Interviste Cinema

La Cura: Francesco Patierno e il cast presentano un film nel film che unisce La peste di Camus e il Covid

La Cura di Francesco Patierno è uno dei film della Festa del Cinema di Roma 2022. Liberamente tratto dalla Peste di Camus, racconta anche la pandemia. Nel cast ci sono Francesco Di Leva, Francesco Mandelli e Alessandro Preziosi, che insieme al regista hanno incontrato la stampa.

La Cura: Francesco Patierno e il cast presentano un film nel film che unisce La peste di Camus e il Covid

Nella vita dei cineasti, o più in generale degli artisti, ci sono accadimenti che determinano cambi di rotta o fanno sì che un film si trasformi in qualcosa di altro rispetto alle intenzioni iniziali. È successo a Francesco Patierno nel marzo del 2020, quando l'Italia intera è diventata zona rossa a causa del Covid 19. Allora il regista voleva girare una trasposizione de "La peste" di Albert Camus, ma poi ciò che gli stava accadendo intorno ha inevitabilmente influenzato la sua creazione, che è diventata un film nel film intitolato La Cura. Patierno, che è di Napoli, ha scritto la sceneggiatura insieme a Francesco Di Leva, al quale ha affidato anche il ruolo del protagonista Bernard. Gli altri interpreti del film sono Alessandro Preziosi, Francesco Mandelli, Cristina Donadio, Andrea Renzi, Antonio Iuorio e Peppe Lanzetta. Alcuni di loro, insieme al regista e a Di Leva, hanno parlato del film in occasione della partecipazione alla Festa del Cinema di Roma 2022. Innanzitutto Francesco Patierno si è soffermato sulla genesi de La Cura: "Il film parte come un libero adattamento contemporaneo de 'La peste' di Camus. Abbiamo cominciato le riprese durante il lockdown più duro e più spietato. Sono successe delle cose a noi che giravamo e alla troupe che mi hanno convinto che anche quel materiale sarebbe stato molto interessante da raccontare, e così, da persona che ama molto i meccanismi narrativi non lineari, ho iniziato a pensare a questi due piani: uno della realtà, un altro della finzione, in altre parole due linee che dovevano muoversi parallelamente per poi diventare una sola. Volevo però che lo spettatore scivolasse lentamente dentro il film dal libro di Camus senza rendersene conto".

Poi Patierno ha spiegato cosa lo abbia portato ad adattare "La peste": "Ne La Cura ci sono i grandi temi che appartengono all'opera di Camus e che sentivo molto vicini, e cioè la solidarietà, l'amore e l'amicizia tra le persone come unico rimedio contro l'inesorabilità della morte e della malattia. Camus era un grande cinico e credeva in questa cura, che poi è diventata il titolo del mio film".

Da autore del copione, Francesco di Leva ha voluto aggiungere qualcosa sulla poetica di Camus e sulla coesistenza, nel film, di verità e invenzione: "Quando è arrivata l'idea, ci siamo messi subito a lavorare alla sceneggiatura: io, Francesco e Andrej Longo. La Cura è un film in cui la vita degli attori si somma a quella dei personaggi. In realtà, rileggendo le pagine de 'La peste', mi sono accorto che Camus non faceva altro che prendere in prestito il medico Bernard per gridare al mondo alcune cose personali. Ho realizzato, a un certo punto, che, attraverso questo meccanismo in cui non si riesce più a distinguere l'attore dal personaggio, Francesco Patierno stava utilizzando la stessa tecnica dello scrittore".

Poi Di Leva ha raccontato di quanto sia stato tosto girare nei primi giorni di pandemia: "Ci davamo appuntamento per strada, sembrava quasi un contrabbando di chissà che cosa, e invece stavamo spacciando cultura. Parlavamo di alcune cose, tornavamo a casa e ci sentivamo contagiati da qualcosa. Questo qualcosa era nell'aria e non poteva essere altro che il male di cui parla Camus. Non sapevamo bene cosa fosse realmente il Coronavirus, ma io rientravo a casa e mi sentivo responsabile della vita anche di mia moglie e dei miei figli. Lasciavo gli abiti fuori dalla porta e correvo in doccia a lavarmi. Che somiglianza con 'La peste'! ma mentre Camus aveva una forma all'interno della della malattia, che erano i topi, noi non ce l'avevamo: il virus ci stava incollato addosso.

Ne La Cura, Francesco Mandelli desidera fuggire e si organizza per farlo, ma poi capisce di dover dare una mano. L'attore ha molto amato, oltre al personaggio, la complessità di un film che è stato una specie di laboratorio: "Per me è stato un lavoro molto stimolante, perché i due personaggi, e cioè Lambert e la mia persona, si sovrappongono, e credo che Francesco mi abbia dato questa possibilità proprio perché cercava un attore di Milano che andasse a Napoli a girare questo film. A volte non sapevamo cosa sarebbe successo, io sono un tipo curioso, e quindi togliersi dalla zona confort e accettare una sfida nuova è stato molto interessante, e comunque non ho dovuto fare molta fatica, perché il personaggio aveva tantissime cose che erano dentro di me".

"Io, invece, ho vissuto il mio percorso in maniera simile al mio personaggio" - ha detto Alessandro Preziosi - "che è stato costruito da Francesco Patierno con un'attenzione, un'umanità e uno scrupolo tali da non farmi mai venire il dubbio che stessi interpretando un ruolo se non in un paio di occasioni: nella scelta di ciò che dovevo indossare e nel suonare il pianoforte. Però ricordo che in quella circostanza stava arrivando Francesco Mandelli con la valigia e c'erano Francesco Patierno e Francesco di Leva ad accoglierlo. C’erano anche tutti gli altri. Mentre suonavo, ho sentito un bisbiglio: era Patierno che chiedeva di accendere la macchina da presa, e quindi a mia insaputa sono entrato dentro a questo gioco di realtà e finzione magicamente organizzato".

Ne La Cura si vedono le strade e le piazze di Napoli, che è una città brulicante di vita, completamente vuote e silenziose. È uno spettacolo bellissimo, anche se, a detta di Francesco Patierno, il lockdown ha guastato in maniera permanente il suo luogo del cuore: "A metà del film si vede un tunnel, che è il tunnel della Vittoria, che è stato chiuso per un anno e mezzo. Quel tunnel unisce due parti fondamentali della città e ha creato dei disastri incredibili. Per me il tunnel rappresenta una ferita profonda in un ventre femminile, perché considero Napoli una città madre, non padre. Penso che, anche se quel tunnel è stato aggiustato, per quanto mi riguarda è ancora rotto, perché ogni volta che torno lo guardo e vedo ancora le macerie. Purtroppo Napoli è una città che, se crolla, e non può essere ricostruita".

Anche Alessandro Preziosi è originario di Napoli, ma più che pensare alla città, mentre il film veniva girato, rifletteva sulla somiglianza con il suo personaggio, che porta sulle proprie spalle il male del mondo e si sente in colpa per il comportamento iniquo di tanti altri esseri umani: "Non mi ero reso conto della portata personale ed emotiva de La Cura. Paola Malanga una volta mi ha detto: 'Il tuo modo di rendere il dolore è interessante'. Ecco, io quel dolore stavolta non sono riuscito a sopportarlo, perché da una parte il film evocava la mia esperienza di ragazzo figlio di avvocati che guardava il padre nelle aule di tribunale di Napoli e Avellino e osservava un mondo che non risolveva i problemi ma li rimandava, perché la legge rimanda i problemi. Dall'altra dovevo fare i conti con l'esperienza personale di una morte che mi aveva colpito prima dell'inizio delle riprese. Guardando il film ho realizzato che le responsabilità dei padri ricadono sui figli. I nostri genitori navigano a vista, moralmente parlando, tutti noi navighiamo a vista e non abbiamo una rettitudine tale da lasciare a chi ci segue delle istruzioni per l'uso. Io ritengo che i miei genitori, per quanto impeccabili, abbiano lasciato dei piccoli vuoti. Non credo che riuscirò a riempirli e così li lascerò ai miei figli".

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