La macchinazione di David Grieco porta al cinema una nuova verità sulla morte di Pier Paolo Pasolini
"Di tutte le fandonie della storia italiana recente, il delitto Pasolini è quello che ne contiene di più," dice il regista, che dell'intellettuale fu un amico.

David Grieco lo conosceva bene, Pier Paolo Pasolini. Per lui l'intellettuale friulano era un amico di famiglia, , e con lui ha collaborato come attore, come assistente, come giornalista.
Per questo, forse, fa un po' ridere che il figlio del giornalista Bruno, nipote del Ruggero tra i fondatori del PCI, figliastro di Lorenza Mazzetti, a un certo punto critichi l'Italia del “tu chi conosci”, che va avanti per raccomandazioni, nella quale non esiste vera meritocrazia.
Ma il peccato di Grieco, sono sicuro, è un peccato figlio dell'ingenuità e dell'entusiasmo, non certo di una cattiva fede: e lo vale per il film che ha presentato, La macchinazione, che si propone di parlare per la prima volte del delitto Pasolini nei termini che merita: quelli di una verità lontana anni luce da quella ufficiale per la quale è stato condannato Pino Pelosi, che non ha nulla a che vedere con l'omosessualità dell'intellettuale, ma con il suo scavare attorno alla figura di Eugenio Cefis, presidente della Montedison e fondatore della loggia P2, che Pasolini – e non solo – non pensava estraneo alla morte di Enrico Mattei.
In La macchinazione la morte di Pasolini è figlia del lavoro (incompiuto) su "Petrolio", ed è avvenuta per mano di quell'apparato di potere politico-massonico-criminale che troppe volte è stato protagonista del periodo piò oscuro della storia italiana, e che nel caso specifico vede coinvolti servizi segreti deviati, estremisti fascisti, la Banda della Magliana.
Insomma, inserisce Pasolini nel novero delle 3500 vittime (“le ha conteggiate Carlo Lucarelli, comprendendo molti poliziotti e magistrati onesti,” dice il regista) della strategia della tensione.
“Questo film è stato un vero e proprio atto di coraggio,” dice Grieco prima di ogni altra cosa. “Per girarlo abbiamo superato molti ostacoli, e tutto questo non sarebbe successo senza la produzione di Marina Marzotto [sua compagna, n.d.r.], che non a caso è al suo primo film, perché un produttore 'normale' questo film non l'avrebbe mai fatto, non si sarebbe mai assunto certi rischi,” aggiunge, prima di ricordare il suo amico e co-sceneggiatore Guido Bulla, scomparso qualche mese fa.
Alla presenza dell'avvocato Stefano Maccioni, con il quale Grieco sta collaborando anche in vista dell'istituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare sul caso Pasolini, il regista ha voluto ricordare come “di tutte le fandonie della storia italiana recente, il delitto Pasolini è quello che ne contiene di più. Perfino nel caso Moro ci sono più elementi reali nella verità ufficiale che non nel caso Pasolini.”
Dichiarazioni forti, volutamente, quelle di Grieco, forse provocatorie come provocatorio amava essere Pier Paolo Pasolini, che faranno discutere come il suo film.
Ma di questo l'autore sarebbe solo contento: “Mi auguro di suscitare reazioni, anche estreme, di avere recensioni molto positive così come molto negative: mi piacerebbe che si parlasse di questo film come si parlava di cinema tempo addietro, con passione anche nelle divisioni. Se ho pensato a proporre il film anche all'estero? Certo,” prosegue il regista, “ma penso che questo film deve deflagrare prima in Italia e poi eventualmente andare all'estero. Dal film emerge il rapporto che noi italiani abbiamo con Pasolini, che è molto diverso da quello che hanno in altri paesi: lì non si pensa minimamente alla questione della sua omosessualità, mentre qui era ed è ancora un tema di dibattito.”
Non ha paura né delle critiche né di eventuali denunce (che, anzi, sarebbero quasi benvenute), David Grieco, che ha detto di aver girato “un film di pancia su un intellettuale e ideologo molto complesso, un film in stile anni Settanta, nel quale certe sottolineature sono eccessive e ingenue, se volete, ma fortemente volute.” Un film nel quale, dice ancora “volevo emergesse anche quanto Pier Paolo Pasolini fosse convinto delle proprie idee, che a volte estremizzava polemicamente, ma anche capace di profonda autocritica.”
A interpretare Pasolini, con notevole somiglianza fisica ma con immutato accento partenopeo (“scelta quasi pasoliniana”, dice Grieco) c'è un vecchio amico del regista, Massimo Raineri, che non ha nemmeno dovuto essere truccato per sembrare più simile al suo personaggio: “mi bastava indossare quegli occhiali inconfondibili.”
L'attore ha poi raccontato dei tanti dubbi che ha avuto prima di accettare la parte, spaventato dal peso della responsabilità: “Ho declinato molte offerte simili fattemi in passato, anche perché si trattava di film interessati solo alla sessualità di Pasolini e non al suo pensiero,” ha detto. Quando David mi ha chiamato mi ha detto che l'avrebbe scritto solo se avessi accettato la parte, gli ho dato un sì con riserva: a un amico fraterno non avrei potuto dire di no, ma avevo comunque molta paura. Perfino quando sono partite le riprese, i miei dubbi hanno scatenato una febbre psicosomatica che mi ha fatto arrivare sul set con una settimana di ritardo.”
Il sì incassato da Ranieri non è stato l'unico degno di nota per David Grieco, che voleva nel film una musica che fosse quella di quegli anni, “quella della mia vita.” Per questo, mentre tutti lo prendevano in giro o lo dissuadevano, ha voluto contattare i Pink Floyd, per chiedergli la suite di "Atom Hearth Mother". “Con grande sopresa di tutti ci hanno risposto che ci avrebbero dato la musica, e che avrebbero cercato di farci spendere il meno possibile in diritti: questo 'per Pierpaolo', tanto per farvi capire il peso di Pasolini anche fuori dai confini italiani.”
Resta da vedere quale sarà il peso de La macchinazione ai botteghini italiani, e nei palazzi della politica, quale il suo contributo a far sì che emerga una nuova verità che sveli e rischiari almeno una delle pagine oscure della nostra democrazia.