La poesia di una Parigi a piedi nudi: parola ai due registi clown Dominique Abel e Fiona Gordon
La mimica di una leggerezza mai superficiale nell'ultimo film con Emmanuelle Riva.
Due clown si aggirano per Parigi, nelle sue pieghe più nascoste, alla ricerca della poesia della leggerezza, contro la dittatura della pesantezza. I due artisti della mimica Dominique Abel e Fiona Gordon, uno belga e l’altra canadese, dimostrano come si possa raccontare un’epoca, con le sue fragili insicurezze, usando il corpo e la magia di prendere il volo verso il cielo, verso una luna magica che rimanda alla nascita del cinema.
Partiti dal mimo, poi dal teatro e arrivati da qualche tempo al cinema, con crescente successo, i due artisti in Parigi a piedi nudi si accompagnano a Emmanuelle Riva, nel ruolo di Marta, un’anziana che sogna di salire per una volta sulla Tour Eiffel. Li abbiamo incontrati a Roma, in occasione dei Rendez-Vous del nuovo cinema francese.
Il fantastico è il modo naturale per voi di approcciarvi al cinema, con la grazia di un Tati.
All’inizio non conoscevamo neanche Jacques Tati, nel corso degli anni abbiamo riconosciuto delle affiliazioni con lui, con Charlie Chaplin, Buster Keaton. Eravamo attirati entrambi da una maniera di comunicare molto fisica, ci siamo incontrati in una scuola di teatro di Parigi basata sul movimento e dal momento in cui ci siamo trovati abbiamo lavorato insieme e la cosa ha funzionato bene.
Poi, dopo i primi lavori a teatro, il passaggio al cinema, con la macchina da presa come terzo incomodo nelle vostre coreografie.
Il cinema ci ispirava già quando facevamo teatro, come Chaplin e il suo genere d’umorismo, e dopo aver appreso il mestiere di clown con ventanni in scena inventando le nostre storie, creando tutto noi, aver avuto accesso al cinema era al tempo stesso un desiderio e una sfida, non volendo omologarci all’idea di essere realisti, credibili, continuando a utilizzare il nostro stile. La nostra è una ricerca minimalista, non facciamo finta che sia vero, ma giochiamo come dei bambini creando il nostro universo, la nostra poesia, prendendo tutto in mano, la scrittura e la camera.
Come avete cercato una Parigi magica eppure inconsueta, al di là dell’ordinario?
Il rischio di girare a Parigi è ovviamente di farne una cartolina, anche perché per la storia avevamo bisogno della presenza della Tour Eiffel. Dal momento in cui scegliamo qualcuno, ci piace lavorare con lui e con il posto per trovare quello che di unico c’è in quella combinazione. Abbiamo una sceneggiatura, siamo obbligati per avere dei finanziamenti, ma troviamo la vitalità di ogni elemento ripetendo, improvvisando.
C’è un’immagine molto bella nel film, che mostra affiancate la Tour Eiffel e la riproduzione della Statua della libertà. Come a rappresentare la possibilità di comunicare fra persone diverse.
Per noi erano delle immagini che parlavano, volevamo che Marta salisse sulla Tour Eiffel alla fine della sua vita come si va verso le stelle, o come in certe culture africane in cui gli anziani salgono sugli alberi per morire. Allo stesso tempo, quale posto migliore per il mio personaggio, un senza tetto, che la Statua della libertà per montare la sua tenda. È completamente libero a piedi nudi in giro per Parigi, ma è una libertà che paga, perché ci si fa male a camminare a piedi nudi.
Il film è anche un poetico omaggio a Emmanuelle Riva, che ricordo avete?
È stata lei a creare il personaggio, perché all’inizio abbiamo scritto Marta più come un pretesto per permettere a due clown conciati male di riscoprirsi e di perdersi per Parigi. A partire dal momento in cui la Riva ha accettato di interpretare il ruolo, ha messo molto della sua condizione di donna molto indipendente e libera. A 88 anni aveva una voce da ragazzina, non si era mai sposata, non volendo mai cedere la sua indipendenza a qualcuno e il teatro è stata la sua vita, la forza che le ha permesso di arrivare fino a 88 anni pur essendo molto malata.
Il film dimostra che è possibile di parlare con leggerezza di tabù della nostra cultura occidentale come la vecchiaia e la morte?
La leggerezza di tono di questo film è proprio legato al fatto che oggi niente è leggero, sono tempi pesanti. Amiamo evitare le parole e lasciar parlare il corpo, che può dire delle cose profonde, e che non può imbrogliare, al contrario delle parole, che possono manipolare. Spesso nel tragico c’è il comico, capita di andare a un funerale in cui la gente ride; quando affrontiamo delle cose troppo grandi per noi, il corpo si manifesta provocando una risata.
In più è un film sugli spazi, dalla Tour Eiffel alla Luna.
Gli spazi sono i nostri partner ideali, li amiamo. La gente ci dice ‘ah, fate un film su Parigi’, ma non è così. Dal momento in cui decidiamo di fare un film in un luogo, gli spazi coinvolti devono aiutarci a dire delle cose, visto che non parliamo. Abbiamo i grandi elementi, il vento, il fuoco, giriamo spesso al mare, che l’abbiamo trovato a Parigi istallandoci sull’isola dei cigni, che è un po’ come la prua di una nave.
Parigi a piedi nudi esce in sala il prossimo 17 maggio, distribuito da Academy Two.