Intervista a Tom Cullen, protagonista del film Weekend di Andrew Haigh
Abbiamo raggiunto l'attore inglese negli Stati Uniti, e abbiamo parlato con lui del film che ha girato cinque anni fa e della sua uscita in Italia.
La maggior parte di voi conoscerà Tom Cullen, 30enne attore gallese, come il Lord Gillingham della serie tv Downton Abbey. Ma, oltre ad essere stato protagonista anche di un'altra popolare serie inglese, Black Mirror, Cullen - eterosessuale e fidanzato da qualche anno con la collega Tatiana Maslany - è noto soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna come protagonista di Weekend, il film di Andrew Haigh che racconta una storia d'amore che dura l'arco di un fine settimana tra due giovani ragazzi di Nottingham, e che è molto più di un "film gay".
In occasione dell'uscita del film, circondata dalla polemica nata dopo che la CEI ha emesso un giudizio fortemente negativo sul film, condizionando di fatto - secondo la casa di distribuzione, la Teodora - il numero delle sale nelle quali è possibile proiettare il film, abbiamo raggiunto Tom Cullen negli Stati Uniti, e gli abbiamo chiesto di ricordare l'esperienza del film e di commentare il debutto di Weekend nei cinema italiani, a diversi anni dalla sua presentazione e dai premi raccolti in diversi festival di tutto il mondo.
F.G. - Sono passati cinque o sei anni, oramai, per lei da quando ha girato Weekend, ma mi piacerebbe che mi parlasse di come ha avuto questa parte, di quello che aveva pensato all'epoca, anche considerando che si trattava del suo primo ruolo cinematografico.
T.C. - Sì, si è trattato del mio primo vero lavoro, ero appena uscito dalla scuola di recitazione. Ricordo di aver letto il copione e di essermene innamorato, anche se erano solo le 15-20 pagine che il regista mi aveva dato per il provino, perché avevo capito all'istante che sarebbe stato un film meraviglioso. Mi avevano offerto anche altri due film, in quello stesso periodo, ma decisi di fare Weekend, perché me n'ero davvero innamorato. Era una storia d'amore semplice e bellissima tra due personaggi, ognuno dei quali stava attraversando il suo momento di difficoltà nella vita. Avevo poco più di vent'anni allora, e mi potevo davvero rivedere nel senso di privazione e di smarrimento di Russell, c'era qualcosa di quel personaggio che mi parlava diretto al cuore, e volevo davvero fare parte di questo progetto. Per preparami al ruolo ho parlato con molti amici gay, facendogli domande, specialmente sul loro coming out, su quanto fosse stato facile o difficile per loro essere omosessuali crescendo, e ho letto e riletto il copione. Mi sono fatto molte domande su Russell, cercando di capire esattamente che tipo di persona fosse. Ancora oggi, penso sia stata un'esperienza lavorativa splendida, alla quale guardo e penso guarderò sempre come uno dei momenti più intensi e belli della mia carriera.
F.G. - Quindi non ha mai avuto nessun dubbio, nessuna esitazione, nessuna preoccupazione per il fatto che si trattava di una storia d'amore omosessuale? Non ha mai avuto il timore di essere in qualche modo giudicato o incasellato?
T.C. - No, niente affatto. Glielo dico onestamente: si tratta di pensieri che non hanno mai attraversato la mia mente, nemmeno per un secondo. Ho solo pensato si trattasse di una bellissima storia, con dei bellissimi personaggi. In più, mi piacciono molto le storie che gettano una luce su quelli che sono gli eroi non celebrati della nostra società: ed è questo che fa Weekend. Per me si è sempre trattato di personaggi, di persone, che fossero gay o meno non importava.
F.G. - Quando stavate lavorando al film, lei, i suoi colleghi, il regista, eravate consapevoli dell'importanza e dell'impatto, anche politici, che avrebbe avuto il vostro film?
T.C. - No. Abbiamo girato il film con un budget di 80mila sterline, mi ricordo di conversazioni che abbiamo avuto prima d'iniziare le riprese e Andrew Haigh, il regista, e Tristan Goligher, il produttore, dicevano che saremmo stati fortunati se almeno qualcuno fosse riusciuto a vederlo, il film. C'erano voluti quattro anni per raccogliere quei pochi soldi necessari a farlo, e non avevamo alcuna aspirazione o ambizione particolare. Speravamo solo che la gente potesse vederlo, ecco. Quando abbiamo cominciato le riprese, per Andrew si trattava di un atto d'amore, della possibilità di realizzare qualcosa in cui credeva: e tutto quello che è successo dopo, il successo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, per noi è stata una grandissima sopresa, e un grandissimo onore, e in un certo senso stiamo ancora cavalcando quell'ebrezza e quell'emozione.
F.G. - Eppure, Weekend è uscito nelle sale italiane solo in questi giorni, e all'indomani di un lungo e aspro dibattito attorno alla legge sulle unioni civili, ed esce nelle sale gravato dal giudizio pesantemente negativo della CEI, che ha avuto come conseguenza la limitazione del numero di sale in cui è stato possibile proiettarlo. Come si sente di fronte a questi fatti, a questo rifiuto da parte della Chiesa e di tante altre persone che non comprendono di cosa parli davvero la storia del film?
T.C. - Da un punto di vista personale non mi sento ferito da queste cose, ma provo un senso di pena per coloro che in Italia sono soggetti a questo genere di censure, da parte di persone che non hanno in realtà alcuna voce in capitolo. Che mondo è quello in cui qualcuno di dice quello che possiamo o non possiamo scegliere di vedere? Per me è davvero molto triste. Senza considerare poi il fatto che in realtà viviamo in un mondo moderno e progressista, nel quale l'essere omosessuale non dovrebbe rappresentare argomento di discussione in alcun modo. Lo trovo davvero inaccettabile: da uomo eterosessuale, trovo scioccante il fatto che lei ed io siamo costretti ad avere questo genere di conversazione, ancora oggi a cinque anni dalla prima uscita di Weekend. Mi dispiace anche molto per tutti gli omosessuali e i movimenti LGBT italiani, che mi sembrano essere così poco rappresentati, prima di tutto come esseri umani. Perché è di esseri umani che stiamo parlando. Per me, di fronte a una censura così aspra, diventa un questione letteralmente umanitaria.
F.G. - Un'ultima domanda. Il commovente finale del film, che vede il suo personaggio e quello di Chris New parlare sui binari della stazione, e a un certo punto non è possibile sentire quello che si stanno dicendo, mi ha ricordato in un certo senso quello di Lost in Traslation. Su Internet ci sono le più disparate teorie su quello che si stanno dicendo Bill Murray e Scarlett Johansson, lei ci può dire cosa si dicono Russell e Glen?
T.C. - Beh, ho improvvisato in quella scena, quindi non riesco a ricordarmi cosa stessi dicendo. Penso che ci stessimo dicendo che... forse è meglio che rimanga un mistero anche per noi, penso che si meglio che il pubblico dia la sua interpretazione. Ma è ovvio che si tratta di un momento molto intenso per Russell, in cui esprime i suoi sentimenti ma al tempo stesso reprime qualcosa di fronte alla partenza di Glen.
F.G. - Grazie mille.
T.C. - Grazie a lei, sono davvero felice che il pubblico italiano abbia finalmente la possibilità di vedere Weekend, e spero che possa avere un'ampia diffusione.