Interviste Cinema

"Il mio melodramma in costume ambientato oggi": un Paolo Franchi agguerrito racconta Dove non ho mai abitato

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Torna il regista di E la chiamano estate e movimenta l’incontro stampa.

"Il mio melodramma in costume ambientato oggi": un Paolo Franchi agguerrito racconta Dove non ho mai abitato

“Sono un rompiscatole, lo ammetto”. Basta questa frase candida e autoironica per sintetizzare l’incontro con la stampa di Paolo Franchi e della squadra del suo nuovo film, Dove non ho mai abitato. Se di solito le conferenze stampa sono luoghi adatti senza problemi anche ai cardiopatici, questa mattina alla Casa del Cinema di Roma il regista lombardo ha movimentato l'atmosfera, parlando senza fronzoli o censure, evitando solo di parlare delle polemiche relative ai suoi film precedenti, Nessuna qualità agli eroi, ma soprattutto E la chiamano estate. Non ha risparmiato suoi vecchi distributori - “con Valerio De Paolis [allora a BIM ndr] ho avuto un pessimo rapporto - o gli attori “intellettuali” che sono i peggiori, “vi lascio immaginare quali siano”. Sollecitato dal produttore Agostino Saccà, ha poi ammesso un rapporto tribolato, “ma solo inizialmente”, con la protagonista Emmanuelle Devos. “C’è stata anche tensione, ma quella bella, difficilmente mi sono trovato male con i miei attori. Lei è timida, non era abituata a girare senza potersi muovere, con la camera molto stretta. Poi l’intesa è migliorata ed è nata una grande complicità, ma guardate che sono cose che succedono spesso: sono scontri creativi”.

Il regista lanciato oramai 13 anni fa dalla convincente opera prima La spettatrice, torna a quelle atmosfere rarefatte, ai dialoghi scarni e a una recitazione trattenuta, seppur lontana dal naturalismo, debitrice semmai di certo cinema francese degli anni ’80 e ’90 o, come preferisce dire lui, “di certi film americani degli anni ’60. Lo considero un film in costume ambientato oggi. Le mie ispirazioni sono state per lo più letterarie, come i racconti di Cechov e le figure femminili di Henry James. Un film sentimentale nel senso più nobile, su quelle fragilità che si portano dietro una serie di stati d’animo, in un momento della vita in cui facciamo i conti con noi stessi. All’inizio pensavo a una coppia di quarantenni, poi mi sono reso conto come questo rito si sia spostato in avanti. Il momento in cui valutiamo le strade non seguite, i treni persi, le vittorie e le sconfitte. Un momento dolcemente malinconico, come il film”.

La già citata Emmanuelle Devos - non presente a Roma - è una donna che vive da anni con un uomo più grande di lei che torna a Torino, città natale del padre, per festeggiare il compleanno e, per dire una volta tanto di sì al genitore ingombrante, un celebre architetto, inizia a lavorare a stretto contatto con il delfino del padre, “il figlio che non ha mai avuto”. A interpretarlo Fabrizio Gifuni, che racconta così la sua esperienza: “La richiesta di Paolo si sposava con un mio desiderio, quello di cercare altri modi di lavorare sul personaggio rispetto a ruoli in cui mi sono divertito a trasformarmi, distanti da me. Qui mi sono concentrato su un lavoro tutto interno, come si dice, in sottrazione, all’insegna del togliere, togliere. Eravamo costretti a restare fermi, una cosa che Emmanuelle ha sofferto all’inizio; diceva che eravamo ‘farfalle inchiodate’ decontestualizzati dallo spazio circostante. Col passare del tempo si è dimostrata una grande ricchezza, con il punto di vista di Paolo mai formale nel senso deteriore, pur se di un’eleganza profonda”.

Dove non ho mai abitato è dedicato al padre del regista, ma “senza che ci sia una corrispondenza diretta, non è un film autobiografico. Mio padre, con cui ho avuto un rapporto molto sereno, è morto alcuni anni fa e mi sembrava giusto dedicarglielo”. Il mestiere di architetto ha un ruolo centrale nel film, accomuna il padre e i due figli, quella reale e quello putativo. “Mi è sempre interessato come mestiere, anche se odio le case arredate. È un elemento simbolico e metaforico, utile a raccontare questa storia su chi costruisce le case per gli altri, ma durante questo processo demolisce la propria”.

Un film decisamente diverso rispetto al precedente, lo conferma lo stesso Paolo Franchi. “È un film classico, ispirato al cinema con le dissolvenze e, se nei film precedenti c’erano delle scene di sesso, il tema non era quello, ma erano profondamente psicanalitici, raccontavano altro. Se avessi dovuto mostrare delle scene di sesso in questo film avrei sbirciato dal buco della serratura, sarei stato pornografico, e io odio la pornografia. Ho usato invece molta musica, splendidamente composta da Pino Donaggio, in senso melodrammatico. In fondo Dove non ho mai abitato è un melodramma, seppur trattenuto”.

Sulla scelta degli attori, se Fabrizio Gifuni ha dovuto superare una lunga fase di casting, “ho incontrato praticamente tutto il cinema italiano”, la Devos è molto presto venuta in mente al regista. “Emmanuelle è un’attrice profondamente cechoviana, con una malinconia ineffabile. Fabrizio alla fine mi è sembrato il più europeo, il più adatto, anche se mi spaventava il suo aspetto intellettuale, ma per fortuna è stato umile e si è piegato, non ha messo l’intelligenza davanti a tutto”. Gifuni concorda sia sulla fragilità al centro del personaggio che sul suo sapore cechoviano. “Come nei racconti dell’autore russo, i personaggi abitano posti mai propri e inseguono sempre qualcosa che non riescono a raggiungere, per un motivo o per l’altro. Mi ha conquistato il calore pieno di compassione per la fragilità di questi personaggi. È un tema che mi sta molto a cuore e trovo che la fragilità sia uno strumento cruciale per un attore”.

Dove non ho mai abitato uscirà nelle sale, in una cinquantina di copie, il prossimo 12 ottobre, distribuito da Lucky Red.


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