale, nel film d’avventura e nel melodramma. “ La commedia mi permette di descrivere i mali e le contraddizioni della nostra società senza retorica e con leggerezza” -  ci ha spiegato il regista  in occasione della presentazione del film a Roma –  “ma mi piace sperimentare, e in questo caso sentivo il desiderio di tentare una commistione di linguaggi. Il cinema che mi interessa fare deve suscitare delle domande ed essere suscettibile di molteplici interpretazioni”.

Ne La vita facile, la varietà, e in un certo senso l’imprevedibilità, stanno anche nel carattere e nelle scelte dei protagonisti, che sono un medico che è andato a lavorare in Africa perché innamorato della moglie del suo migliore amico, il suo migliore amico, che lo raggiunge perché vuole cambiare aria, e la donna che entrambi amano. “Luca, Mario e Ginevra sono molto sfaccettati, sembrano in un modo, ma poi cambiano repentinamente, diventando l’opposto. Nessuno è positivo al 100% perché ognuno a un certo punto tradisce gli altri. Nello stesso tempo, le loro continue svolte fanno cambiare il nostro giudizio su di loro, e se Ginevra e Mario rappresentano quegli italiani che accettano totalmente la società in cui vivono, si integrano e non possono rinunciare agli agi che trovano – la cosiddetta ‘vita facile’ del titolo – Luca, invece, incarna tutte quelle persone che rifiutano lo status quo e fuggono. In questo sono tutti tipicamente italiani e tipicamente quarantenni. Da noi, o le cose vanno bene o non vanno bene per niente. Nessuno le mette in discussione né cerca di cambiarle, forse perché ci manca la maturità necessaria per farlo. La nostra è una generazione di figli. A decidere sono solo i padri, i settantenni, ed è molto triste.”

“Il personaggio di Mario” – ha detto Pierfrancesco Favino – “mi affascinava per la sua negatività e la sua appartenenza a una categoria di furfanti che conosco bene e che sfruttano sempre le situazioni a loro vantaggio. Sono quelli che ti dicono che non c’è posto in ospedale, ma che poi ti ricevono subito se sei disposto a pagare. Quelli che ti fanno lo sconto se non chiedi la ricevuta. In fondo ci sono sempre stati e il cinema li ha sempre presi in giro, con Sordi, Gassman e Manfredi. Non nego di essermi ispirato a questi grandi mattatori: in fondo,  se ho deciso di diventare attore, è grazie alla loro lezione, ma si è trattato di un omaggio inconsapevole, insieme alla presa di coscienza del fatto che, purtroppo, le cose in Italia non sono migliorate …. Anzi!”
De La vita facile Favino ha amato anche la capacità di creare dei rapporti veri fa i personaggi, che acquistano sempre più spessore man mano che la storia procede. “Ormai al cinema si vuole soltanto ridere e le commedie sono quasi sempre solo di situazione. Qui siamo riusciti a costruire una griglia di rapporti reali. E poi non capita mai di trovare in un unico film tre personaggi negativi”.

Del film, Stefano Accorsi ha gradito invece la totale assenza di luoghi comuni. “Ne La vita facile niente è come sembra. Non soltanto i personaggi continuano a sorprenderci, ma mancano completamente quella retorica, quel cinismo superficiale e quel buonismo che detesto in tante sceneggiature. Nemmeno l’Africa è raccontata ricorrendo a facili sentimentalismi. L’Africa è funzionale al racconto”.
Alla domanda se ‘la vita facile’ non sia quella di Luca, che fugge dai propri sentimenti e trae conforto dall’utilità e dall’efficacia del lavoro che svolge in Africa, Accorsi risponde: “La vita facile non esiste per nessun personaggio, ed è per questo che fin da subito mi è piaciuto il titolo del film. La felicità è una chimera, un sogno, nessuno è soddisfatto di ciò che ha. Ho un amico di Bologna che ha lavorato in Africa. E’ tornato dopo qualche anno perché aveva bisogno di rientrare. Non puoi fare sempre quella vita, devi riavvicinarti alle tue radici, il problema è che quando torni avverti un fortissimo scollamento rispetto ai tuoi affetti”.

Già compagna di set di Pierfrancesco Favino e soprattutto di Stefano Accorsi in Baciami ancora, Vittoria Puccini non se la sente di condannare del tutto l’apparentemente candida e innocente Ginevra. “Ginevra mi fa tenerezza” – ci ha confessato. “E mi fa anche ridere. Mi fanno ridere le sue fragilità. E’ una donna superficiale che arriva in una realtà diversa dalla sua e pretende di imporre le sue regole. E’ una manipolatrice, ma è anche una donna fragile perché non riesce a stare da sola. Il rapporto con l’Africa amplifica tutte le sue caratteristiche, la rende quasi ridicola. Lo stesso succede a Mario e Luca. In Africa i loro sentimenti esplodono”.
Tre settimane di riprese in Kenya sono bastate a trasmettere a Vittoria Puccini il mal’Africa. “Siamo stati in posti dove c’era sempre una missione nel raggio di pochi chilometri e quindi non abbiamo visto zone di estrema povertà. Certo, ci siamo scontrati con i disagi delle popolazioni nomadi e degli abitanti dei villaggi. Ci sono pochi ospedali, le strutture sanitarie sono inadeguate e se non ci fossero le associazioni benefiche le cose andrebbero davvero male. Dell’Africa mi ha colpito il rapporto degli uomini con la natura. Tutto è capovolto. E’ la natura a dettare le regole, non l’uomo. L’uomo deve adeguarsi. E poi … gli spazi sterminati, l’orizzonte aperto …”

“Anche io sono rimasto affascinato dal legame di subordinazione dell’uomo nei confronti della natura” – è intervenuto Pierfrancesco Favino. “In Africa sopravvivi solo se fai tuo un certo fatalismo, se accetti anche le cose più brutte che la vita può riservarti. In questo le associazioni sono molto utili, perché aiutano ad avere una diversa percezione della vita e della morte”.
“C’era un attore africano sul set” – ha concluso Stefano Accorsi – “che ci raccontava di come aveva perso due figli e la moglie. Ce lo raccontava come un dramma, ma un dramma che un uomo poteva superare. Nel mondo occidentale, se perdi i tuoi figli e tua moglie sei un uomo finito, lui invece trovava la forza di ridere, di lavorare, di andare avanti. Là i parametri con cui si misura la vita sono diversi, spostati. Là, se non cambi prospettiva, non sopravvivi. Per queste ragioni, là ci si sente più uomini in un senso fisico. L’uomo non è al centro dell’universo. Se vai a correre, ti possono sbranare i felini, se ti punge una zanzara, puoi tranquillamente morire”.

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