Interviste Cinema

Il regista Eric Lartigau ci parla de La famiglia Bélier

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L'autore della commedia di successo francese ci svela alcuni piccoli retroscena.

Il regista Eric Lartigau ci parla de La famiglia Bélier

Arriva il 26 marzo sui nostri schermi, distribuita dalla BIM, un’altra commedia francese anticonformista e di grande successo in patria. Si intitola La famiglia Bélier ed è diretta dal regista francese Eric Lartigau, ex assistente di Edouard Molinaro, Emir Kusturica e Diane Kurys, al suo quinto film da regista. Due dei precedenti, Prestami la tua mano e Scatti rubati, sono usciti anche in Italia. Sposato con l’attrice di origini italiane Marina Foïs – che, ci dice, sarà nel prossimo film di Stefano MordiniLartigau è a Roma per presentare il suo nuovo film, che racconta di Paula, una ragazza figlia di sordomuti, che scopre di avere una vera vocazione per il canto, ma non vuole abbandonare i genitori nella loro fattoria. Nel corso di una breve roundtable, Lartigau ha parlato del suo apporto alla storia, dei suoi attori e della reazione dei sordomuti al film.

Come ha lavorato sui cliché e sugli stereotipi per trasformarli in qualcosa di diverso?

“La sceneggiatura del film esisteva già e  a me interessava il tema della famiglia e delle dinamiche che si creano al suo interno, che ho affrontato anche altre volte. Ci sono registi in Francia, come Ozon e altri, che sono curiosi, amano indagare nelle vite altrui, scoprire cosa succede nella personalità di ognuno, come la gente evolve, il perché delle scelte che facciamo. Mi interessa vedere come cresciamo in relazione alle situazioni in cui ci troviamo e alle persone che incontriamo, come ci sviluppiamo grazie a questo interesse. La costruzione narrativa era già presente nella sceneggiatura, ma i personaggi non esistevano ancora, non erano ben definiti, ho dovuto lavorare molto sulle loro personalità per potermi divertire con tutti questi codici”.

Come hanno lavorato gli attori non sordomuti che interpretano i genitori con il ragazzo che lo è veramente e quale è stata la reazione dei non udenti nel vedere il film?

Nel film i non udenti in realtà sono due, quel signore che interpreta Rossigneux, quello un po’ strano che fa casino in paese e il ragazzino, Luca. Il primo è sordo al 70 per cento ma porta l'apparecchio, così come lo porta Luca, ma durante le riprese gli ho chiesto di spegnerlo, perché volevo che restasse nel suo mondo senza aiuti e artifizi. E’ un ragazzo molto curioso, ama molto il mondo dell'arte e della fotografia e mi ha detto che voleva fare un film fin da piccolo perché ama il cinema e le storie, ma questo l’ho scoperto solo dopo averlo scelto.  Eravamo isolati, in campagna, a 3 ore da Parigi dove vivono i suoi e lui ha affrontato questo lavoro come un gioco, che è l’approccio migliore. Tra una ripresa e l’altra gli davo delle indicazioni senza parlare, muovendo le labbra che lui era in grado di leggere. Non conosco la lingua dei segni perché è una lingua complessa e viva, che muta continuamente, ma ovviamente conoscevo tutti i dialoghi e gli attori hanno avuto la fortuna di avere un professore di lingua dei segni bravissimo, che è riuscito in un modo molto semplice e molto ludico a insegnargli cose complicate, per sei mesi e quattro ore al giorno, perché io volevo che loro sapessero tutte le sequenze per intero, senza contare sul successivo montaggio. Aleksej, il professore, ci ha poi seguito sul set e anche al montaggio, per controllare che non ci fossero errori. Poi abbiamo fatto un tour in Provenza prima dell’uscita del film, in più di 80 città, in cinema attrezzati con i sottotitoli per non udenti e al 98 per cento di loro il film è piaciuto moltissimo, poi c’è stato un 2 per cento che si è molto arrabbiato perché non avevamo scelto attori non udenti anche per il ruolo dei genitori. Ma è stata una scelta artistica, io avevo in mente Karin Ward e François Damiens fin dall’inizio: è il lavoro di un attore quello di entrare in qualsiasi personaggio. Per me non si poneva il problema, ma qualcuno si è arrabbiato ed è normale, non si può accontentare tutti”.

Ma si può parlare dell'’handicap con la leggerezza con cui lo affronta il film?

"Sì, perché per me questo è un film che parla anche di differenze e il fatto è che questa famiglia è sorda ma per me la differenza e l'handicap possono essere rovesciati, diventare una forza, non subirli ma superati. Incontrando molti sordi ho visto il loro coraggio nell’avvicinarsi al nostro mondo al quale per loro è difficile se non impossibile avere accesso, è molto complicato e ci invidiano per questo. Ci sono ovviamente degli aiuti, ma è molto difficile. C’è la scena in cui la madre dice a Paula che odia chi ci sente e che ha sofferto per il fatto che quando è nata ha scoperto che la figlia ci sentiva, ed è orribile, ma è la realtà e molti genitori non udenti risentono del fatto che il loro figlio invece ci senta. Ogni famiglia è diversa, ma per me la diversità è un qualcosa in più, anche se non è facile perché essere sordi è un handicap molto pesante, che ti taglia fuori dal mondo. Oggi con internet, le email e gli sms va meglio ma 30 anni fa era terribile, ho conosciuto una donna di 80 anni che solo di recente aveva scoperto che l’Aids è un’epidemia devastante, non aveva mai ricevuto prima questa informazione".

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  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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