Interviste Cinema

Io sono l'abisso: Donato Carrisi e i suoi personaggi presentano il film

Dopo La ragazza nella nebbia e L'uomo del Labirinto, Donato Carrisi dirige Io sono l'abisso, adattando ancora una volta un suo romanzo. Il regista e scrittore lo ha presentato a Roma insieme agli attori protagonisti, che per il momento hanno solo il nome dei personaggi.

Io sono l'abisso: Donato Carrisi e i suoi personaggi presentano il film

Prima che inizi la conferenza stampa di Io sono l'abisso, terzo thriller di Donato Carrisi, troviamo ad accoglierci una lettera dello stesso scrittore e regista, che ha pregato ogni singolo giornalista di non rivelare i nomi degli interpreti del film, un po’ perché nel romanzo di partenza a definirli è solo il mestiere che fanno, o una caratteristica fisica o un'abitudine, un po’ per non guastare la sorpresa al pubblico.

Al cinema Adriano di Roma ci sono, armati di microfono e seduti davanti allo schermo, lo stesso Carrisi, l'attrice che impersona La Cacciatrice di Mosche e l'attore che fa la parte de L'Uomo che Pulisce. Lui è un serial killer con un'infanzia dolorosa, mentre lei cerca di aiutare le donne che subiscono violenza dai compagni o mariti e, per una serie di eventi, si mette sulle tracce dell'Uomo che Pulisce. Manca invece la giovane interprete della Ragazzina con il Ciuffo Viola, terzo personaggio principale della storia, né coloro che danno vita ai personaggi secondari. La vicenda si svolge intorno al Lago di Como, nelle cui acque viene ritrovato il braccio di una donna, indizio che avvia l'indagine.

A inizio conferenza stampa, Donato Carrisi ovviamente parla di ciò che ha scritto nelle lettere di cui sopra: "Voglio prima di tutto sottolineare il fatto che si tratta di una scelta artistica, condivisa naturalmente con gli attori. Non dare un nome di persona ai miei protagonisti ha aiutato l'immedesimazione dei lettori nei personaggi, li ha resi molto più partecipi. Si è creata, per così dire, un'altra strada per l'empatia, una strada che è andata al di là dell'identità. Questo anonimato ha funzionato. Volevamo riprodurlo nel film e nel lavoro con gli attori. Il povero Uomo che Pulisce per nove settimane è stato isolato da tutti, ha vissuto senza telefonino, senza poter comunicare con nessuno. Nessuno sul set gli poteva rivolgere la parola, solo io. Arrivava prima, perché doveva sottoporsi a un trucco molto complesso e andava via dopo gli altri. Soprattutto, nessuno lo chiamava per nome, nemmeno io. All'attrice seduta qui accanto a me ho chiesto di immedesimarsi con una donna realmente esistita, perché io l'ho conosciuta La cacciatrice di Mosche. Non c'è un segreto, in realtà, i nomi su Internet si trovano, ma l'invito che faccio anche agli spettatori è quello di andare a vedere il film senza conoscere il cast".

Il romanzo "Io sono l'abisso" segna il ritorno di Donato Carrisi scrittore - e quindi anche filmmaker - al personaggio di un serial killer. Il regista ci spiega l'origine de L'Uomo che Pulisce: "Questo serial killer è l'insieme di tutti i serial killer che ho studiato quando facevo criminologia, per cui trovate Jeffrey Dahmer ma anche Luigi Chiatti, che mi è capitato di incontrare. Luigi Chiatti era Il Mostro di Foligno, e la cosa incredibile di Chiatti era l'effetto che aveva su di noi. Era affetto da un disturbo narcisistico della personalità, per cui era felice che qualcuno si fosse accorto di lui. Si vantava degli omicidi che aveva commesso ed era brutale nel suo racconto, che era molto dettagliato. Però non parlava della sua infanzia, che noi abbiamo appreso dai testimoni. Si trattava di un'infanzia tremenda, e in quel momento mi sono accorto che provavo compassione per il mostro, nonostante un serial killer sia il male assoluto. Così mi sono detto: 'Voglio ottenere lo stesso risultato con un racconto, un romanzo e in un film. Voglio che il pubblico si commuova per il mostro. Se i serial killer fossero mostri, sarebbe facile catturarli. In realtà sono banali, seriali in tutte le loro cose, ecco perché riescono a diventare imprendibili per anni".

L'Uomo che Pulisce e La Cacciatrice di Mosche sono dunque personaggi tridimensionali che hanno una loro complessità e sono attraversati da spinte contraddittorie. Ciò ha comportato, da parte degli attori di Io sono l'abisso, una grandissima attenzione nel lavoro di avvicinamento ma anche una bella soddisfazione a fine riprese.
"La Cacciatrice di Mosche" - dice La Cacciatrice di Mosche - "è un ruolo importante, non potevo non accettarlo. Quando ho finito di girare il film, volevo portarmi a casa l'abito. Era diventato molto importante quello che indossavo. Tornata al mio quotidiano, mi dava fastidio dovermi vestire, perché nei vestiti della Cacciatrice ero come scomparsa. mi dava fastidio rivedere delle forme, un viso pulito. Non avevo voglia di guardarmi allo specchio. La Cacciatrice di Mosche mi aveva dato una libertà incredibile, ci ho messo un po’ ad abbandonarla. Quando entra in scena La Cacciatrice, con i sentimenti, il film cambia tono, quindi si fa un salto mortale doppio di genere".
"Quando Donato mi ha proposto questo lavoro" - aggiunge L'Uomo che Pulisce - "dicendomi che sul set non dovevo parlare con nessuno e togliendomi il telefono, ho capito che voleva tagliarmi fuori, ma ho subito sentito dentro di me un calore, un sentimento che era legato alla disobbedienza, perché in qualche modo volevo disobbedirgli. Inoltre, quando, durante le riprese, incontravo per strada qualcuno della troupe, mi evitavano. Io li cercavo con lo sguardo ma loro niente. Ecco, nel cercarli e non avere nessun tipo di reazione da parte loro, ho vissuto l'esperienza del rifiuto, che poi era esattamente ciò che cercavo".

Tutti i personaggi di Io sono l'abisso sono infelici, inquieti. Ognuno ha qualcosa che vuole dimenticare e qualcosa da farsi perdonare, e soprattutto è in qualche modo prigioniero del cosiddetto cerchio del male, come precisa Carrisi: "Non volevo che ci fossero innocenti fra i personaggi. Questo è sicuramente un racconto di personaggi, infatti volevo che i personaggi prevalessero sulla storia. I colpi di scena arrivano sui piano dei sentimenti, e per ottenere questo scopo non dovevo raccontare i buoni e i cattivi, perché questa distinzione non ha senso, in particolare adesso. Il bianco e il nero non mi sono mai piaciuti. Volevo creare una zona grigia. Desideravo che lo spettatore a volte parteggiasse per un personaggio e a volte se ne allontanasse, quindi doveva esserci questo effetto a elastico. Il male è un cerchio. Si può spezzare solo in un modo: attraverso l'amore. Il male tende a rigenerare se stesso. E’ sempre lo stesso male, ma cambiano le persone. Il male si tramanda. I figli di genitori violenti saranno a loro volta violenti. In qualche modo siamo tutti responsabili delle gesta criminali di un serial killer, ad esempio perché abbiamo ignorato il dramma della sua infanzia. E allora la cosa originale mi sembrava mettere al centro di questo thriller una buona azione: ecco la vera rivoluzione, una rivoluzione d'amore che cambia tutto, e anche una rivoluzione di genere, perché volevo innestare nel thriller il dramma. Che cosa succede se proviamo a innestare il dramma nel thriller? Che effetto otteniamo? Ok, la paura, che non è difficile da creare. Ma qui l'intento era fare un film per permettere allo spettatore di entrare timoroso, spaventato dalla storia, per poi uscirne commosso: era questa la vera sfida".

Altra caratteristica che accomuna La Cacciatrice di Mosche, L'Uomo che Pulisce e La Ragazzina con il Ciuffo Viola, nonché qualche personaggio minore, è la solitudine, condizione pericolosa da cui può germogliare la malattia mentale.
"E’ nella solitudine che nascono le cose peggiori" - dice ancora Carrisi. "Dov'è che diventiamo sempre malvagi? Quando siamo abbandonati nei social network, dove pensiamo di essere circondati da una moltitudine e invece siamo soli con la nostra tastiera. Quand'è che viene fuori la parte peggiore di noi? Quando siamo soli, quando ci nascondiamo al resto del mondo, ed è nella solitudine che comincia a formarsi il cerchio del male di cui parlavamo prima".

Rispettando la volontà di Carrisi di non svelare al pubblico l'identità di coloro che portano sullo schermo La Cacciatrice di Mosche e L'Uomo che Pulisce, possiamo dire però che si tratta di due artisti che non si danno arie e che si sono messi volentieri al servizio della storia.
"Io gioco un po’ in casa, perché non sono un'attrice narcisista" - afferma a tal proposito La Cacciatrice di Mosche. "Da sempre sono una che si nasconde, appaio solo quando lavoro, e poi l'idea è nata all’inizio, quindi non è una trovata pubblicitaria. Donato è stato molto corretto perché al principio mi ha detto: 'Guarda, io voglio portare avanti questo discorso qui'. Ho acconsentito subito, perché mi piace mandare avanti il personaggio".
"Quello che cerco ogni volta che mi relaziono con un regista" - conclude L'Uomo che Pulisce - "è di trovare qualcosa che vada oltre quello che esiste. Cerco di creare qualcosa che sia vicino a un'aderenza. L'attenzione da parte di un attore credo che sia funzionale e necessaria a un film, soprattutto a un film di genere, bisogna capire il significato di alcuni elementi. Sicuramente il lavoro psicoanalitico è importante, ma deve lasciare spazio all'artigianato".

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