Interviste Cinema

"Il maggior dono è far ridere il pubblico" - Peter Bogdanovich parla del suo ritorno a Venezia

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Dopo oltre dieci anni torna al cinema con la commedia She's Funny That Way.

"Il maggior dono è far ridere il pubblico" - Peter Bogdanovich parla del suo ritorno a Venezia

Era dal 2001, da Hollywood Confidential, che Peter Bogdanovich non dirigeva un film per il cinema. Sarà anche per questo che a Venezia la sua commedia She’s Funny That Way è stata accolta con particolare affetto. In fondo parliamo di un artista poliedrico: sceneggiatore, attore, regista, di cinema e teatro, ma anche divulgatore e conversatore sopraffino. Uno degli ultimi ambasciatori dell’epoca d’oro di Hollywood, quando si producevano ancora film innovativi, che non si tira indietro quando può lanciare stoccate contro quello che è diventato negli ultimi anni il sistema degli studios.

Lo ha fatto anche parlando alla stampa al Festival di Venezia, dove è stato varie volte in passato e dove è tornato fuori concorso con una commedia velata di nostalgia, una screwball comedy alla Ma papa ti manda sola? quarant'anni dopo. Ambientata nel mondo del teatro di Broadway vede come protagonista Owen Wilson, presente in laguna, oltre a Jennifer Aniston e Imogen Poots, purtroppo assenti a Venezia, ma attese a Toronto.      

Il regista racconta così la genesi del progetto. “È un’idea che è nata alla fine degli anni ’90, quando abbiamo deciso di utilizzare uno spunto legato a un film che feci nel 1979, Saint Jack, premiato dalla critica proprio qui a Venezia. Per il film usammo delle vere escort che volevano fare le attrici, erano molto brave e decidemmo di dare loro degli altri soldi per farle smettere con la prostituzione. Da questo e dal mio amore per Ernst Lubitsch, in particolare per Fra le tue braccia, è nato il film. Lo scrivemmo originariamente per John Ritter e dopo la sua morte lo tenemmo in un cassette fino a quando, conoscendo Owen Wilson, abbiamo capito che avevamo il protagonista giusto”.

Non ha che parole dolci Bogdanovich per Owen Wilson, ricordandone anche le capacità di sceneggiatore, visto che proprio in quella veste iniziò la sua carriera con il sodale Wes Anderson. “È stato molto eccitante poter lavorare con Peter e far parte di un suo film – ha detto il biondo texano, schivo come al solito – sono stato felice anche solo per il fatto che mi abbia considerato. Le somiglianze fra il mio personaggio in questo film, un regista teatrale, e lo sceneggiatore di Mindnight in Paris sono legate più che altro al fatto che sono io che ho messo qualcosa di me in entrambi i personaggi. Se devo parlare di prossimità fra i due film penso semmai al clima stabilito sul set dai due registi. Due gentleman, sempre in aiuto agli attori, senza frenesie, sempre in controllo. Non avevi la sensazione, come talvolta succeed in un set, di dover correre per portare a casa la giornata, con la nave a rischio affondamento”.

In questa commedia sofisticata, dal ritmo della pochade amorosa, fra scambio di partner, relazioni professionali e sentimentali in continuo mutamento, un ruolo importante lo ha giocato la città di New York. Soprattutto il mondo del teatro classico di Broadway rievocato con nostalgico affetto. Secondo Wilson “è stato piacevole girare per una volta a New York veramente in città e non a Wilmington, Nord Carolina, facendo finta di essere a New York”.
Non potrebbe pensarla diversamente il newyorkese di nascita Peter Bogdanovich. “Ha un sua magia. Tutti dicono come sia tanto cambiata, ma a parte i palazzi che vengono rifatti a me sembra che regni la stessa magia, che ispira chi scrive e chi ci vive. C’è qualcosa che rende particolare girare lì. Ho cominciato come sceneggiatore e attore di teatro e ci ritrovo anche oggi quel sapore speciale”.

Su Hollywood usa l’arma dell’ironia. “Non voglio sputare nel piatto in cui NON mangio, ma sfortunatamente Hollywood è andata nella direzione sbagliata, fra sequel, prequel, cartoni e supereroi. Quando James Cameron spese 150 milioni di dollari per fare Titanic tutti pensavano fosse pazzo, ma una volta trasformatosi in un successo incredibile hanno pensato che la soluzione fosse spendere 150 milioni  per ogni film. Io non amo spendere tanto, preferisco i piccoli film che si possono fare da indipendenti. Il cinema che amo è quello di John Ford, di Lubitsch, ma sono giorni che non torneranno, ora conta solo se incassi 300 milioni di dollari nel primo fine settimana. È piuttosto deprimente, credo che siamo in un periodo di decadenza.”

Riferimenti non recenti e un pessimismo esplicito che lo portano a salvare pochi autori come il suo amico Wes Anderson o Noah Baumbach – che hanno coprodotto il film – o Quentin Tarantino. “Mi annoiano gli effetti speciali. Una volta che vedi Spider-Man che vola fra i palazzo dici ‘ok, che mi frega?’. Quando vedevi Buster Keaton cadere da una sedia o Ginger Rogers ballare sapevi che lo facevano davvero. Oggi non credi a niente, perché è tutto finto, ho perso interesse in questi film. Mi fa piacere vedere che questo film piaccia, mi piace sentire la gente ridere. Cary Grant una volta, quando avevo presentato un mio film al Radio City Music Hall, la sala più grande di New York, mi disse, ‘stattene seduto in fondo e rimani a goderti migliaia di persone che ridono. Fa bene al cuore’. Il più grande dono per un regista è far ridere il pubblico e il più grande dono per il pubblico è avere un regista che lo faccia ridere"

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