Intervista a Kevin Munroe, regista di Dylan Dog
E' davvero un personaggio interessante Kevin Munroe: canadese, aria da ragazzone cresciuto a serie tv giapponesi e fumetti, autore di comic book in prima persona (El Zombo Fantasma e Pacific Heights), col suo cordiale e franco entusiasmo ha la necessaria modestia e serenità d'animo per venire a presentare in Italia il film americano tr...

Intervista a Kevin Munroe, regista di Dylan Dog
E' davvero un personaggio interessante Kevin Munroe: canadese, aria da ragazzone cresciuto a serie tv giapponesi e fumetti, autore di comic book in prima persona (El Zombo Fantasma e Pacific Heights), col suo cordiale e franco entusiasmo ha la necessaria modestia e serenità d'animo per venire a presentare in Italia il film americano tratto dal fumetto di culto di Tiziano Sclavi, Dylan Dog, e le spalle abbastanza robuste per affrontare le critiche dei fan più accaniti.
La sceneggiatura del film, di cui la Sergio Bonelli editore ha ceduto i diritti agli americani da un bel po' di anni, "girava per Hollywood ormai da 8 anni. Mi hanno mandato il copione, che si intitolava ancora Dead of Night, un anno dopo che avevo terminato Teenage Mutant Ninja Turtles, e mi è subito piaciuta. Ho trovato che avesse un bel senso dell'umorismo, e tutta una serie di potenzialità per costruire un mondo nuovo e diverso, cosa a cui aspira ogni regista".
Munroe racconta di aver trovato per la prima volta il nome di Dylan Dog in una storia di Martin Mystere, del cui personaggio si è occupato per un adattamento televisivo con la DC Comics. "Alla fine la DC non aveva i diritti e il progetto è stato trasferito alla Gaumont, che ne ha fatto una serie animata (in cui Martin Mystere diventa un fatuo giovanotto che frequenta il college per rimorchiare, NDR). La prima volta che ho letto le storie di Dylan Dog l'ho fatto in inglese, e l'impressione che ho avuto è che nella traduzione si perdesse un po' lo spessore e la profondità dell'originale, però mi sono piaciute entrambe le versioni".
Munroe non si sottrae alle domande sulle differenze tra un personaggio di culto e la sua versione cinematografica. "Si tratta di due media diversi. Non puoi portare il fumetto fedelmente sullo schermo, perché un film nasce da una serie di collaborazioni, è la combinazione della sceneggiatura, della regia - e in questo caso mi prendo le mie responsabilità - e dell'interpretazione. L'importante è essere fedeli allo spirito della storia, e io spero che siamo riusciti a farlo".
I fan hardcore del fumetto lo sanno già: per problemi di diritti legali, di budget, e del rifiuto degli eredi di Groucho Marx, la spalla di Dylan è stato trasformato in Marcus, un amico che diventa zombi, il maggiolone bianco (copyright della Disney) diventa nero, e soprattutto non c'è Londra ("sarebbe costato 4 volte tanto girarlo lì") e non c'è l'ispettore Bloch. Per questo i realizzatori hanno disseminato la storia di piccole cose come "Dylan vestito come Bloch, con Marcus vestito come Groucho, Marcus che gli tira la pistola, un poster dei fratelli Marx, e altre cose del genere che se non diranno niente agli americani speriamo facciano piacere agli italiani". Anzi, aggiunge Munroe: "quando sono stato coinvolto nel progetto la storia era ambientata a New York, la ragazza viveva a Central Park West e Dylan nel Bronx. Ecco, questa ambientazione mi è sembrata totalmente inappropriata al mondo di Dylan Dog, per cui ho voluto trasportarlo a New Orleans. Mi sembrava logico che se - come supponiamo agli inizi - avesse voluto abbandonare la professione e l'Europa per quello che è successo alla sua donna, si sarebbe rifugiato nella città che è la più magica, paurosa e inquietante, ma anche la più europea delle città americane".
Una curiosità: Dylan Dog pronuncia l'espressione Giuda Ballerino solo nella versione italiana. In quella americana dice Jackpot, perché, spiega il regista, in America dire "Dancing Judas" avrebbe lasciato perplessi gli spettatori (non che in Italia sia un'espressione corrente tra i non conoscitori del fumetto, NDR). Quando gli parliamo della nuova storyline inventata per il film, Munroe ci risponde "Se ci fai caso, nel film non diciamo che il mondo del fumetto non è mai esistito. Ma il film è ambientato in un momento successivo alle storie narrate nel fumetto, quindi si può guardare al passato e dire che questo è quel che gli è accaduto: ha lasciato Londra, è andato a New Orleans, e se riusciremo a fare un sequel potremo tornare a quel mondo e mostrarlo com'era. In realtà non volevo adattare una storia originale del fumetto perché questo ci avrebbe sottoposti a una pressione ancora maggiore, credo che alla fine avrebbe innalzato troppo i parametri da rispettare e che l'ansia di fare una trasposizione fedele del fumetto avrebbe influito sulla qualità del nostro lavoro. Leggere un fumetto è un'operazione molto più veloce del vedere un film, ed entrambi i prodotti devono essere due entità separate".
Ovviamente la considerazione di allargare il pubblico e abbassare l'età di riferimento è stata determinante in certe scelte "devi considerare che in America, in Sudamerica, in Cina, in moltissimi paesi del mondo, milioni di persone incontreranno per la prima volta questo personaggio, e quindi devi renderlo cinematografico e comprensibile per tutti. Anche se, se guardi bene, all'inizio vedi il galeone che non finirà mai e frammenti della sua vita e del suo passato. Ci sono ancora Xabaras, il rapporto con la madre, l'amore della sua vita che è stato ucciso, lui fugge da tutto questo... tutto questo esiste ed è vero, ma non ci insistiamo, perché la storia che raccontiamo è un'altra, è successiva".
Non possiamo fare a meno di fargli notare che però una differenza, grande, c'è, e di certo non potrà sfuggire al pubblico italiano: mentre l'originale è modellato sull'attore inglese Rupert Everett (che ha incarnato un personaggio dylandoghiano di Sclavi in Dellamorte Dellamore), Brandon Routh è troppo muscoloso, troppo Superman, insomma non ha le physique du role del personaggio che conosciamo. E qua Munroe ci dà una risposta sincera, di quelle che ci piacciono perché ci permettono di leggere tra le righe: "Quando sono entrato nel progetto Brandon era l'unico attore già scritturato, e i produttori mi hanno detto "abbiamo Brandon, è l'unico attore che vogliamo e non è in discussione". Poi l'ho incontrato e mi è piaciuto molto, ho trovato che andasse bene. Quanto ai muscoli, non gli ho detto io di andare in palestra ad allenarsi, è una cosa che fa spontaneamente... ma sai, non mi è sembrato un tradimento così grande del personaggio, è vero che l'originale era più magro, ma non mi sembra che l'aspetto fisico influenzi in modo determinante il senso di quello che è".
Prima di lasciarci, Munroe ci racconta che è appassionato fin da bambino dei film di mostri e che il suo mostro preferito è il King Kong originale. Ma sono i film degli anni Ottanta ad averlo davvero ispirato "Un lupo mannaro americano a Londra e Ghostbusters sono i film che mi hanno segnato da piccolo, e mi ha sicuramente influenzato il loro tono non serio, anche se i protagonisti prendevano molto sul serio questi mostri, il fatto che fossero film divertenti e paurosi al tempo stesso. Devo dire che mi piace moltissimo l'idea di prendere dei mostri e farne dei personaggi amabili, dare loro un'anima". Insomma, che amiate o meno il suo Dylan Dog, questo è uno di quei casi in cui la buona fede ci è apparsa più che evidente. Per una volta, dunque, non sparate sul regista.
Movie business is business, o, parafrasando, "E' il cinema, bellezza!"