Interviste Cinema

"Il mio cinema personale che ama prendere dei rischi": Nicolas Bedos ci racconta Un amore sopra le righe

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L'artista francese si mette a nudo con sincerità a tratti brutale.

"Il mio cinema personale che ama prendere dei rischi": Nicolas Bedos ci racconta Un amore sopra le righe

Il sorriso da sciupa femmine non manca a Nicolas Bedos, come l’improvviso velo di malinconia che talvolta lo colpisce, e l’ha colpito. Autore teatrale, presenza fissa in televisione, scrittore, attore e ora anche regista con Un amore sopra le righe, un film lungo quattro decenni e mille stati emotivi. Quelli vissuti dalla coppia composta da Victor e Sarah, giovani aspiranti scrittori dai primi anni ’70 a oggi. A interpretarli lo stesso Bedos e la compagna, Doria Tillier, uno de mille spunti autobiografici di un film sincero e appassionato, esordio di un quarantenne amato e odiato dalla critica e dal pubblico francese.

Sorta di Fabio Volo in versione intellettuale e parigina, lo raggiungiamo telefonicamente per una lunga conversazione in cui non evita nessun argomento e si racconta con una sincerità a tratti brutale. Il tutto appena dopo aver fato visita al padre, Guy Bedos, oggi molto malato, icona della comicità satirica francese della seconda metà del XX secolo.

“Avevo molto paura della parte tecnica, della credibilità dell’invecchiamento, per il resto erano anni che volevo esordire alla regia, conoscevo alla perfezione il mio film. Abbiamo fatto molte prove con gli attori, non avevo particolare preoccupazioni, se non quella tipica di ogni regista: riuscire a girare tutte le inquadrature sperate ogni singolo giorno, non avendo molti soldi, per un progetto ambizioso all’americana, ma con un piccolo budget alla francese.”

I decenni che passano vengono sottolineati da un aspetto visivo molto diverso

Era così, visti i pochi mezzi, che potevano raccontare il trascorrere del tempo, con una lunga preparazione nei minimi dettagli, da una sigaretta a una canzone o ai costumi. Ho lavorato solo con persone appassionate, è stato molto eccitante. 

Come scrittore, oltre che uomo di cinema, utilizza l’arte come terapia personale?

Assolutamente. Non credo sia una cura, ma mi permette di esprimere quello che osservo. Voglio continuare a fare dei film personali, ispirati a me o a chi mi sta vicino, non per superare dei traumi, anzi, credo che risveglino ricordi dolorosi. Non mi immagino a fare film di finzione assoluta, ho bisogno di prendere dei rischi, di mettermi a nudo, realizzando una sorta di dichiarazioni verso i miei amici, o i miei cari, o le donne che ho amato, mostrando in maniera un po’ esibizionista il mio rapporto con il mondo, con una ipotetica vita ideale.

La sua sincerità talvolta brutale le ha causato anche critiche violente. Lei è una figura che divide, la cosa le dà la carica o le dispiace ?

È complicato, alcune volte è stato doloroso, altre volte delle critiche me ne sono nutrito. Quello che mi spinge verso la finzione non è tanto mostrare un personaggio più simpatico o migliore di quello che sono, ma dire la verità. Ho iniziato scrivendo delle pièce di teatro, mentre il passaggio a un’arte più popolare, come il cinema, mi ha permesso di rivendicare il fatto di non essere solo quella persona là, etichettata come difficile, ma anche altro. Non si tratta di edulcorare la verità, ma di dirla. Per anni in televisione facevo delle cose provocatorie e ciniche, che ho adorato fare, ma questo film toglie il velo su altri aspetti del mio essere al mondo.

Nel suo film l’ironia si alterna all’autoironia, mentre mi sembra che voglia sempre evitare ogni forma di politicamente corretto, basti vedere il ritratto satirico e tagliente del figlio del protagonista. Un inno alla passione che rigetta la ‘correttezza’.

Esattamente. La cosa più importante che volevo fare nel film, e anche nel prossimo, è proprio questo. Un amico mi ha detto che il film non è sulla vita di coppia, quanto un’incitazione alla creatività, all’immaginazione: un certo slancio con cui affrontare la vita, trasmettendo energia allo spettatore. Qualcosa che va al di là dei riferimenti o della preoccupazione del politicamente corretto. Fin dall’inizio della mia carriera ho cercato di mettere nelle cose che scrivevo me stesso e quello che mi hanno insegnato le persone che mi hanno cresciuto, sono gli altri che mi davano del provocatore. Amo la vita, l’amicizia, l’amore, poi se è presa come trasgressione me ne rendo conto dopo, certo non scrivo avendo queste cose in mente. È così che ragiono, che discuto con i miei amici. In Francia c’è una recrudescenza del politicamente corretto, visto che il cinema è finanziato in buona parte dalle catene televisive, che non vogliono dar fastidio a nessuno. Il mio film, invece, è fatto con una totale libertà, altrimenti non l’avrei fatto. Non sarei capace di fare una commediola adatta a tutta la famiglia, che non rappresentasse quello che sono. Ne soffrirei, sarei imbarazzato nei confronti delle persone che amo.

Un altro elemento interessante è il talento all’interno di una coppia, spesso foriero di problemi e confronti fra due persone che fanno un mestiere artistico.

È la realtà, l’ho vissuto attraverso delle persone a me care, visto che Victor è ispirato a me per alcuni aspetti caratteriali, come il rapporto con le donne, o la depressione e l’alcol, ma la carriera non è la mia, ma quella di scrittori più anziani che ho conosciuto. Tutti gli artisti soffrono di un narcisismo virulento, hanno bisogno di essere costantemente rassicurati dal partner, succede anche alle donne come Marguerite Duras; un bisogno costantemente di incoraggiamento. Molto più raro è incontrare persone che se ne fregano e vanno dirette per la loro strada. Volevo mostrare la difficoltà di mia madre, che ha sposato un grande comico, sostenendolo tutta la vita, anche se talvolta si sentiva schiacciata, non tanto da lui, ma dalla vita che aveva scelto, dal dover sempre ridere, applaudire e sostenere. Non è facile incoraggiare tutta una vita un uomo angosciato, e nel film Victor è uno scrittore senza troppo talento: con tutti i difetti dell’artista, ma senza le qualità.

Poi c’è la questione di chi ha successo nella coppia e chi no?

Non c’è dubbio che nella vita di coppia l’impatto del successo o del fallimento è fragoroso. Ho visto molte relazioni sfaldarsi per uno spettacolo o un libro andato male. La coppia è un ricettacolo di tutte le frustrazioni, talvolta pensiamo di non amare più qualcuno quando in realtà  non amiamo più noi stessi e per questo non possiamo più amare l’altro.

Nella seconda parte del film c’è molta malinconia, Victor ottiene il successo all’inizio della sua carriera. Capita anche a lei, a quarant’anni, di guardare al futuro con l’angoscia di non avere più quel successo così importante per ogni artista?

Naturalmente mi sono rivisto in Victor. Si dice che in un’opera prima si mettono troppe cose e io non sfuggo alla regola, il film è la proiezione immaginaria e angosciata della vita che mi attende; so che sarà fatta di alti e di bassi, ho cercato di vivere dolorosamente attraverso la scrittura di questo personaggio anche quello che temo, e senza dubbio accadrà, come la mancanza d’ispirazione, l’allontanamento del pubblico, cose che avvengono nel corso di una carriera.

Un amore sopra le righe arriva nelle sale dal 15 marzo.


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