L'evoluzione secondo David Cronenberg: incontro via Skype col maestro canadese
Il regista in conferenza stampa per il Lucca Film Festival 2015.
Sono le 14 e 20 quando il volto di David Cronenberg appare sullo schermo della sala stampa della Fondazione Ragghianti di Lucca in un collegamento via Skype dal suo studio di Toronto. Il regista parla delle mostre e dell'omaggio a lui dedicato dal Lucca Film Festival e risponde alle domande dei giornalisti presenti. Prima di farlo, però, invitato dal direttore del Festival Nicola Borrelli, sgancia una bomba che gela per un po' l'atmosfera attenta ed entusiasta in sala:
“Non vedevo l'ora di venire a Lucca per una settimana a marzo, per vedere tutto e interagire con tutti i presenti, ma purtroppo ci sono stati degli inattesi problemi personali di cui devo occuparmi a Toronto e perciò non potrò esserci. Spero di poter venire ad aprile o almeno prima della fine delle mostre, ma purtroppo è una cosa che sfugge al mio controllo e dunque mi scuso per questo. Stiamo però cercando di trovare molti dei miei collaboratori, attori, sceneggiatori e persone come Howard Shore, che ha fatto le musiche della maggior parte dei miei film, perché vengano a Lucca a rappresentare me, il mio e il loro lavoro. Sarò comunque disponibile via Skype per incontri più specifici durante tutto il festival".
Assorbito il colpo, ecco una sintesi temi che David Cronenberg, stimolato dalle domande dei presenti, ha sviscerato in un'ora che si è trasformata in un'intensa lezione di cinema e di vita.
L'influenza di Giacomo Puccini e della musica
"L'influenza principale di Puccini sulla mia carriera è stato M. Butterfly, tratto da una pièce di David Henry Hwang e costruito intorno all'opera Madama Butterfly, un film che ancora adoro e che è stato estremamente eccitante fare perché metteva insieme Cina, Giappone, Italia e Francia da un punto di vista musicale e tematico. Mia madre era una pianista, suonava il piano per accompagnare cantanti e cori. La nostra casa quando ero bambino era piena di musica, c'erano sempre dei cantanti d'opera che provavano con mia madre. E cantavano arie dalla Boheme e da Madama Butterfly, così prima ancora di sapere chi era Puccini sentivo la sua musica e credo che questa abbia grandemente influenzato la mia sensibilità, ancora prima che capissi le parole. Erano emozioni molto potenti, è stata una parte molto importante della mia educazione da bambino".
Tra Canada e Italia
A Toronto c'è la più grande comunità italiana del nordamerica. Sono cresciuto in un quartiere misto di nazionalità ed etnie, circondato da italiani e ascoltavo Dean Martin che era molto popolare e attraverso le pareti dei nostri vicini sentivamo le canzoni italiane. Credo dunque di essere cresciuto con molta familiarità con lo stile e la creatività italiane e anche se il ritmo italiano è molto diverso da quello tradizionale canadese, per me è molto naturale. Anch'io sono molto spontaneo nella mia creatività, quando dirigo non faccio storyboard, mi piace molto l'improvvisazione e la spontaneità, perciò per me la fusione dello stile canadese e di quello italiano è un ibrido migliore delle due parti separate".
La mostra Chromosomes
"Anche se non è stata una mia idea quella di creare dei quadri a partire dai fotogrammi dei miei film la trovo molto brillante, perché sono diventati delle espressioni artistiche autonome. Anche se non sapeste niente al riguardo, potreste a partire da queste immagini crearvi un nuovo film, una storia diversa in base a quello che vedete, che è la stessa reazione di quando vediamo un quadro di qualche pittore. E' stato eccitante vedere come queste immagini tratte dai miei film prendessero una vita nuova e inaspettata".
La Ferrari e la passione per le macchine da corsa
"Da piccolo correvo per strada col mio triciclo rosso e credo che quello sia stato per me l'inizio della mia passione per la Ferrari: le ruote e il colore rosso. Non ricordo quando ho visto la mia prima Ferrari ma penso che sia stato un momento davvero spettacolare perché nelle strade di Toronto negli anni Cinquanta e Sessanta era una creatura molto potente ed esotica. Ero anche molto interessato alle corse automobilistiche, a cui ho anche partecipato. Quella per la Ferrari è stata una passione molto precoce, ne ho possedute tre e l'ho anche pilotata, naturalmente non da professionista ma da dilettante e il mio entusiasmo continua ancora oggi. Quanto al film, credo che il tempo per farlo oggi sia passato, perciò sono particolarmente grato che esista in forma di libro, che è forse la cosa che più gli si avvicina".
La rivoluzione digitale
"Sono sempre stato un geek, un nerd della tecnologia, ho scritto la mia prima sceneggiatura su un computer nel 1985, quella de La mosca. Per me l'effetto del digitale è stato molto graduale perché ha sempre fatto parte della mia vita, amo i computer, gli smartphone e le macchina da presa digitali, sono sempre stato molto curioso nei confronti delle nuove tecnologie e ansioso di provarle. Non penso che la pellicola sia migliore del digitale e mi sta bene la sua scomparsa perché per me il cinema digitale è molto superiore. Da un punto di vista creativo mi dà una maggiore immediatezza: quando sono sul set vedo esattamente cosa sto girando mentre con la pellicola non lo sapevi fino a quando non vedevi i giornalieri. Credo in effetti di essere stato molto impaziente al riguardo, avrei voluto che il digitale arrivasse prima e penso che la differenza principale nel mio processo creativo non sia dovuta ad esso ma all'essere più maturo e sicuro di me. Non giro tanto, non faccio molti ciak, sono molto preciso, so cosa voglio in sala di montaggio. Ad esempio per il mio ultimo film, Maps to the Stars, ci sono voluti solo due giorni per avere il mio director's cut e sapete che ci sono registi che ci impiegano anche un anno. Il fatto è che sapevo già sul set di cosa avevo bisogno. Perciò come ho detto non è tanto il cinema digitale che ha cambiato il mio modo di esprimermi quanto il fatto di capire meglio questa forma artistica e il mio processo creativo col passare degli anni".
Il corpo
Non penso tanto in termini di fine o di inizio, ma la mia comprensione della condizione umana inizia sempre dal corpo. Per me il primo fatto dell'esistenza umana è il corpo. Sono ateo e non credo nella vita dopo la morte, credo che noi siamo il nostro corpo e perciò se vogliamo esaminare la condizione umana è a quello che si deve guardare. Nei miei primi film lo facevo in modo più diretto ma si tratta di un'evoluzione naturale: dopo aver esplorato questo in molti film, gradualmente ho iniziato a riflettere sul corpo nella società e sugli aspetti psicologici di quello che significa essere umano. Tuttavia, penso che perfino A Dangerous Method sia molto fisico, nonostante il fatto che trattiamo di persone che vivevano in epoca vittoriana, quando il corpo era negato e si indossavano vestiti che arrivavano fino al collo e lo coprivano completamente, con le sensazioni di colpa e di vergogna ad esso connesse. Il corpo è ancora fondamentale nel pensiero freudiano e una delle sue rivoluzionarie idee è stata suggerire che il corpo aveva un'importanza enorme nell'infanzia, nel processo di conoscenza fatto da bambini. Perciò non credo di essermi allontanato da quei temi, ma è come un cristallo con molte sfaccettature: anche se ogni mio film esamina la stessa cosa, la condizione umana, lo fa attraverso una diversa sfaccettatura di quella pietra".
La famiglia
"Io mi sento molto borghese e middle class, molto comune, per quanto riguarda i miei sentimenti riguardo alla famiglia. Sono sposato da 40 anni, ho tre figli e due nipoti, quindi ho sentimenti molto normali. Naturalmente l'istituzione del matrimonio e il concetto di famiglia hanno subìto molti cambiamenti. Anche se la mia famiglia è piuttosto tradizionale, ho tra gli amici coppie gay con bambini, single con figli, ci sono tantissime forme diverse di famiglia oggi che sono riconosciute e per me legittime. Ci rendiamo conto se guardiamo alla storia dei rapporti umani di come siano flessibili, oggi siamo svincolati dalla tradizione biologica per cui ci devono essere due persone per crescere un bambino, una che può nutrirlo e uno che guadagna per sostenere la famiglia, ci sono molti modi nuovi e inediti in cui si può creare un nucleo famigliare. Credo che siano dei tempi piuttosto eccitanti, perfino in un paese molto conservatore come l'America vediamo leggi a sostegno dei matrimoni gay e per me è una cosa positiva, anche perché con la tecnologia che abbiamo oggi non siamo più quello che eravamo 100 o 200 anni fa, siamo una specie in costante mutamento ed evoluzione. Ci vuole un po' di tempo perché la società riconosca questo attraverso le leggi, ma penso che stia accadendo".
Il film che preferisco e che mi rispecchia di più
So che è un cliché, ma è come se ti chiedessero di scegliere il tuo preferito tra i tuoi molti figli. Anche se ne avessi uno non lo ammetteresti nemmeno a te stesso. Quanto a un film che rifletta una persona, credo che ce ne vorrebbero un migliaio, perché la vita umana è una cosa molto complessa, specie quando si arriva all'età di 70 anni e oltre e non esiste un solo film in grado di rispecchiare tutto quello che sei. Quindi direi che bisognerebbe prendere tutti i film per ottenere questo e anche allora ci si avvicinerebbe appena perché è una strana relazione quella che c'è tra un artista e la sua arte. Come sapete, uno può fare dei film folli e violenti senza essere né pazzo né violento. Perciò ho detto che ci vorrebbero 1000 film per avvicinarsi a una cosa del genere e anche in quel caso ci sarebbe comunque una disconnessione tra l'artista e la sua arte che impedirebbe alla sua opera di esserne uno specchio fedele".
Il futuro
"Sto lavorando a un nuovo romanzo, al momento non ho nessun film in programma, ci sono 6 o 7 produttori molto interessati a trarre un film o una serie tv dal mio libro “Divorati” ma non sono sicuro di volerlo dirigere, perché avendolo scritto mi sembra di averlo già fatto, anche se sarebbe interessante per me vedere un altro regista e un altro sceneggiatore creare una serie tv dal mio romanzo. Quindi in questo momento in termini di creazione originale non c'è nessun film, credo di aver finito in un certo senso, di aver fatto i film che volevo fare. Per fare un film spesso ci vogliono 10 anni: tanto ci è voluto per fare A Dangerous Method così come Maps to the Stars e Inseparabili, io voglio fare solo cose per cui provo una grande passione. Non mi va in questo momento di fare un film tanto per farlo, penso che debba essere qualcosa di molto speciale, che mi senta obbligato a fare. Al momento non ho un progetto del genere perciò sto scrivendo un nuovo romanzo.