Interviste Cinema

"Il potere ha bisogno di presunti barbari": il regista Ciro Guerra ci racconta Waiting for the Barbarians

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Arriva nelle sale Waiting for the barbarians, adattamento di un romanzo del premio Nobel sudafricano J.M. Coetzee, con un cast di star, ma la costruzione da cinema d’autore, come ci racconta il regista Ciro Guerra in questa intervista.

"Il potere ha bisogno di presunti barbari": il regista Ciro Guerra ci racconta Waiting for the Barbarians

“Se non hai una tuta da supereroe non è facile”. Ciro Guerra sorride, ma neanche troppo, quando ci spiega la lavorazione tormentata e lunga anni di Waiting for the Barbarians, in uscita nelle sale il 24 settembre, tratto dal romanzo allegorico del sudafricano J.M. Coetzee, premio Nobel per la letteratura nel 2003, da molti amato al punto da provare a portarlo sul grande schermo. Sono anni che si prova ad adattare questo romanzo, per cui sono stati pensati vari luoghi diversi come possibili location, trovare quella giusta che avesse tutti i requisiti ha richiesto molto tempo.

Alla fine c’è riuscito il regista colombiano, al suo primo lavoro girato in inglese, lanciato dal successo di critica di El abrazo de la serpiente, nominato all’oscar per il film straniero nel 2016.

La cosa importante per me è la storia, ogni altra cosa è la ciliegina sulla torta”, ci dice nel corso di un incontro al Festival di Venezia, dove Waiting for the Barbarians è stato presentato in concorso nel 2019. La storia è senz’altro intrigante, ci porta fino ai confini del mondo, alla “frontiera”, in un’ambientazione che ricorda Il deserto dei tartari di Buzzati. Un magistrato vicino alla pensione, uomo di cultura e dalle maniere eleganti, interpretato da Mark Rylance, è a capo di un avamposto ai limiti estremi dell’Impero. Oltre è territorio in balìa dei “barbari”, dei nomadi nativi di quei luoghi desertici. Si ignorano cordialmente, fino a quando viene inviato il perfido colonnello Joll (Johnny Depp) a usare le maniere forti con i barbari per evitare che costituiscano una minaccia per la sicurezza dei confini imperiali. In suo aiuto il viscido Mandel, Robert Pattinson.

“Il film esiste grazie a Mark Rylance, alla sua volontà di indossare i panni del protagonista, del Magistrato”, aggiunge Guerra. “Un ruolo complesso, perfetto per lui. È un tale privilegio lavorare con Mark, è un attore fantastico. A quel punto tutti noi siamo saliti a bordo, sapendo che non era un progetto tradizionale, qui non erano previsti effetti speciali, ma ognuno avrebbe recitato con un altro grande attore, senza far finta con una mazza da baseball davanti a un green screen.”

Un progetto diverso per lei?

In termini di fotografia, linguaggio e produzione no. Ho avuto la stessa libertà che ho avuto nei miei altri progetti, potendo lavorare nella stessa maniera. Naturalmente la nuova esperienza è stata lavorare con interpreti al massimo livello come Mark Rylance, Johnny Depp, Robert Pattinson. È stato molto eccitante, poi ogni attore è diverso, ogni volta devi cercare con loro una connessione umana prima di tutto. Devi trovare il linguaggio giusto con ogni attore, qui sono stato fortunato, sono stati tutti generosi, aperti e entusiasti, il che ha reso il mio lavoro facile.

Come si è trovato a lavorare con Johnny Depp, al centro qualche tempo fa di polemiche sul suo comportamento in alcuni set?

C’è molto pregiudizio nei suoi confronti, dicono sia controverso, ma la mia esperienza è stata con l’attore più dolce e concentrato. Non c’è niente neanche lontanamente negativo che posso dire dell’esperienza di lavoro con lui. È professionale, la sua performance è meravigliosa, lascia stupiti, piena di creatività, qualcosa di speciale. È stato attaccato dai media, ma anche parlando con chi ha lavorato con lui in passato, tutti hanno speso solo parole di grande elogio sulla sua generosità.

In che modo ha creato il suo personaggio con lui, indossa occhiali da sole piccoli e tondi e altri accessori molto caratterizzanti?

Ha avuto delle idee molto interessanti sul personaggio che hanno ispirato anche me. È stata una collaborazione, una volta che ha condiviso con noi le sue idee abbiamo iniziato a costruirlo da lì. Gli occhiali da sole erano citati nel romanzo, letteralmente la prima frase parla degli occhiali. È stata una collaborazione molto fruttuosa e interessante, ne sono chiaramente molto contento.

Non è un film di supereroi, ma il cattivo indossa una scocca di protezione nera, il colonnello Joll interpretato da Depp.

È così che comincia, è un processo che lo porta a perdere la sua armatura, facendo vedere il reale essere umano che c’è al di sotto. È l’idea astratta di potere dell’impero, che inizia a mostrare come sia fondato sulla paura di perdere potere e influenza sui sudditi, sui barbari. È per questo che l’impero ha delle insegne con animali, abbiamo scelto la chimera, un animale immaginario composto da leone, capra, serpente, perché l’idea stessa dell’impero è davvero artificiale e ridicola, se si ha la distanza necessaria per notarlo.

Robert Pattinson ha invece un ruolo limitato, almeno in quanto ad apparizione sullo schermo.

Sì, ma quando appare cambia il film completamente. Gli attori amano i piccoli ruoli così significativi e memorabili. Robert è sempre in cerca di nuovi modi per perfezionare le sue capacità, non ha bisogno di essere sempre il protagonista. Era molto eccitato all’idea di lavorare con Mark e per la maniera in cui il suo personaggio evolve nel romanzo. È molto attento a rendere ogni scena viva, sorprendente. La cosa è stata molto stimolante per me e per gli attori intorno a lui, è molto creativo. Sta avendo una delle carriere più interessanti, fra gli attori giovani. È un grande cinefilo, poi, conosce i registi e vuole lavorare con quelli che preferisce.

Chi sono i barbari di oggi?

È una decisione che ognuno di noi deve prendere. È molto facile puntare il dito dicendo che siano quelli dall’altra parte del confine, o quelli al potere. Ma devi guardarti dentro e riconoscere il barbaro che c’è in te. Abbiamo cominciato a lavorare al film come fosse un’allegoria, distante nel tempo e nel luogo, ma quello che è successo nel frattempo lo rende quasi un film sull’oggi. Quando uscì la gente lo collegò all’apartheid in Sudafrica, poi all’invasione dell’Afghanistan. In fondo il mito è vecchio di un millennio, eppure parla ancora all’oggi. È per questo che il romanzo di Coetzee è così potente. 

Il potere storicamente ha bisogno di nemici, o presunti tali, presunti barbari, per controllare la propria gente. Basti pensare oggi agli immigranti.

Assolutamente. L’idea del nemico, dell’altro visto come barbaro è legata al bisogno del potere di sostenersi, è in qualche modo il suo motore stesso.

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