In fondo al bosco: incontro con il regista Stefano Lodovichi e con gli attori Filippo Nigro e Camilla Filippi
In mezzo alle montagne fra horror, mistery e dramma familiare.

Thriller cupo, oscuro e affidato all’ambiguità di una
dialettica continua fra presente e passato, In fondo al bosco
è il secondo lungometraggio del toscano Stefano Lodovichi, già regista, nel 2013,
di Acquadro.
Distribuito da Notorious Pictures e
prodotto da Sky Cinema in collaborazione con One More Pictures, il film sfiora
l’horror e si affida anche alle suggestioni di un paesaggio aspro, bellissimo e
silenzioso: la montagna, scenario primordiale che accanto all’umano ospita il
diabolico. Già, perché c’è anche il diavolo in questo dramma
familiare teso, che è stato presentato alla stampa presso il cinema The Space di
Roma. Con il regista, emozionato perché alla sua prima conferenza stampa,
c’erano anche i due protagonisti: Camilla Filippi e Filippo Nigro.
Lodovichi ha spiegato innanzitutto che fra questo film e le sue opere precedenti esiste un legame tematico, una dinamica che per lui è molto interessate da esplorare: "C’è un filo rosso che unisce tutto quello che ho fatto, perfino i miei cortometraggi: il rapporto padre-figlio. Io non sono genitore, quindi il mio punto di vista è quello di un figlio, in altre parole è ad altezza bambino. In questo film ci sono alcuni classici che ho visto da piccolo, per esempio E.T. L'extra-terrestre, ho pensato a E.T. che guardava il mondo intorno a lui, in particolare gli adulti, dal basso. Anche i boschi del film di Spielberg hanno influenzato i 'miei' boschi. Questa volta, nell’analisi dei rapporti fra i genitori e i figli, mi interessava raccontare cosa succede quando si crea una grande assenza".
In fondo al bosco è dunque l’opera di un regista che ama il cinema, soprattutto i generi, a cui ha voluto ricorrere intrecciandoli con riferifmenti, anche se non troppo specifici, alla cronaca: "Il film non allude a nessun evento in particolare, certo ogni storia nasce dalla realtà, ma da figlio degli anni ’80 e ’90 e fan sfegatato del cinema di quel periodo, io la realtà amo superarla per andare nello spazio e visitare gli altri pianeti. E credo che le nuove generazioni siano un po’ come me: vogliono vedere e vivere i sogni che si realizzano sottacqua e oltre il cielo. Per quanto riguarda i generi, parlerei di mistery più che di horror e comunque li abbiamo usati come canovaccio, punto di partenza. La leggenda dei Krampus, che abbiamo sfruttato e che esiste sul serio ed è conosciuta in tutto l’Arco Alpino, mi interessava perché mi permetteva di scavare in profondità nell’animo umano e raccontare il bosco che c’è in ognuno di noi".
Dopo aver spiegato che In fondo al bosco è un omaggio anche a Roman Polanski, Hitchcock e al modo in cui Lars von Trier narra il rapporto fra uomo e natura, Stefano Lodovichi ha parlato anche di riferimenti pittorici: "Ho pensato a Friederich, Turner, Goya, a tutto il Romanticismo. Sono partito dalle loro opere per trovare un linguaggio complesso e originale. Lo stile visivo di In fondo al bosco, però, è la risultante di una visione e una ricerca collettiva, di un lavoro di squadra. Ho fatto scelte che andavano bene a tutti perché volevo che questo diventasse un film per tutti, un film pop e quindi per tutti".
In fondo al bosco racconta la storia di un bambino scomparso che viene misteriosamente ritrovato e riportato ai genitori. La mamma, però non lo riconosce, lo evita e lo respinge. Diversa, perché affettuosa, è la reazione del padre, che ha il volto del sempre bravo Filippo Nigro: "Manuel è un personaggio che mi affascinava perché mi consentiva di esplorare il modo in cui un essere umano sopravvive a un evento drammatico, in questo caso la perdita della persona che più si ama al mondo: un figlio. E’ stato bello studiare tutti i passaggi emotivi che accompagnano il dramma di quest’uomo. Per me erano una sfida. Questo copione è eccezionale, sono caduto in pieno nel giallo, nei twist narrativi. Manuel è un uomo solo, che vive in una comunità con un’educazione sentimentale assente. E’ debole, la sua unica colpa è rimanere nella gabbia in cui si è rinchiuso. Era un personaggio devastante da interpretare: me ne sono reso conto alla prima lettura della sceneggiatura. So che è poco cool da dire, ma a volte bastano un copione scritto bene e un luogo come quello in cui abbiamo girato, che crea un isolamento reale, per appassionare e motivare un attore. Credetemi, è una base solidissima da cui partire".
Ben più ambiguo di papà Manuel
è il personaggio di Linda (Camilla Filippi),
la mamma del piccolo Tommi. A lei è affidato un importante
"depistaggio" narrativo.
“Ho seguito la falsa pista legata a
Linda” – dice la Filippi –
“in maniera sia volontaria che involontaria. Ho provato subito empatia e pena per
questa donna. Sono madre di due bambini e ho sentito vicina Linda.
Credo che il clima, il trucco e il parrucco e gli abiti siano stati per me di grandissimo aiuto.
Ho rinunciato alla femminilità, ho accettato di imbruttirmi per poter esser
stilisticamente coerente con il mio personaggio. Ogni tanto mi faceva impressione andare
in giro così dimessa, perché, ahimè, ognuno di noi deve
confrontarsi con la propria vanità. Ho amato il ruolo, perché mi ha
permesso di fare qualcosa di diverso. A noi attrici viene chiesto spesso solo di sorridere e di
essere carine. Qui funzionava in maniera differente. Ho provato tanta tristezza per
Linda, per la sua grandissima solitudine interiore".
A chiudere la conferenza stampa, dando a un film che ha qualcosa di spaventoso un coté di tenerezza, è stato il giovanissimo attore che interpreta il bambino ritrovato. Già avviato a una carriera televisiva e cinematografica, Teo Achille Caprio ha detto: "Questo è un film bello perché è il mio primo film. Il mio primo film è stato un thriller, quindi ho cominciato alla grande. E’ stata un’esperienza piacevole perché sono stato per la prima volta in Val di Fassa e poi a Trento. Ho conosciuto un gruppo simpatico che lavora bene".
In fondo al bosco uscirà in 80 copie il 19 novembre.