Interviste Cinema

La nostra terra, l'intervista col regista Hugh Welchman: "Abbiamo riportato in vita una grande storia"

Usando lo stile inaugurato con Loving Vincent, riprese dal vero reinterpretate in dipinti a olio, Hugh & DK Welchman hanno adattato con La nostra terra una colonna della letteratura polacca, il romanzo "I contadini" del premio Nobel Wladyslaw Reymont. Ecco la nostra intervista con Hugh.

La nostra terra, l'intervista col regista Hugh Welchman: "Abbiamo riportato in vita una grande storia"

La nostra terra di DK & Hugh Welchman arriva nelle nostre sale in un'uscita evento il 2-3-4 dicembre per Wanted Cinema: proprio con Hugh abbiamo parlato del nuovo lungometraggio "dipinto a olio" degli autori di Loving Vincent, in questo caso dietro a un adattamento del romanzo polacco "I contadini" di Władysław Reymont. Ecco la nostra intervista.

Dal romanzo al film semianimato: la sfida di La nostra terra

Nel 2016 Dorota Kobiela (DK) e suo marito Hugh Welchman stupirono gli appassionati del cinema d'animazione, riutilizzando l'antica tecnica del rotoscoping per ricostruire a olio la vita di Vincent Van Gogh in Loving Vincent, dove un cast di attori e attrici era letteralmente trasformato nei quadri del pittore. Dopo anni di lavoro tornano oggi con La nostra terra, adattamento del romanzo storico "I contadini" (1904-1909) del premio Nobel per la letteratura Władysław Reymont. Scopriamo questo nuovo percorso chiacchierando proprio con Hugh.


Perché avete deciso di adattare proprio questo romanzo? Vi avete letto qualcosa di moderno, qualcosa di contemporaneo?
Ci sono due ragioni. Con quel libro è stato vinto il premio Nobel un centinaio d'anni fa, e in Polonia tutti devono leggerlo a sedici anni. È lungo migliaia di pagine e tutti lo odiano, perché è un libro molto pesante da leggere quando hai sedici anni e non lo fai per scelta, ma ti costringono. Mia moglie ci si è scontrata a sedici anni, ma poi l'ha riletto quando ne aveva una ventina e l'ha apprezzato molto di più. Mentre lavoravamo su Loving Vincent, stava dipingendo una delle inquadrature e stava ascoltando l'audiolibro, ha realizzato che il suo linguaggio descriveva idealmente dei dipinti. [...] Io poi ho letto il libro e mi sono reso conto che era un capolavoro. A volte il suo stile è impressionista, a volte espressionista. [...] Abbiamo proprio riportato in vita questa storia in Polonia, perché abbiamo staccato due milioni di biglietti nei cinema polacchi, è diventato uno dei più alti incassi degli ultimi cinque anni in Polonia. Nel 2023 siamo arrivati terzi dopo Barbie e Oppenheimer. E andavano a vederlo adolescenti, gente tardoadolescente o ventenne. Le vendite del libro sono salite del 6000% in Polonia l'anno scorso. E per un libro che tutti dovrebbero già aver letto!

Si potrebbe dire che Jagna non abbia libero arbitrio. In pratica, quando cerca di scappare dagli obblighi sociali, si trasforma in un virus pericoloso. Questa storia parla dell'importanza del libero arbitrio e dell'indipendenza?
Lei sa cos'è l'indipendenza istintivamente, e d'istinto sa che non si dovrebbero usare due pesi e due misure. Che non dovrebbe essere trattata diversamente dagli uomini per comportarsi come si comportano gli uomini, a volte anche peggio di lei. Sua madre le dice: "Guarda, tu vai in chiesa, confessati e col tempo la gente ti perdonerà." Ma lei non ci sta. E questo non perché abbia un'ideologia femminista. È il suo senso naturale di giustizia, vede intorno a lei quello che accade. Antek [il suo amante nonché figlio dell'uomo anziano che la sposa, ndr] fa cose peggiori di lei: uccide una persona, colpisce suo padre, ha pure una tresca. Anche se si comporta peggio, alla fine del film lui diventa il capo del villaggio, lei viene cacciata. Quindi sì, la vedono come una minaccia al sistema, perché non sta al suo posto.

Per me Antek è un personaggio chiave: sulle prime avevo pensato che potesse fare la sua parte in un cambiamento necessario, ma in realtà non ama davvero Jagna. È bloccato dov'è. Non ha né la forza né la volontà di cambiare le cose. È molto triste, non trovi?
Già. Visto dal di fuori, è l'uomo più forte del villaggio, un giovane uomo possente. Ma nel profondo non ha la forza di Jagna. Non è nemmeno forte come suo padre, è assoggettato al padre e non riesce a uscire dal sistema. E finisce per diventare suo padre, peraltro una versione più debole del padre, perché suo padre era una persona dura, ma era anche uno che si prendeva carico della comunità.

Sono stato colpito dall'assenza di solidarietà femminile. Credo che sia uno degli aspetti più disturbanti del film. Perché credi che la maggior parte delle altre donne non siano nemmeno mai sfiorate dal pensiero di considerare Jagna diversamente?
È una lunga storia, piuttosto comune: le donne più vecchie si rivoltano contro le giovani che cercano di farsi sentire, e le donne che combattono l'una contro l'altra invece di sostenersi. Si potrebbe definire un patriarcato interiorizzato. Tutte queste donne più anziane fanno parte di questo sistema ipocrita. Hanno un loro potere ai margini, occupano gli spazi che gli uomini lasciano loro. E combattono tra di loro per quei rimasugli di potere che trovano, lasciati dagli uomini.

Come si è evoluto il vostro iter di produzione da Loving Vincent? Il processo di animazione a olio mi appare incredibilmente lungo. Come avete fatto a gestire le cose?
Guarda, per questo film abbiamo incontrato molte più difficoltà che con Loving Vincent, perché ci siamo fermati due volte per colpa del Covid, la seconda volta per un anno intero. Poi la maggior parte dei nostri pittori era ucraina, abbiamo passato un anno ad allestire uno studio, poi due mesi dopo l'apertura i Russi hanno invaso e abbiamo dovuto chiudere, evacuare. E se n'è andata una parte dei finanziamenti, perché il 10% del nostro budget veniva dall'Ucraina. Insomma, abbiamo incontrato difficoltà nuove, come se dipingere un film non fosse già abbastanza difficile, è la forma di cinema più lenta che sia mai stata inventata. Lo stile di pittura realista è molto più difficile dell'espressionismo in stile Van Gogh, c'è molto più dettaglio, la luce è più sofisticata, ci sono molti più particolari nei visi. Per dipingere ogni fotogramma ci voleva il doppio del tempo. Abbiamo dovuto adattarci: per Loving Vincent dipingevamo dodici fotogrammi al secondo. Per questo ne abbiamo fatti sei.

Quanti set corrispondevano nella realtà a quello che si vede? Avete modificato i fondali e gli ambienti in post-produzione? O avete girato in loco?
Le scene in interni le abbiamo girate in teatri di posa, ma le scenografie erano di cartone, non di legno. Non avevamo bisogno di costose scenografie di legno, potevamo crearle con il cartone e attaccare dei materiali al cartone, perché tanto avremmo poi coperto tutta l'immagine con la pittura. Gli oggetti di scena c'erano davvero. Ma le case erano fatte di cartone. Per quanto riguarda gli esterni, la maggior parte li abbiamo girati su un green screen. Ma alcune scene erano troppo grandi per essere girate in studio, come la battaglia invernale. Lì c'erano sessanta persone, dodici cavalli, sei macchine da presa. L'abbiamo girata in una foresta sabbiosa d'estate, tutti morivano di caldo con quei vestiti invernali. Poi dipingendo abbiamo eliminato quella luce molto calda e abbiamo trasformato la sabbia in neve, per dare l'idea che la gente ci affondasse: proprio per questo abbiamo cercato una foresta sabbiosa!

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