"Il nostro viaggio poetico e folle": Paola Randi e Valerio Mastandrea raccontano Tito e gli alieni
Una piccola gemma di questa fine stagione.
Ci sono voluti Impegno e passione in dosi massicce per realizzare Tito e gli alieni, un film di fantascienza, ma più che altro una poetica favola sull’elaborazione di un lutto. Dopo aver conquistato lo scorso Torino Film Festival, arriva nelle sale dal 7 giugno uno dei film più sorprendenti della stagione; e meriterebbe attenzione da parte degli spettatori, anche in un periodo dell’anno in cui le sale sono poco frequentate.
Opera seconda di Paola Randi, a otto anni di distanza dall’apprezzato Into Paradiso, Tito e gli alieni è nato dalla caparbietà della regista e della giovane produttrice, Matilde Barbagallo per Bibi Film, che si è innamorata della storia, insieme al padre Angelo, fin dalla lettura del soggetto, nel lontano 2012. In occasione della presentazione alla stampa, alla Casa del cinema di Roma, si sono tutti detti molto fieri di aver dato un contributo alla realizzazione del film, che uscirà in oltre cento copie, dopo un’accoglienza più calda del previsto da parte degli esercenti.
Una scommessa difficile, da tre milioni di euro, girata in Almeria (a pochi passi dai set di C’era un volta il west e Lost in La Mancha) e nel deserto del Nevada. “Nei pressi dell’Area 51”, ha detto la Randi, “in un paese di 54 abitanti, Rachel, in cui gli abitanti sono o cowboy o agricoltori, tutti convinti che la celeberrima zona governativa ospiti ingegneri alieni, insieme a quelli civili, custodi di un nuovo sviluppo tecnologico per l’umanità. L’Area 51 è una zona di sogni quasi abbandonati, che noi volevamo far rivivere.”
Abbandonati sono anche i sogni dello scienziato Valerio Mastandrea, che è isolato in uno strambo laboratorio in mezzo al deserto, occupato in un esperimento scientifico, ma soprattutto alla ricerca della voce della moglie scomparsa nella profondità dello spazio. Chiuso in se stesso, viene risvegliato dall’arrivo di due nipoti, una ragazza adolescente e un bambino di otto anni, in seguito alla morte del padre, fratello del professore. Il piccolo Luca Esposito, vero dominatore della conferenza con la sua verve da scugnizzo napoletano, ha scherzato con Mastandrea, oggi come durante le riprese.
“Quando ho saputo che dovevo fare il film, ho cercato di capire la trama”, ha dichiarato, “poi l’ho capita e sono rimasto colpito, anche se non c’era il finale e ogni giorno chiedevo quale fosse. Sono stato molto fortunato, sono anche stato a Las Vegas, posso dire ora di aver fatto qualcosa di grande. Sono molto soddisfatto di quello che ho fatto.” Maturo e simpatico, guardato con occhi protettivi dalla più grande Chiara Stella Riccio. “È iniziato tutto come gioco, ho fatto il provino grazie al laboratorio teatrale che seguo a Napoli, alla fine ne ho fatti sette, anche quelli per trovare il personaggio di Tito. È stato fantastico”.
Valerio Mastandrea se li guarda con il solito disincanto ironico, dicendo che lei “è già un’attrice fatta e finita, ringrazia già per primo il produttore”, mentre Luca/Tito “diventerà ministro”.
“È tutto nato da un’immagine”, ha spiegato la regista, “quella di mio padre che nell’ultima parte della sua vita aveva iniziato a perdere la memoria. Era una persona intelligente, positiva, piena di fantasia, e a un certo punto l’ho visto seduto che guardava una foto, il ritratto di mia madre morta da molti anni, cercando di conservare il ricordo. Da lì mi è venuta in mente l’immagine di un uomo sdraiato sul divano nel deserto, che cercava su moglie fra i suoni dello spazio. Come trovare un antidoto al dolore della perdita? Uno di quegli eventi che rivoluzionano la vita delle persone, costringono a reinventarsi”.
Valerio Mastandrea ha ricordato la sua emozione alla lettura della sceneggiatura. “Avevo recitato nel 2003 nel primo corto di Paola Randi, Giulietta nella spazzatura, anche quello aveva qualcosa di fuori dai canoni. Leggendo Tito, mi ha colpito l’aspetto poetico del personaggio, a prescindere dal genere di fantascienza. Alla fine, vedendo il film finito, ho ritrovato quella sensazione iniziale, nonostante una lavorazione molto complicata. Paola è un’artista pura, con tutte le cose meravigliose e difficilissime che questa definizione si porta dietro. È difficile carpire dalle sue sensazioni quello che vuole trasmettere. Il mio personaggio mantiene vivo il ricordo di una persona che non c’è più, in maniera acritica, impedendosi non solo di elaborare la perdita, ma anche una nuova vita. Dorme e viene svegliato da due mosche, i nipoti, che prova anche a schiacciare, se mi perdonate la metafora, invece capisce che anche le mosche sono importanti”.
Al di là delle metafore più o meno riuscite, Mastandrea è come al solito eccellente nei panni di un uomo solitario che ha ormai accettato di sopravvivere con la testa e il cuore verso il passato e le stelle. “Solo il coraggio e l’audacia di Matilde Barbagallo ci ha permesso di realizzare il film in cinque settimane”, ha aggiunto l’attore romano. “Le avrei dato, da attore anziano, anche una capocciata ogni tanto, metaforicamente parlando, ma senza il binomio fra regista e produttrice non avremmo mai fatto questo film poetico e un po’ folle. Io con gli extraterrestri non ho rapporti, e gradirei non averne, almeno fino a che sono in vita.”
“Ho sempre difficoltà a spiegare quello che ho in mente”, ha poi detto la Randi, “mentre Matilde mi capiva immediatamente, e riusciva a spiegarlo a cast e troupe che mi guardavano spaesati. A lei la capivano subito. Sono da sempre appassionata di fantascienza, ricordo che anche prima di vedere Guerre stellari al cinema sapevo già tutto del film. Ero pazza di Carlo Rambaldi, era un mio idolo. I miei riferimenti sono alla fantascienza anni ’70 e ’80, a una tecnologia fatta in casa, approcciata con amore, fantasia e ironia”.
Tito e gli alieni uscirà giovedì 7 giugno, distribuito da Lucky Red in oltre 100 copie.